Il Sole 24 Ore, 8 aprile 2016
Si commercia sempre meno carbone
Al di là dei confini nazionali, il carbone continua a fare da traino alla produzione di energia elettrica con una quota del 40% (contro il 20% del nucleare e il 17% del gas). Ma, dopo un decennio di crescita al ritmo del 5% annuo, il commercio mondiale di carbone ha tirato il freno segnando un calo del 2,3 per cento. «In questo momento non c’è alcun incentivo per nessuna fonte di approvvigionamento a creare nuova capacità produttiva visto che siamo in presenza di un eccesso, a causa della crisi, che si misura con una stagnazione dei consumi», spiega al Sole 24 Ore, il presidente di Assocarboni, Andrea Clavarino, che oggi, in occasione del convegno “Sistema elettrico italiano: proposte per la transizione nel post Cop21”, fornirà una fotografia aggiornata del settore. Che sconta, chiarisce il numero uno, «una situazione molto simile a quella che sta andando in scena nel comparto petrolifero: cioè che circa la metà della produzione mondiale è in perdita. In America, per esempio, ci sono stati molti fallimenti e anche in Australia stanno soffrendo parecchio tutti coloro che producono carbone per l’energia elettrica».
Tuttavia i dati che saranno diffusi oggi dall’associazione confermano, come detto, la leadership del carbone a livello mondiale nel 2015 con una capacità di generazione che, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), dovrebbe crescere dagli attuali 1.805 a 2.843 gigawatt nel 2040, con l’India a fare la parte del leone. «Il 2015 – prosegue Clavarino – ha visto lo scatto avanti di quest’ultima che ha superato la Cina e si è affermata come il primo importatore al mondo di carbone, con 210 milioni di tonnellate di importazioni, rispetto ai 180 milioni di tonnellate dei cinesi». Ad avanzare, però, è anche il Giappone che raggiunge i 190,6 milioni di tonnellate di import (+1,3%), affiancato dalla Corea con 93,7 milioni di tonnellate (+1%) e dalla Turchia, dove l’import totale si attesta a 34 milioni di tonnellate (+14%).
Quanto all’export, la palma d’oro va invece all’Australia, che si è confermata il principale esportatore al mondo di carbone da vapore, con 387 milioni di tonnellate, mentre al secondo posto si piazza l’Indonesia con 255 milioni di tonnellate. E l’export risulta in aumento del 4%, rispetto al 2014, anche per la Russia (153 milioni di tonnellate), per la Colombia (+7,3%, a quota 80,5 milioni di tonnellate) e per il Sudafrica (+1,5% con 75,6 milioni di tonnellate registrate).
E nella penisola? Mentre l’Europa continua a girare prevalentemente a carbone per il 28% (seguita dal nucleare con il 24%), l’Italia resta, secondo i numeri sfornati dall’associazione, l’unico paese dell’Unione Europea ad avere una quota di ricorso al carbone estremamente bassa (13%), pur non utilizzando il nucleare. E, nel 2015, precisa il presidente di Assocarboni, «la situazione italiana è rimasta sostanzialmente identica e in linea con l’anno precedente», con le importazioni di carbone per la produzione di energia elettrica che si attestano a 16 milioni di tonnellate, mentre le importazioni di carbone metallurgico si fermano a 3,5 miliardi di tonnellate a fine 2015.
Servirebbe quindi, osserva Clavarino, riequilibrare il mix energetico italiano – che vede ancora il petrolio come prima fonte di approvvigionamento (36%), seguito dal gas con il 33,3% e dalle rinnovabili (17,5%) – a favore del carbone. «Le imprese italiane – prosegue – pagano un 50% in più il prezzo dell’energia rispetto alla media europea. E i comparti ad alta intensità di energia (l’acciaio, la ceramica, il vetro e la carta) stanno facendo dei miracoli per sopravvivere con una bolletta elettrica molto alta. Bisogna dunque non andare oltre altrimenti – avverte Clavarino – corriamo il serio rischio di dover smantellare un pezzo importante del tessuto manifatturiero del paese».
Ma qual è la direzione da intraprendere? Il numero uno di Assocarboni non ha dubbi. «Bisogna restituire loro la capacità di competere e questo si può ottenere con un po’ di carbone, quantomeno difendendo quello che abbiamo. Non possiamo trovarci mai più in una situazione come quella di Vado Ligure (dove la centrale a carbone di Tirreno Power è stata fermata perché considerata inquinante, ndr)», insiste Clavarino non prima di aver ricordato che tutte le centrali italiane hanno la certificazione ambientale europea dell’Emas (Environmental Management and Audit Scheme). E, aggiunge, i moderni impianti ad alta efficienza e a basse emissioni disponibili oggi nella penisola, emettono tra il 25 e il 33% di anidride carbonica in meno e vantano un rendimento medio del 40% «con un picco – ricorda Clavarino – del 36% registrato nell’impianto di Torrevaldaliga Nord: livelli che nel mondo vengono raggiunti solo da un impianto in Giappone e uno in Danimarca».