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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

Botox e Viagra, un matrimonio che non s’ha da fare

Col nuovo regolamento del Tesoro Usa che limita i benefici fiscali delle fusioni societarie internazionali, Barack Obama costringe il gigante farmaceutico americano Pfizer e la Allergan (quella del Botox) a rinunciare a un takeover da 152 miliardi di dollari, il secondo più grande della storia. Quella della multinazionale che getta la spugna è una notizia finanziaria di prima grandezza che può avere conseguenze sismiche per i grandi gruppi e far scivolare la Pfizer verso una crisi fin qui ben mascherata, ma è anche altro: il primo caso in cui il mutamento di umori politici negli Stati Uniti – un Paese che continua a credere nell’economia di mercato, ma è sfiancato dagli eccessi di Wall Street e delle lobby, dall’impatto della globalizzazione in un sistema con pochi ammortizzatori e da un Fisco che premia i ricchi – produce un effetto concreto. Altri, con ogni probabilità, seguiranno: proprio mentre gli azionisti di Pfizer rinunciavano alla fusione e mettevano sotto accusa i suoi capi, rei di non aver capito l’impatto politico di un’operazione finalizzata a una gigantesca elusione fiscale, il Dipartimento della Giustizia ha deciso di bocciare un’altra megafusione (stavolta nel campo degli impianti petroliferi, Halliburton-Baker Hughes) perché in contrasto con le regole antitrust. Col Congresso paralizzato dalla volontà dei repubblicani di bloccare l’attività di Obama e con un sistema politico mai così dipendente dal denaro delle lobby, le grandi corporation hanno conquistato (o consolidato) un potere enorme. È significativo che, davanti a un’operazione partita nel 2014, la Casa Bianca abbia dovuto aspettare la fine del secondo mandato del presidente, nel mezzo di una campagna elettorale infuocata dalle spinte anti-establishment di un ceto medio arrabbiato, per tagliare la strada ai giganti farmaceutici. Obama si è mosso quando ormai il trasferimento di Pfizer nel paradiso fiscale irlandese era stato condannato non solo dal socialista Sanders e da Clinton, ma anche dal battistrada dei conservatori, Trump. Certo, dopo le presidenziali tutto potrebbe tornare come prima, ma il problema delle eccessive diseguaglianze è ormai sul tavolo del sistema politico, repubblicani compresi. E il Congresso non potrà più rifiutarsi di riformare il tax code : c’è da riequilibrare il prelievo fiscale tra ricchi e poveri, ma anche da correggere una tassazione penalizzante per le imprese e all’origine della fuga verso i «paradisi».