MilanoFinanza, 17 maggio 2016
La Deutsche è davvero nei guai e questa volta potrebbe non farcela
I guai di Deutsche Bank potrebbero essere «insormontabili». Questo il giudizio impietoso dato ieri da Berenberg, che ha ridotto il rating della prima banca tedesca da hold a sell e ha abbassato il target price a 9 euro, il 40% in meno dell’attuale quotazione del titolo (venerdì scorso ha chiuso a 14,68 euro, ieri la borsa di Francoforte era chiusa per festività).
Secondo James Chappell, analista della banca fondata nel 1590 ad Amburgo, il più grosso problema del colosso guidato dall’inglese John Cryan è l’eccessivo indebitamento. Gli sforzi per vendere gli asset della banca potrebbero essere ostacolati dall’illiquidità del mercato creditizio, mentre Cryan farà fatica ad aumentare il capitale in un momento in cui il settore dell’investment banking è in declino strutturale. Chappell sottolinea infatti che «è dura vedere come Deutsche Bank possa sfuggire a questo circolo vizioso senza dover aumentare ancora il capitale. Per ora» Cryan «ha evitato questa strada» ma con «il rischio che viene di nuovo riprezzato è difficile che Deutsche Bank riesca nel suo intento». D’altronde il gruppo siede su una bomba atomica: nel suo portafoglio ci sono derivati finanziari Otc per un valore nozionale di circa 55 mila miliardi di euro, circa 20 volte il pil tedesco e quasi 6 volte quello dell’intera zona euro. In questo settore è di fatto la banca più esposta al mondo. Con un peso del genere, ogni mossa della banca rischia di essere vista con sospetto. Nei giorni scorsi, per esempio, non è passato inosservata l’offerta lanciata dalla divisione belga di Deutsche Bank, che promette il 5% d’interesse sui depositi bancari versati entro il 24 giugno nel conto vincolato DB Invest Plus. Il tutto alle seguenti condizioni: i nuovi depositi fra i 10 mila e i 50 mila euro dovranno restare immobili sul conto per almeno tre mesi (e a patto di essere cittadini del Belgio). Un’offerta talmente generosa (propone una remunerazione superiore a quella di molti junk bond europei) che ha fatto sorgere dubbi sulle esigenze di liquidità di Deutsche Bank.
La fiducia in Deutsche Bank (dall’inizio dell’anno il titolo ha perso il 35%) è stata inoltre minata dai numerosi scandali in cui è stata coinvolta, smentendo così clamorosamente il mito della correttezza e affidabilità teutonica. L’anno scorso la maggiore banca tedesca ha pagato 2,5 miliardi di dollari di multa per avere manipolato i tassi benchmark Libor, Euribor e Tibor, che vengono utilizzati per fissare il costo dei prestiti fra banche ma soprattutto fanno da punti di riferimento per le operazioni commerciali, come i mutui verso la clientela. E così Deutsche Bank ha chiuso il bilancio 2015 con una perdita record di 6,8 miliardi di euro. I risultati del primo trimestre 2016 hanno invece sorpreso i mercati, segnando un utile netto di 236 milioni. Nel frattempo, però, sono arrivati nuovi guai giudiziari: dieci giorni fa la procura di Trani ha avviato un’indagine nei confronti di Deutsche Bank per presunta manipolazione dei mercati. I fatti sono collegati alla turbolenta estate finanziaria del 2011 e alla crisi dello spread che portò alla caduta del governo allora guidato da Silvio Berlusconi. I cinque indagati sono l’ex presidente dell’istituto tedesco Josef Ackermann, gli ex co-amministratori delegati Anshuman Jain e Jurgen Fitschen (quest’ultimo è attualmente co-ad uscente della banca), l’ex capo dell’ufficio rischi Hugo Banziger e Stefan Krause, ex direttore finanziario ed ex membro del board di Deutsche bank. L’ipotesi di reato riguarda la vendita di titoli di Stato italiani per circa 7 miliardi di euro avvenuta nel primo semestre del 2011. Mentre rassicurava i mercati sulla tenuta e la sostenibilità del debito pubblico italiano, il colosso tedesco nascondeva al mercato e al ministero dell’Economia l’intenzione di ridurre l’esposizione sull’Italia, pari a 8 miliardi di euro alla fine del 2010. Tale comportamento avrebbe alterato i valori di mercato, sostiene il pm Michele Ruggiero, già titolare delle inchieste sulle agenzie di rating e sulla manipolazione dell’Euribor. Al punto che in seguito lo spread dell’Italia impennò sopra i 500 punti base, costringendo alle dimissioni Berlusconi. Deutsche Bank ha definito l’indagine «priva di fondamento».