la Repubblica, 16 maggio 2016
Dallo stadio di Manchester agli Europei, l’allerta è massima e l’angoscia sale. Bombe finte e paura vera
La posticcia pipe bomb dell’Old Trafford solo alla mezzanotte di ieri ha perso definitivamente le stimmate del Terrore islamista.
E si è trasformata, per ammissione della polizia inglese, nel pasticcio di un “ordigno simulato” utilizzato durante un’esercitazione e dimenticato sugli spalti dello stadio dall’azienda privata che lo aveva assemblato. È una domenica inglese che racconta lo stato di fibrillazione di un Paese, l’abisso su cui ballano gli apparati di sicurezza europei, ma, soprattutto, che documenta in modo incontrovertibile la dimensione angosciosa che si va addensando alla vigilia degli Europei di calcio del prossimo giugno in Francia, nonché lo stato di assoluta allerta in cui, da almeno un mese e mezzo è precipitata Londra.
Da quarantacinque giorni, le informative delle Intelligence britannica, statunitense e francese concordano sul «rischio concreto» di «un attacco imminente» dell’Is nel Regno Unito. Uno “streaming informativo” che si è andato gonfiando nel corso delle settimane, alimentato da fonti “humint” e “sigint”, da notizie confidenziali e attività di intercettazione. E in qualche modo irrobustito nella sua credibilità dai rovesci militari che Islamic State sta subendo all’interno dei suoi confini e dall’imminente chiusura dell’assedio a Raqqa. Premesse “naturali” per una risposta “asimmetrica” del Terrore, dunque di un colpo di coda nel cuore dell’Europa. Per questo motivo, quella pipe bomb posticcia è diventata per ore la Profezia che si auto avvera. Per questo, il deserto delle tribune evacuate dell’Old Trafford, il “theatre of dreams”, il teatro dei sogni, degradato a teatro degli spettri, ha chiuso in un istante un cortocircuito emotivo mai così sensibile. In cui nessuno, a Washington, Londra, Parigi e Bruxelles, si assume in questo momento la responsabilità del “downplaying”. Della minimizzazione. Perché è più facile dire di essersi sbagliati per eccesso che dover chiedere scusa a sangue versato.
Non a caso, non più tardi di sabato scorso, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, il capo di Europol, l’inglese Robin Wainwright, ex Mi5 (l’intelligence domestica britannica), è tornato a suonare la sirena di allarme sugli Europei di Francia. «Sono estremamente preoccupato – ha detto – perché il torneo è un attraente obiettivo per i terroristi». Cinquantuno partite in un mese (a cominciare dal 10 giugno) in 10 stadi per una partecipazione di spettatori stimata in due milioni e mezzo di tifosi sono – nell’unanime parere di ogni analista – il peggiore degli eventi con cui misurarsi in questo passaggio della guerra all’Is. A maggior ragione considerando l’ossessione truculenta nei confronti del calcio che anima le fantasie del Califfato. Da Francia-Germania del venerdì 13 di Parigi, alla recente strage di Balad, in Iraq, dove 12 innocenti sono stati finiti a colpi di ak-47 perché tifosi del Real Madrid. Brand globale di questo sport al pari del Manchester United, del Barcellona, del Bayern Monaco.
È un fatto che il Governo francese abbia esteso fino alla fine del Campionato lo stato di emergenza proclamato dopo le stragi del 13 novembre. Ed è un fatto che, ieri pomeriggio, una qualificata fonte della nostra Intelligence interna si abbandonasse a una riflessione sull’oggettiva fragilità di un appuntamento come Euro 2016. «Per seminare terrore in uno stadio, può essere sufficiente anche una semplice sequenza di falsi allarmi. Dobbiamo attrezzarci». Il pomeriggio all’Old Trafford ce lo ha ricordato. Per ben due volte. Nelle ore in cui quella bomba è sembrata troppo vera per essere liquidata come una cruenta burla. E intorno alla mezzanotte, quando la polizia inglese ha scoperto che artefice di un pomeriggio di terrore è stato chi si esercita per prevenirlo.