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 2016  maggio 17 Martedì calendario

Chen Song, l’uomo che pesca i morti nel fiume blu. 65 euro a cadavere, per lo più sono suicidi o operai ammazzati dal proprio capo

In un’ansa del fiume Yang Tsé, il fiume blu della Cina, proprio alle porte della incredibile, sovraffollata megalopoli moderna Chongqing, c’è la casa del pescatore di morti: Chen Song. Da 42 anni, ogni mattina, alle 6 esce dalla sua abitazione galleggiante con vista sui palazzoni e sull’immenso ponte in costruzione, e sale a bordo del suo barchino a motore per la sua giornata dedicata a una pesca davvero strana.
Chen Son ripesca i cadaveri dalle acque limacciose del grande fiume blu, il più lungo dell’Asia. Sono i corpi dei suicidi, delle vittime della mafia e dei lavoratori uccisi dalle violenze dei propri datori di lavoro. Una professione macabra, quella di Chen Song, che mostra una delle facce più oscure della Cina, un riflesso nero ed eclatante della Cina prosperosa del XXI secolo, quella che fa sognare le multinazionali occidentali in cerca di profitto. Chen Song è un tuffo in quella parte oscura del paese dove galleggiano i rifiuti di quella urbanizzazione a marce forzate che ha trasformato il paese. L’anno scorso ha pescato un centinaio di cadaveri, ma nelle annate che considera migliori è arrivato a ripescarne anche 200. A giugno del 2000 ne ripescò addirittura 70 in una sola settimana, tra le vittime di un naufragio avvenuto a Luzhou, a 200 chilometri di distanza, perlopiù donne, figlie di migranti arrivati dalle campagne per lavorare nelle fabbriche della sovraffollata Chongqing.
In realtà, sono i morti del fiume che fanno vivere Chen Song. Per ogni corpo ripescato è pagato 65 euro dalla polizia. Ma dalle famiglie dei suicidi vuole di più. Egli ripulisce i cadaveri per presentarli ai famigliari. E per questo pretende altri 65 euro, fino anche a 1.000 euro per restituire le spoglie dei loro congiunti. E gioca sulla superstizione perché per i cinesi toccare il corpo di un congiunto morto porta male. Per Chen Song affrontare i famigliari è il momento più penoso, ma sono pochi quelli che vengono a chiedere notizie dei congiunti spariti: tre su dieci. Chen Song fa anche incenerire i cadaveri nel piccolo forno installato da poco nel porto vicino.
La maggioranza dei cadaveri è di persone che si sono suicidate, racconta; la solitudine, la pressione insopportabile, le violenze coniugali o i conflitti famigliari li spingono e sono molte le giovani che si gettano dall’altezza vertiginosa di uno dei ponti di Chongqing. A volte i famigliari vengono a chiedere a lui notizie del corpo. Il suicidio è la prima causa di morte tra i cinesi di campagna, il 26% dei suicidi ha luogo in Cina secondo l’organizzazione mondiale della sanità. Molte giovani sono vittime di violenze. E quando Chen recupera i loro corpi seviziati chiama la polizia. Alcuni cadaveri sono irriconoscibili, tanto da non poter essere identificati, e spesso si tratta, in questi casi, di vittime della mafia. Qualche volta il pescatore di morti ritrova delle braccia, una testa, delle gambe. Alcuni corpi sono di vittime della violenza dei loro datori di lavoro che non li pagano e se i lavoratori si ribellano li uccidono e li buttano nel fiume, che, però, prima o poi restituirà i loro corpi.
Ma il fiume restituisce anche le carcasse degli animali. Nel 2012 ci fu uno scandalo a Shanghai: furono ritrovate 16 mila carcasse di maiali nel fiume Huangpu che attraversa la città. E i social network lanciarono l’allarme sui rischi sanitari.
Le autorità cercano di arginare il fenomeno dei pescatori di morti, anche perché c’è chi chiede cifre folli per restituire i corpi ai congiunti, anche se c’è chi, come Jiang Jian, professore universitario, sostiene che reclamare denaro per ripescare i corpi non ha niente di criminale perché questi pescatori di morti rendono un servizio alla famiglia del morto, in assenza di un servizio pubblico.