varie, 18 maggio 2016
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 16 MAGGIO 2016
Giuseppe Diana e Luciana Corgiolu, 68 e 62 anni. Di Settimo San Pietro (Cagliari), ex chef lui, ostetrica lei. Benvoluti da tutti, amanti dei viaggi, impegnati nel volontariato, non avevano avuto figli e in un asilo per bimbi abbandonati di San Pietroburgo avevano adottato Alessio, che ora ha 24 anni, militare a Roma, e Igor, 28 anni, pizzaiolo. Questo Igor, un tempo «buono, pacifico», da quando guidando la sua auto aveva ucciso un motociclista che lo stava superando, non era più lo stesso: beveva, si drogava, gli era venuta la fissazione delle slot machine, chiedeva soldi a tutti, s’era fatto cupo e violento. Era finita anche la storia con Vanessa Picci, la ragazza da cui aveva avuto una bambina, e perciò era tornato a vivere coi genitori, con cui litigava di continuo. Domenica pomeriggio per l’ennesima volta discusse coi suoi, il fratello cercò di metter pace e quando tutto sembrava tranquillo partì per Roma. Quella sera, il papà già scalzo e in pigiama, la mamma semisvestita in camera da letto, Igor prese una mazza da baseball e li bastonò entrambi con tanta forza da rendere i loro volti quasi irriconoscibili. Quindi li finì infilandogli un coltello nella gola. Rimase in casa coi cadaveri un giorno intero, bevendo alcol e fumando spinelli, poi all’alba di lunedì si cambiò i vestiti zuppi di sangue, uscì col fuoristrada del padre portandosi appresso pure la sua pistola, raggiunse un bar e «sereno e scherzoso» giocò alle slot machine. Quindi andò in spiaggia, si scolò qualche birra, fumò marijuana. Infine s’andò a nascondere in un casolare di campagna fra Iglesias e Carbonia, ma l’auto fu individuata da un elicottero dei carabinieri. Inseguito dalla polizia urtò contro un guard rail, uscì dalla macchina, si puntò la pistola alla tempia, poi la puntò contro gli agenti ma l’arma s’inceppò e fu colpito a un braccio prima che potesse fare fuoco. Ripresa la fuga andò fuori strada: lo trovarono nascosto sotto un cespuglio. Ricoverato nell’ospedale di Iglesias, al magistrato spiegò:«È stato un raptus, non so cosa mi sia preso e li ho uccisi, non ricordo nulla di quello che è accaduto».
Sera di domenica 8 maggio in una villetta in via Copernico 13 a Settimo San Pietro, seimila anime in provincia di Cagliari.
Mohamed Habassi, 34 anni. Tunisino, disoccupato, precedenti per spaccio, padre di un bimbo avuto dalla convivente morta lo scorso agosto in un incidente stradale, viveva a Basilicagoiano, frazione di un paese nella campagna parmense di nome Montechiarugolo. Da mesi però non pagava l’affitto del suo appartamento e non ne voleva sapere di lasciarlo. Allora il compagno della proprietaria, un Luca Del Vasto di anni 42, titolare del Buddha Bar di Sala Baganza e di un’impresa di pulizie, decise di dargli una lezione facendosi aiutare dal fumettista Alessio Alberici, 42 anni, e da quattro romeni. I sei, ubriachi e fatti di coca, le mani coperte da guanti di lattice, all’alba di martedì penetrarono a casa dell’Habassi scavalcando il balconcino. Quindi lo immobilizzarono, con una pinza da idraulico gli strapparono due dita che buttarono nel lavandino, e infine lo colpirono sul corpo e sulla testa con una mazza da baseball e una spranga di ferro finché non smise di respirare.
All’alba di martedì 10 maggio al civico 1 di via Castello a Basilicagoiano, Parma.
SUICIDI
D. C., 20 anni. Iscritto alla facoltà di Scienza biologiche di Tor Vergata, volto da bambino, all’apparenza sereno, lo scorso 27 aprile superò la recinzione del ponte che collega due parcheggi dell’università e si buttò di sotto, andando a sfracellarsi sull’asfalto, davanti agli occhi dei colleghi, dopo un volo di dodici metri. Morto in ospedale, venerdì 13 maggio, dopo due settimane d’agonia.
Primo pomeriggio di mercoledì 27 aprile all’Università di Tor Vergata, Roma.
Cristina Furlan, 36 anni, e suo figlio Federico Piva, 5 anni. La Furlan, di Porcia (Pordenone), sposata con Loris Piva, da quando aveva perso il lavoro era depressa e in cura con gli psicofarmaci. L’altra mattina, il marito al lavoro, il primogenito di nove anni a scuola, fece colazione con suo padre, poi sistemò Federico nel seggiolino della sua Volkswagen Touran, gli allacciò le cinture, guidò lungo la stradina sterrata che porta al lago Burida e si lanciò nello specchio d’acqua gelata.
Poco prima delle 11 di venerdì 13 maggio a Pordenone.
Un uomo di 38 anni. Di San Carlo Canavese (Torino), ex autista, da tempo disoccupato, sposato, due figli piccoli. La famiglia era in condizioni economiche difficilissime e ultimamente veniva aiutata dalla parrocchia. Lui, che da tempo cercava di trovarsi un’occupazione qualsiasi, aveva pure svolto un periodo di prova in una macelleria ma al termine l’avevano rimandato a casa. In più la moglie, di recente, aveva perso il suo lavoretto nella mensa della casa di riposo del paese. L’altro giorno scrisse una lettera d’addio alla consorte, andò in garage portandosi appresso la pistola che un tempo usava per il tiro sportivo, se la puntò alla tempia, e fece fuoco.
Lunedì 9 maggio a San Carlo Canavese (Torino).