
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dati Istat diffusi ieri mostrano che la nostra speranza di vita - la speranza di vita degli italiani che nascono adesso, cioè - è leggermente diminuita: 0,2 punti in meno per gli uomini, 0,3 per le donne.
• È grave?
È un segnale. Coerente con quanto già sappiamo della nostra struttura demografica: facciamo pochi figli (1,37 per donna invece del 2,1, tasso minimo per tenere la popolazione in pari), il numero di anziani è in crescita costante (157,7 per ogni 100 giovani), il rapporto tra lavoratori e pensionati è sempre più sbilanciato verso i pensionati, cioè a questo punto ci sono 55,1 persone che vivono di pensione ogni cento lavoratori. I dati si riferiscono al 2014, ma non sembra ci siano le condizioni per cifre più consolanti l’anno prossimo. Quelle diminuzioni di 0,2 e 0,3 nella speranza di vita di uomini e donna sono in definitiva poca cosa, la speranza di vita degli italiani maschi è sempre di 80,1 anni e delle femmine di 84,7. Restiamo, come longevità, al terzo posto nel mondo, dopo il Principato di Monaco (85,86/93,64) e il Giappone (82,13/88,99), sopravanzando di gran lunga francesi, inglesi e tedeschi. Una classifica buona per noi, insomma. Ma quella piccola diminuzione della speranza di vita non è però priva di significato. A dicembre venne comunicato che il numero di morti nel 2015 sarebbe aumentato di 67 mila unità, rispetto al 2014, e riusciva difficile trovare una spiegazione. La spiegazione invece è relativamente semplice: la fascia di coloro che hanno più di 75 anni è sempre più numerosa. L’aumento delle morti, a struttura della popolazione costante, è quindi irreversibile. Gli italiani sono destinati ad essere sempre di meno, a meno che, naturalmente, non si aprano con decisione le maglie dell’immigrazione.
• Quanti di meno?
Le Nazioni Unite, a luglio, stimarono nel 2050 per l’Italia 56,5 milioni di abitanti, con un calo rispetto a oggi di tre milioni e mezzo. La nostra età media, oggi di 46 anni, crescerà allora a 52 anni. Oggi una persona su 14 ha più di 80 anni. Nel 2050 sarà una su sei. È una prospettiva drammatica sia sul piano economico che su quello sociale. Tra l’altro, ci saranno molte più persone condannate a vivere sole.
• Che differenza c’è tra “vita media” e “speranza di vita”?
La “vita media” è l’eta media di una certa popolazione (somma dell’età di tutti in un certo momento divisa per il numero di abitanti). La “speranza di vita” è l’età media delle persone decedute in un determinato lasso di tempo. Alzare la speranza di vita in una popolazione del Terzo Mondo è relativamente semplice: basta combattere la mortalità infantile. La speranza di vita alla nascita della popolazione mondiale nel quinquennio 1950-55 era di appena 46,4 anni. Quarant’anni dopo (1990-95) era già di 64,7. Oggi supera abbondantemente i 70.
• Come mai l’Istat s’è messa a parlare di “speranza di vita” proprio ieri?
Questo dato, che a noi è parso il più interessante e significativo, è contenuto nel famoso rapporto annuale dell’Istituto, intitolato Noi Italia.
Ci ricorda una serie di cose, buone o cattive, che in fondo però già sapevamo: il Pil del Sud è la metà di quello del Nord, il Mezzogiorno è l’area più popolata del Paese, 20 milioni di italiani, su 60, vivono in tre Regioni: Lombardia, Lazio e Campania. Leggiamo poco, ma andiamo nei musei e al cinema. La criminalità è in calo e siamo diventati più bravi a riciclare i rifiuti. Il nostro agroalimentare è primo in Europa per qualità e siamo anche più salutisti: mangiamo meglio e fumiamo meno, anche se solo un terzo pratica sport in maniera costante.
• La criminalità è in calo?
Sono in calo gli omicidi e le rapine, ma sono in aumento i furti. L’incidenza maggiore di omicidi continua a registrarsi in Calabria, con la Campania che invece svetta per il valore massimo di rapine, a fronte del Centro-Nord che presenta i tassi più alti per furti denunciati. Le vittime degli omicidi sono per il 31,1% donne, e nel 55% dei casi l’assassino è il partner o l’ex partner. A livello territoriale Umbria e Toscana presentano la percentuale più alta di vittime donne. Nel confronto con i paesi europei l’Italia si conferma in una posizione intermedia per questa tipologia di omicidio. Gli italiani però percepiscono la criminalità come uno dei problemi più gravi: nel 2015 la quota di famiglie italiane preoccupate per la malavita è salito significativamente (41,1% dal 30% del 2014). È possibile che queste paure siano legate all’aumento della popolazione straniera, cresciuta, nonostante la crisi, dell’1,9%, per un totale di 5 milioni di cittadini (l’8,2% dei residenti). Infine una buona notizia: si riducono i consumatori di alcol a rischio (15,5%), i fumatori (19,5%), le persone obese (10,2%).
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