Il Sole 24 Ore, 17 maggio 2016
Il petrolio è risalito a 50 dollari al barile
L’eccesso di offerta che negli ultimi due anni ha mandato a picco le quotazioni del petrolio è scomparso: la domanda questo mese è tornata a superare l’offerta, traghettando il mercato da una situazione di surplus a una di deficit, che sta cominciando ad intaccare le scorte. Ad annunciarlo è Goldman Sachs, che solo pochi mesi fa era tanto pessimista da temere che il greggio potesse crollare addirittura sotto 20 dollari al barile. E il mercato, come sempre accade quando a parlare è la banca americana, ha subito drizzato le orecchie proiettando il Brent verso quota 50 dollari al barile.
Il petrolio del Mare del Nord si è spinto fino a 49,47 $, in rialzo di oltre il 3%, seguito a ruota dal Wti che è ha chiuso a 47,72 $ al barile: in entrambi i casi un record da sei mesi.
«Il mercato del greggio è passato molto prima di quanto ci aspettassimo da una situazione in cui ci si avvicinava a saturare gli stoccaggi a una di deficit», affermano gli analisti di Goldman, che non sono i primi né gli unici a constatare la lunga serie di difficoltà – in alcuni casi del tutto impreviste – che stanno riducendo l’offerta petrolifera: dagli incendi in Canada, dove l’emergenza sta ora gradualmente rientrando, alla nuova ondata di violenze e sabotaggi in Nigeria, che hanno ridotto la produzione di greggio del Paese africano ai minimi da 22 anni ( 1,4 milioni di barili al giorno secondo il governo, addirittura meno secondo alcuni analisti). Contando anche gli annosi problemi della Libia e la gravissima crisi economica in Venezuela, che inizia a ripercuotersi anche sulle attività estrattive, si stima che manchino all’appello 3,75 mbg di greggio nel mondo, il massimo da 5 anni e più che abbastanza per compensare la riconquista dei mercati da parte dell’Iran dopo la revoca delle sanzioni internazionali.
I tagli agli investimenti operati dalle compagnie di tutto il mondo, nello stesso tempo, hanno cominciato a manifestare i loro effetti, non solo sullo shale oil americano, ma anche sulle attività estrattive di altri Paesi, dentro e fuori dall’Opec.
La Cina – che è tra i maggiori consumatori e anche il quarto produttore di petrolio al mondo – in aprile ha visto crollare l’output del 5,6% a 4,04 mbg, il minimo da tre anni. Il calo, segnalato ieri dal National Bureau of Statistics, è il più marcato da novembre 2011.
La domanda globale di petrolio nel frattempo continua ad essere robusta, tanto che Goldman Sachs ha alzato la stima di crescita per il 2016 da +1,2 a +1,4 mbg. Le previsioni di prezzo sono state riviste di conseguenza: la banca americana ora si aspetta che il Wti raggiunga una media di 45 $/barile nel secondo trimestre, contro i 35 $ indicati in marzo, mentre per l’intero 2016 è passata da 38,40 a 44,60 $. Per arrivare a quota 60 dollari bisognerà aspettare la fine del 2017, secondo Goldman Sachs, che in ogni caso si mantiene molto cauta: un surplus di offerta, avverte, potrebbe ricomparire nel primo trimestre del 2017.
Nell’attesa tutte le classi di investimento correlate riprendono quota. In una giornata incerta per i principali indici di Borsa (l’indice Stoxx 600 ha chiuso le contrattazioni invariato) il paniere settoriale Stoxx 600 Oil&Gas ha guadagnato lo 0,96% trainando il comparto delle società minerarie: l’indice Stoxx 600 Basic Resources, che monitora le quotazioni dei principali gruppi del settore, ha chiuso in rialzo dell’1,84 per cento. Dai dati S&P Capital IQ risulta che, dai minimi di inizio anno, i titoli del comparto petrolifero e minerario in Europa hanno recuperato oltre 190 miliardi di euro di capitalizzazione.
A eccezione dei titoli legati alle materie prime la performance dei principali listini continentali è stata piuttosto incolore come testimonia anche il saldo a fine seduta del Ftse Mib (+0,04%). A Milano si sono segnalati i titoli Banco Popolare e Bpm (rispettivamente +3% e +1,1%) dopo la presentazione del piano industriale.