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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

NOTRE FOOT DE PARIS


Immanuel Kant due certezze diceva d’avere: la forza morale dentro di sé e il cielo stellato sopra di sé. Noi, che si gioca in altri campionati, possiamo immaginarne altre.
Gli inglesi hanno inventato il football.
I rioplatensi hanno inventato l’amore per il futbol.
I francesi, che sono stati i veri americani del mondo sino all’inizio del Novecento, tutto quello che serviva per far diventare le foot il vero esperanto del mondo.
Tutto nasce dalla visione di un uomo, un piccolo avvocato, il figlio del pizzicagnolo appassionato di arte che era giunto sotto la Tour Eiffel dal dipartimento dell’Alta Saona.
Parigi, ovviamente.
La città dove tutto nasce, per davvero. E quando due fratelli armeggiando con lenti e cremagliere, bucherellando per la prima volta una pellicola ai lati, riprendendo un gruppo di operai che uscivano da una industria di Lione, avevano pensato a un pubblico per proiettare la loro prima opera, ecco, l’orizzonte era solo la Ville Lumière. Nomen omen, per Auguste e Louis. Così, a Parigi, la città che tutto coopta, nasceva, davanti a trentatré esterrefatti spettatori, il cinema. Prima proiezione al Salon Indien du Grand Café. Nono arrondissement. Due anni dopo, 1897, altri due fratelli, Modeste e Jules, con un gruppo di amici, solito cafè parigino, stavolta il Villiermet: viene fondato il Red Star club de football. Non molto lontano dalle prime immagini in movimento proiettate nel seminterrato del Grand Café, però dall’altra parte della Senna, sulla Rive Gauche, non a caso il lato culturale-artistico-ribelle, nasceva l’idea del calcio.
L’idea di un gioco diverso. L’idea di un gioco davvero per tutti. Jules Rimet è stato il motore della fondazione di quel piccolo club. Aveva compreso prima e meglio di tutti che quello sport nasceva con una missione importante. «L’importante è partecipare» del Barone de Coubertin, valeva giusto per i pochi, i pochissimi che se lo potevano permettere.
«Un moyen de compréhension et d’amitié entre toutes les jeunesses du monde». Ecco, secondo Rimet, cosa poteva e avrebbe dovuto essere il calcio. Amicizia tra i giovani di tutto il mondo. Tutti i giovani. Infatti, Rimet vede nelle virtù sociali di quel gioco un veicolo di emancipazione, anche per quei ragazzi delle fabbriche che dopo il boom della rivoluzione industriale avevano portato sul palcoscenico della Storia una nuova classe sociale.
Cristiano praticante, inserito in quell’alveo dei cristiano-sociali molto vicini al giornale Sillon di Sangnier (movimento presto messo all’indice da OltreTevere per la sua eccessiva benevolenza nei confronti della «Modernità»: quant’era lontano il Concilio Vaticano II...), l’avvocato Rimet rimane uomo di visione, poco etichettabile e con un chiaro obiettivo. La volontà è quella di portare il calcio in mezzo alla gente, contrastando l’idea borghese dello sport per pochi.
La Belle Époque, con la Guerra franco-prussiana alle spalle, e la voglia d’inventarsi un futuro sempre diverso e migliore, di fronte, rimane un campo di battaglia tra differenti rivalità ideologiche e politiche. Il calcio si mescola a tale conflitto, a cui partecipano monarchici e repubblicani, borghesi e proletari. La legge che definiva la separazione tra Chiesa e Stato viene approvata in Francia nei primi anni del Novecento. Pochi mesi dopo, in risposta a questa legge, c’è l’impegno di un patronato cattolico di Auxerre, mosso dal volere dell’abate Ernest Deschamps, di costituire un club di calcio: lo sport, il gioco deve rimanere una pratica della gioventù, al fianco della ricerca spirituale e della preghiera. Nasce l’AJA, Association de la Jeunesse Auxerroise, come noi oggi dovremmo ancora chiamare la squadra della città, che ha, negli anni, vinto titoli e formato tanti talenti.
Troviamo sovente la croce all’interno degli stemmi dei club. Così come nell’AJA di Auxerre, anche nel Racing Parigi, club che allarga la bacheca delle coppe a cavallo del secondo conflitto mondiale, cancellando quel ritrito cliché che nella Città delle Luci sono troppo occupati ad andare a teatro e a discutere nei cafè per andare al campo: la capitale francese in quegli anni qualche idea rivoluzionaria la partorisce, qualche movimento culturale di un certo peso lo propone, eppure gli stadi sono pieni per vedere le maglie bianco azzurre dei Pinguni, come li soprannominano alcuni giornali. Non c’è città dell’Esagono che raggiunga un così alto numero di spettatori nello stadio Yves-du-Manoir di Colombes.
Questo impianto, durante le Olimpiadi del 1924, aveva riunito e conciliato per sempre la coscienza popolare francese del gioco allo spirito rioplatense del divertimento legato al futbol. Gli uruguayani avevano scherzato in finale contro la Svizzera (vittoria senza discussioni per 3-0) mostrando un’idea superiore del gioco che introduceva una nuova éra di questo sport, sempre più amato, diffuso, riconosciuto. La stella di quell’Uruguay, José Luis Andrade, si può permettere l’invito di Josephine Baker, la regina delle Folies Bergère, la donna, testimonia Georges Simenon, più affascinante dell’intero globo.
