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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

Perché Ricucci era meglio di Gemelli? Storia di un arrampicatore che sognava di essere Bel Ami ed è finito con l’assomigliare al Sordi del Vedovo

Sperava di essere Bel Ami; era solo Ricucci, forse neanche quello. C’è qualcosa dell’arrampicatore di Maupassant nel talento di Gianluca Gemelli per subornare donne più potenti e benestanti di lui.
Donne che si sentono «usate» e «trattate come una sguattera del Guatemala». Ma nel romanzo l’operazione da cui trarre vantaggi e denari era la conquista francese del Marocco, non l’oleodotto di Tempa Rossa. E le conversazioni si tengono prudentemente nei salotti della Parigi ottocentesca, non attraverso questi benedetti telefonini a cui almeno tra familiari sarebbe bene preferire i contatti diretti. E quindi, più che Georges Duroy divenuto Du Roy de Cantel e detto appunto Bel Ami, Gemelli finisce per ricordare l’Alberto Sordi del Vedovo – «se noi trasformiamo questi bovini in liquido e li mettiamo negli ascensori, ao’, noi guadagniamo dieci volte tanto!» —, sempre alla ricerca del sostegno e dei soldi della moglie, che lo chiama con un vezzeggiativo più di affetto che di stima (quando nel 2003 Sordi se ne andò, al Corriere arrivò un necrologio: «Ciao Cretinetti. Franca Valeri, Milano»). Come la Valeri si sfoga quasi incredula per gli investimenti sbagliati di Sordi – «mi è costato trenta milioncini in ventiquattr’ore… si è messo in testa di fregare la Montecatini…ha comprato la solfatara, quella che volevano affibbiare a me…lui quello che gli mettono davanti firma!» —, anche Federica Guidi si ribella, sia pure più disperata che sarcastica: «Ma quando tu ti sei andato a sputtanare centinaia di milioni di euro, in una situazione che neanche un deficiente…». E l’ufficio, «quanto ti è costato l’ufficio, dimmi? Un milione di euro!».
È la stessa Guidi a citare Ricucci e il suo «quartierino». Il ministro si sente presa tra due fuochi: la «combriccola» del compagno e la squadra di governo di cui fa parte, in cui fatica a toccare palla. Lei è esasperata: «Non fai altro che chiedermi favori, con me ti comporti come un sultano», «io per te valgo meno di zero», e ancora: «Per te valgo meno di zero come tutte». Lui si vanta di averla «messa in croce», la chiama «figlia mia», si lamenta di Guerra, di Padoan, di De Vincenti «pezzo di m.», di Lotti che la «sta massacrando», di Delrio contro cui medita di organizzare pure un dossier con foto.
Alla fine, per quanto il giudizio su un ministro della Repubblica sia inevitabilmente più severo, lei esce decisamente meglio di lui. Dall’uomo arrivano richieste imperative – «presentami l’amministratore delegato della Drilling, presentami l’amministratore delegato di Shell, di Total, di Tamoil!», «visto che lo fai con gli altri fallo anche con me» —, la donna ricorda le proprie responsabilità e i propri guai: gli «altri» sono il presidente degli aeroporti toscani e un manager di tratte aeree, «non sono né amici, né parenti, né cognati, né fratelli. Io conto di risolvere il problema Meridiana che è una crisi aziendale». Lui si compiace citando Razzi, ride con un altro furbetto del suo quartierino che invece si paragona a Lotito; lei replica che il mattino si deve alzare alle tre e mezza per andare a lavorare, «perché so com’è fatto il mondo, non vivo su Marte. Tu invece…». Lui invece trascura il figlio, promette una statua a nome del «capo» – l’ammiraglio De Giorgi —, si sente promettere «un sommergibile come scorta»: Ricucci si sarebbe schermito.
Va detto infatti che il padre di tutte le intercettazioni rispetto a Gemelli non soltanto mostra maggior humour, per quanto greve, ma ha anche più rispetto per la sua donna. Ricucci a suo modo è un femminista: non soltanto porta all’altare Anna Falchi, ma le intesta metà del patrimonio; «e che è, cominciamo a dividerci prima ancora di sposarci?». Gemelli alla sua compagna, impegnata in 150 trattative con aziende a rischio chiusura, impone non solo la priorità dei propri affari personali, ma pure le faccende domestiche: «Io non sono cretina…perché tutte le volte…le camicie, le cattiverie, tutto…per te è un diritto, ottenere quello che tu pensi sia possibile».
L’Italia resta purtroppo il Paese in cui puoi ereditare un’azienda di successo, puoi presiedere i giovani industriali, puoi diventare il capo di un dicastero che ne vale tre della Prima Repubblica – Industria, Commercio con l’Estero, Poste e Telecomunicazioni —; ma alla fine il tuo uomo, le poche volte che ti vede di persona, ti chiede di stirargli le camicie. Bel Ami non l’avrebbe mai fatto; e neppure Ricucci.