La Stampa, 8 aprile 2016
Quando il gossip è questione di potere. La storia del pettegolezzo scritta dal responsabile vaticano della comunicazione
Cogito ergo sum. Ma, anche, spettegolo e, dunque, comando. Un bizzarro sillogismo, il secondo, che fornisce un’ulteriore – e opportuna – chiave di interpretazione dell’universo del pettegolezzo. Da che mondo è mondo, infatti, dicerie e indiscrezioni suscitano curiosità (morbosa), divertono e intrigano. Ma svolgono anche, foucaultianamente, la funzione di «sorvegliare e punire».
Il gossip, allora, è anche una questione di potere (o di contropotere). E, così, ritroviamo tutti insieme, per fare qualche esempio, Dagospia, l’egemonia sottoculturale costruita a colpi di rotocalchi televisivi e cartacei nella fase trionfante del berlusconismo, le foto di François Hollande appena sgattaiolato fuori dall’abitazione dell’allora amante Julie Gayet, il fenomeno della peoplisation che ha investito la classe dirigente. E si capisce perfettamente come la «gossipologia» – pur tra ostracismi e imbarazzi – sia (giustamente) divenuta oggetto di analisi accademica, tra indagini sulla «politica pop» (formula coniata da Gianpietro Mazzoleni) e «cultural studies». Insomma, è Il gossip al potere (come hanno titolato un loro volume gli studiosi Marco Mazzoni e Antonio Ciaglia); in quest’ottica, si spiega anche la rilevanza del tema dei rumors all’interno della Chiesa cattolica, da San Paolo a Vatileaks – e la vera «scomunica» indirizzata nei loro confronti da Papa Bergoglio – come racconta ne Il brusio del pettegolo (Edizione Dehoniane Bologna, pp. 76, €7) il prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede Dario Edoardo Viganò. Che delinea nel libro una fenomenologia e una sociologia dei pettegolezzi dalla cultura orale della Galilea degli anni di Gesù Cristo fino alla loro diffusione virale nel Villaggio globale dei nostri decenni – periodo quest’ultimo in cui hanno trovato un habitat particolarmente favorevole.
Il pettegolezzo, che rappresenta una «pratica comunicativa» a tutti gli effetti, è di fatto un’«opera aperta» che si nutre delle rielaborazioni e delle integrazioni dei tanti che lo alimentano, e ha scoperto nel Web e nella comunicazione reticolare dei social network un canale di propagazione che le allegre comari di Windsor e quelle delle goldoniane Baruffe chiozzotte, inchiodate al tam tam e al sussurro all’orecchio altrui, non avrebbero potuto immaginare neppure nel più roseo dei sogni. Per di più, se la società della Rete ha imposto una sorta di «dittatura» della «disintermediazione» in ogni campo, al tempo stesso ha paradossalmente innescato un processo di «rimediazione» in quello dei mass media (e dei rumors): nell’orizzonte tecnologico digitale i vecchi e i nuovi media si contaminano (e «commentano») reciprocamente e senza sosta.
E dal momento che i social network posseggono una «natura conversazionale» hanno bisogno di narrazioni rapide, coinvolgenti sotto il profilo emotivo, e in grado di attrarre utenti con caratteristiche diverse: di qui il dilagare sfrenato dei rumors nell’epoca liquida. Visto il suo successo nel mondo postmoderno, il pettegolezzo, declinato nelle varianti della calunnia e della delazione, può essere oggetto di pianificazione, diventando in tutto e per tutto un formidabile strumento di potere oppure un’arma di distrazione di massa. «Il profilo antropologico del pettegolo – scrive Viganò – ha, quindi, i tratti del potente, del legislatore e del giudice o di chi è animato da un desiderio di potenza nella propria comunità». Quelle gossipare possono dunque essere delle soft news «a scopo squadristico» e per il killeraggio degli avversari, difficili da sventare se non ricominciando a riflettere sul sistema di funzionamento (la «logica mediale») dell’eterno e antichissimo passaparola. E, così, tutto si tiene...