C’è riuscito Jules Rimet. Perché finalmente il calcio si differenzia dalla maggior parte degli altri sport. E, per come lo conosciamo noi, nasce lì. La sua missione, tuttavia, continua. L’Uomo del Calcio diventerà uomo di potere: presiederà prima la Federazione Francese poi la FIFA. A lui si deve l’idea principale dello sviluppo, a lui si deve l’idea del Mondiale e quel discorso sulle magnifiche sorti del Brasile, cancellato in fretta prima di consegnare la coppa del Mondo (intitolata proprio a Rimet) a Obdulio Varela, nel Maracanà pieno di lacrime, a lui, anche, si addebitano critiche nella gestione della federazione internazionale. Principalmente l’assegnazione dei Mondiali del 1934 all’Italia Fascista e il contraverso rapporto col regime di Vichy.
Proprio a quel periodo oscuro della Francia si lega poi, indissolubilmente, quasi per un intervento superiore del destino, il club da lui fondato nel lontano 1897, il Red Star, per veicolare i valori differenti del football.
Rino Della Negra è un calciatore di origini italiane. A casa sua, ad Argenteuil, gioca senza problemi tutti i ruoli, è un sublime conoscitore del gioco. Uno che ama la libertà, non solo sul terreno di gioco. Si trasferisce al Red Star, ma non ci sarà il tempo a Parigi per ammirare le straordinarie qualità calcistiche di questa speranza del football francese. C’è una battaglia diversa, più importante in cui impegnarsi, dando tutto. C’è da combattere i nazisti.
Si arruola tra i partigiani comunisti, compie diversi atti di sabotaggio contro l’esercito occupante. Alla fine viene catturato dalla Gestapo: prima di essere fucilato, invia al fratello una lettera in cui ricorda al congiunto di salutare, per l’ultima volta, tutti i suoi compagni di squadra del Red Star.
Oggi è il simbolo del club, allo stadio Bauer (un medico lui pure ucciso dai nazisti), una targa ne perpetua il ricordo, la tifoseria ne ha fatto il suo simbolo, e a lui è stata dedicata una tribuna.
Tra quei compagni ricordati da Rino nell’ultima lettera al fratello c’era anche un argentino, figlio di un’anarchica spagnola, cresciuto in Marocco col mito della grandeur francese. Si chiamava Helenio Herrera, e aveva promesso a se stesso di ritornare nella città e nel Paese che gli aveva dato la possibilità di conoscere il calcio, prima da giocatore e poi da allenatore.
C’era stata la chance. Dopo i successi continentali e intercontinentali con la Grande Inter e il passaggio non indimenticabile alla Roma, giunge sulla scrivania del Mago l’invito a condurre una squadra di calcio che sta calamitando gli interessi dei parigini, il Paris Saint Germain. Non se ne fece nulla, troppo il desiderio di Herrera di tornare a comandare all’Inter e a farsi rispettare in Italia, che era ormai diventato il suo Paese.
Poco a poco il PSG, anche senza quel genio in panchina, torna a far lievitare l’interesse per il calcio nella capitale. Non basta il grande investimento di Jean-Luc Lagardère (quello delle edizioni Hachette) per far rivivere i Pinguini del Racing sponsorizzato Matra. Fa arrivare in bianco-azzurro anche Enzo Francescoli e il tecnico Artur Jorge, fresco campione d’Europa con il Porto. Parigi ha però già scelto il PSG, che riesce a imporsi sul territorio, fino al doppio balzo, prima con la proprietà CanalPlus, poi, ultimamente, attirando gli investimenti del Qatar. Il Paris Saint Germain è oggi padrone del calcio francese: ha vinto quattro campionati consecutivi, gli ultimi, senza metterci nemmeno troppo impegno. L’anno prossimo potrebbe tornare a giocare un derby cittadino, proprio contro il Red Star, che gioca in Ligue 2 e occupa una delle prime posizioni.
Forse farebbe piacere a Jules Rimet, che però sarebbe più soddisfatto di un altro aspetto.
Oggi, Parigi insieme all’Île-de-France è la fucina di talenti più importante d’Europa. Giovani calciatori sgambettano su tutti i campi disponibili attorno alla Tour Eiffel, anche se molti di questi se la immaginano solo. Un catalogo infinito di nomi che comprende l’élite del calcio transalpino da Paul Pogba a Kingsley Coman all’ex Juve,ora al Bayern, passando per Anthony Martial, nuova stella del Manchester United. Ben Arfa, Biabiany, Areola, Digne, Evra, Lass Diarra, sono solo altri assi pescati a caso nello sterminato mazzo di figurine che segnalano come luogo di nascita e di crescita il centro della Francia.
Ragazzi provenienti da famiglie di tutto il mondo, riunitisi su un campo di calcio, con la voglia di giocare il più bello sport del Mondo.
«Un moyen de compréhension et d’amitié entre toutes les jeunesses du monde».
Ci aveva visto giusto, Jules Rimet.
Merci pour tout, e buon Europeo.
Federico Buffa e Carlo Pizzigoni