la Repubblica, 18 maggio 2016
La Francia scende in piazza contro il Jobs Act e gli italiani di Parigi sono i primi a volere la rivoluzione: «Da noi il sistema ci ha escluso. Qui, invece, i giovani contano»
Una nuova giornata di proteste e scontri in tutta la Francia contro la riforma del lavoro. Continua il braccio di ferro tra il governo socialista e il movimento di piazza che si oppone alla legge El Khomri. «Non cedo, questa legge passerà», ha annunciato ieri mattina François Hollande che la settimana scorsa ha fatto approvare la legge in prima lettura grazie al “passaggio in forza” (una fiducia senza voto) sul parlamento diviso. La risposta della piazza è arrivata: 68mila manifestanti in tutto il paese secondo le autorità, 220mila secondo gli organizzatori. La mobilitazione guidata dai sindacati più duri e da associazioni di studenti non arretra, ma è sempre più incontrollabile con gruppi di giovani incappucciati che si infiltrano tra i manifestanti.
A Parigi il quartiere Montparnasse è stato teatro di una guerriglia urbana tra agenti e “casseurs”, gli infiltrati, con il corteo spaccato a metà. La mattina a Nantes ci sono stati diversi incidenti, con negozi e banche saccheggiati, un fotoreporter ferito. Il ministero dell’Interno ha comunicato il fermo di 87 persone per gli incidenti. Neppure il cordone di celerini e il servizio d’ordine dei 7 sindacati che avevano convocato la manifestazione sono riusciti ad evitare il degenerare della manifestazione.
«Manifestare è un diritto, distruggere è un reato», ha ribadito Hollande. Nell’ambito delle rigide regole dello stato d’emergenza, a 53 manifestanti era stato recapitato un divieto della prefettura a tornare nei cortei. Il tribunale le ha annullate quasi tutte, accogliendo l’osservazione degli avvocati che «non si può impedire a nessuno di manifestare, è una violazione delle libertà fondamentali». Vicenda singolare quella del fotoreporter noto con lo pseudonimo di Nno-Man, già fermato come casseur e raggiunto dal divieto. Anche per lui il giudice ha deciso di cancellare l’ordinanza del prefetto ma il fotografo è stato di nuovo bloccato mentre cercava di accedere al cuore della manifestazione, per poi finalmente accedere da un altro lato. Nei prossimi giorni la protesta continuerà con scioperi annunciati di camionisti, ferrovieri, macchinisti, controllori di volo. Domani è prevista un’altra giornata nazionale di mobilitazione. A Parigi manifestano anche i poliziotti, oggi, che denunciano continue aggressioni e “la haine anti flics”, l’odio anti sbirri.
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Mattia era venuto per studiare matematica alla Sorbona. Si è ritrovato a sognare la rivoluzione. Il suo cellulare non smette di squillare, nuovi avvisi per cortei, riunioni, azioni lampo. «Ogni tanto devo spegnere per combinare qualcosa anche all’università». Mattia, 27 anni, è uno dei tanti italiani dentro a Nuit Debout, il movimento nato contro la riforma del lavoro ispirata in parte dal Jobs Act di Matteo Renzi, secondo stessa ammissione del premier francese Manuel Valls. La protesta che si è vista poco o niente in Italia durante l’approvazione della legge, va in scena a oltranza in place de la République. «A differenza del nostro paese, i francesi hanno uno Stato sociale solido, che vogliono difendere», osserva Adele, 24 anni, arrivata da Livorno con il programma Erasmus. «I giovani sono i grandi esclusi dal sistema italiano», aggiunge Michele, 26 anni, dottorando in Fisica. La piazza dell’undicesimo arrondissement è una ribalta sempre affollata. «È paradossale trovare in Francia un protagonismo politico che ci è mancato», continua Mattia seduto sulla scalinata con gli altri amici.
Da due mesi e mezzo fanno insieme le ore piccole. “Les italiens” sono gli stranieri più numerosi delle notti in piedi, seguiti da spagnoli e tedeschi. Si sente parlare con accento milanese nella mensa, dove i ragazzi cucinano solo vegano. C’è una ragazza di Roma nella commissione logistica che si occupa delle strutture mobili. «Qualcuno scherza sul fatto che abbiamo preso il potere», dice Mattia. Con Adele e Michele gestisce la pagina Facebook in italiano del movimento che ha anche “Radio Debout”, “Tv Debout” e il giornale online “Gazette Debout”. In piazza, verso la rue Turbigo, è stato allestito un grande schermo, CinéLuttes, sul quale vengono proiettati documentari sulle lotte sindacali degli anni Settanta e Ottanta.
Inutile cercare un filo conduttore tra lo stand di esperanto, la commissione sulla presenza militare francese in Africa, il dibattito sull’islamofobia o la scrittura di una nuova Carta dei diritti universali. «Anche questa è politica», sostiene Mattia. A parte qualche eccezione, come l’economista Frédéric Lordon e il regista François Ruffin, il movimento continua a essere senza leader e molto variegato nella sua composizione. Un’indagine interna ha decretato alcune caratteristiche: età media 31 anni, un terzo di laureati, un quinto di disoccupati.
«È bello non essere omogenei », dice Adele che ha partecipato a varie azioni, come l’occupazione di un liceo per accogliere migranti. «C’è un’oggettiva convergenza delle lotte, in particolare sul tema delle frontiere, significativo anche per noi espatriati», spiega Michele.
Non è ancora emerso uno slogan per riassumere Nuit Debout che nel manifesto online parla di un generico «riprendere la parola». Forse ha ragione il mentore Lordon quando dice: «Non rivendichiamo nulla». «Abbiamo individuato problemi comuni a cui vanno date risposte globali», sintetizza Mattia. Tre parole d’ordine: frontiere, precarietà, spazio pubblico. A rallentare l’emergere di proposte concrete, c’è il meccanismo di voto ancora in via di definizione. La commissione Democrazia – incaricata di organizzare le modalità di partecipazione – è suddivisa in quattro gruppi di lavoro, alcuni sottogruppi. I tre italiani ormai partecipano poco alla lunga assemblea generale che si riunisce ogni giorno alle diciotto. «È un po’ dispersiva», dice con eufemismo Mattia che preferisce concentrare le energie alla commissione internazionale da dove è partito l’appello “Global Debout” di domenica scorsa. L’adesione nelle piazze italiane è stata finora sottotono.
Verso mezzanotte i poliziotti cominciano a chiedere di andar via. Il rapporto con gli agenti rimane teso. «Questa piazza pacifica è stata più volte sgombrata in modo violento», dice Michele. La presenza di casseurs, gli infiltrati, viene minimizzata. «Non vogliamo dividerci tra buoni e cattivi». A poche centinaia di metri c’è il Bataclan. Secondo Adele la lotta contro il terrorismo è diventata un alibi «per una repressione indiscriminata». Mattia ammette: «L’uso della violenza è un tema molto dibattuto tra noi».
Tra qualche settimana la contestata Loi Travail potrebbe essere approvata con un “passaggio in forza” (una fiducia senza voto) del governo sul parlamento diviso. «È una nostra vittoria», dicono gli italiani. Nuit Debout dovrà trovare altri obiettivi. Adele: «Questa piazza non esaurisce il movimento». Michele: «Ci sono persone che sono venute a manifestare per la prima volta, qualcosa è stato seminato». Vista da place de la République l’Italia sembra davvero lontana.