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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

IL BARBIERE DEI NARCOS LI RACCONTA NEI FILM


Che il regista venezuelano Jackson Gutiérrez non abbia ancora fatto un film sui morti bruciati è solo un caso. O meglio una questione di tempo. La pratica di dar fuoco ai ladri, vivi o morti, ha preso piede solo da due anni tra gli abitanti di Petare, il barrio pericolosissimo nell’estremità orientale di Caracas dove Jackson lavora come parrucchiere nel piccolo salone Tazmania, una stanzetta con le pareti bianche e azzurre dietro una porta in lamiera con una insegna scritta a mano, incassata tra case di mattoni a crudo e muri rotti, stradine ripide dai gradini smossi, finestre con le grate in ferro, arrugginite, le porte in assi sgangherate, mucchi di spazzatura ai lati della strada, i cavi elettrici delle connessioni irregolari che sbucano dal selciato.
Nell’unica sedia del salone Jackson taglia barba e capelli a narcotrafficanti, taglieggiatori e sicari del quartiere, di cui racconta le storie nei suoi film: sequestri e sparatorie, morti ammazzati e guerre tra bande che insanguinano ogni giorno le strade del quartiere e di gran parte di Caracas. Dovesse scegliere tra la carriera cinematografica e quella di barbiere, Jackson Gutiérrez deciderebbe per quest’ultima, ha dichiarato in più occasioni, e non solo perché è la sua passione fin da ragazzino. Il fatto è che dalla barberia nasce tutto il resto.
L’idea di fare il primo film gli è venuta nel 2006 quando un suo cliente, El Gacho, gli ha raccontato la sua parabola di narcotrafficante e lui, a quel tempo ventiduenne, si è comprato una telecamera mini DV e ci ha girato un film, con Gacho in carne e ossa che interpretava se stesso. Si intitolava Azotes de barrio en Petare ed era il primo di una serie di sette che, costata in tutto 230 euro, raccontava la violentissima realtà del quartiere, con sparatorie nella notte e fughe in moto e adolescenti pistoleri.
Diffusa in copie pirata ha ottenuto un successo straordinario: centinaia di copie vendute e un milione e mezzo di visite su YouTube che ne hanno fatto un caso nazionale. Ha rischiato di essere censurata, a dire il vero, e il regista di passare qualche guaio per l’utilizzazione di minori nelle scene di crimine, ma si è salvato perché i ragazzi erano parenti o amici e perché il film sembrava un documentario. È a quel punto che Gutiérrez ha deciso di aggiungere la carriera di regista a quella di barbiere e da allora ha girato ben 18 film tra cui il parecchio crudo Las dos caras de la vida, la cui scena iniziale è l’omicidio di una ragazza che partorisce mentre l’ammazzano, a colpi di pistola, nella periferia della capitale.
Diffuso anche quello in copie pirata ha vinto due premi al festival nazionale di Mérida, uno della critica e l’altro per il miglior attore secondario che poi è lo stesso Jackson, interprete di tutti i suoi lavori nella parte del cattivo e dire che non è un adone, né un tipo magnetico: basso e tozzo, con corti capelli a spazzola e occhietti manco troppo svegli. Il successo dei suoi lavori non poteva non attirare l’attenzione di critici e registi di fama, uno dei quali, Carlos Malavé, gli ha proposto di fare insieme un remake della sua prima serie ed è così che è nato Azotes de barrio, uscito nel 2013 nelle sale più importanti del Paese e incentrato sull’amore tragico tra Alicia e Donay, interpretati dai due attori di successo Mariana Francisco e Alexander Da Silva, un biondo fighetto che dei barrios conosceva a stento l’esistenza prima che Jackson lo scritturasse. «Ho passato settimane a Petare in mezzo a persone di cui non capivo lo slang, i codici, ho dovuto imparare parole che non avevo mai sentito» ha raccontato Da Silva, che fa la parte del cattivo che si redime grazie all’amore di una donna, anche se poi si vendica quando l’amante di lei, il malvagio Garimpeiro interpretato da Jackson, la scopre e l’ammazza. Proiettato nelle più importanti sale del Paese, il film è stato visto da circa duecentomila persone, il secondo dell’anno per numero di spettatori, e l’infaticabile Gutiérrez si è messo a quel punto a lavorare al suo primo lungometraggio da solo, il film Complot che molti considerano il suo più riuscito per come riesce a rendere il messaggio del sottotitolo: «Nessuno sa chi è chi». Letto trasversalmente: in un mondo in cui si lotta per il denaro ma illegalmente, non sai chi sono i tuoi amici né quando smetteranno di esserlo. Non che la critica e i colleghi siano tutti generosi con Jackson, che viene definito un regista di cine-guerrilla, un sovversivo, ma a cui molti non riconoscono lo status di artista.
Il critico Luis Bond ha stroncato Azotes de barrio che ha definito poco convincente, a differenza dei primi esperimenti di Gutiérrez, spontanei e interessanti. C’è chi si è stancato di quei film tutti omicidi e sangue che etichettano da sempre il Venezuela ma come opporsi, d’altro canto, proprio quando un film venezuelano ambientato nel degrado di quartieri off-limits ha vinto a Venezia? E come dimenticare la violenza in un Paese in cui il tasso di omicidi è del 79 su 100mila abitanti, uno dei più alti al mondo? Gutiérrez è cresciuto nei barrios più difficili, conosce i codici e le bande. Aveva la tempra giusta per non farsi intrappolare ma sa che non è facile. E così mentre Complot prende il volo per gli Stati Uniti, lui tiene corsi di cinema per ragazzi di strada, e intanto prepara un film sul cestista Juan Manaure, ex-idolo della squadra dei Cocodrilos e neo-cantante di merengue. Sarà Manaure a interpretare se stesso, un ragazzone tutto muscoli che pare reciti divinamente. Accanto a lui ci saranno i soliti dei film di Jackson come Budù, attore e musicista hip hop, corpo monumentale e parlata strascicata. La Barberia Tazmania continua a lavorare a pieno ritmo e ci si chiede come faccia Jackson a stare dietro a tutto visto che sta già pensando al prossimo lungometraggio, e a quello dopo. Quando lavora indossa lunghi bermuda e catena d’argento ma poi lo vedi in smoking, intervistato in tv nelle presentazioni ufficiali, a snocciolare le sue idee sul cinema. Oltre a muri e case rotte, dal suo salone si vedono palazzi popolari dai colori smorti. Molto più in basso, c’è il centro coloniale che la municipalità sta cominciano a sistemare, tinteggiando le case scrostate e rimettendo a posto i piccoli teatri per ospitare quella cultura che servirebbe al barrio per diventare meno barrio e dare alternative alla violenza.
Per ora sono sogni, di attuale c’è quella faccenda della giustizia popolare, dei ragazzi bruciati. Come i tre che, qualche giorno fa e dopo aver derubato alcuni passanti, sono stati catturati dagli abitanti che ne hanno ucciso uno per poi dargli fuoco.
Probabile che anche questa storia finisca in un film di Jackson, anzi è sicuro.