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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

APPUNTI PALLINATO SUL VIRGILIO PER IL FOGLIO ROSA


CLAUDIA VOLTATTORNI, CORRIERE DELLA SERA 6/4 –
Ha avuto paura? «Mi sono molto spaventata, certo. I ragazzi erano fuori dalla mia stanza, prendevano a calci la porta e urlavano cori e insulti. È stata violenza pura».
Da tre anni, Irene Baldriga è la dirigente scolastica del liceo Virgilio di Roma. Istituto storico nel centro della Capitale, in via Giulia, 1.400 studenti, molti figli di parlamentari e intellettuali. A mesi alterni la scuola finisce sui giornali e sempre per episodi negativi. Lo scorso dicembre un’occupazione di quindici giorni è finita solo con l’intervento del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone. Due settimane fa, durante la ricreazione i carabinieri hanno arrestato un 19enne per spaccio scatenando la furia degli studenti del Collettivo che hanno improvvisato un corteo fino alla presidenza con contestazioni a preside e forze dell’ordine. La scuola è spaccata. Chi accusa la preside di aver «instaurato un clima di terrore, mette le telecamere e minaccia la privacy degli studenti», e chi la difende, «nessuna repressione, solo azioni per tutelare la salute dei ragazzi». In prima fila, molti genitori.
«Vede, anche in una scuola di Torino è arrivata la polizia. Lì però c’è stata una presa di coscienza e una riflessione su come intervenire contro lo spaccio. Da noi si è scatenata la rivolta, una protesta violenta con figli e genitori a urlare contro i carabinieri».
Ma non dovevano essere contenti dell’arresto dello studente spacciatore non più libero di vendere hashish dentro la scuola?
«Me lo sono chiesto anche io. Solo che c’è chi trasmette l’idea che consumare stupefacenti non sia dannoso e questa è una vera emergenza sociale, la droga tra i ragazzi è in aumento, altro che i fatterelli del Virgilio. Ma dei genitori difendono questi comportamenti violenti e dimenticano che la scuola è un’istituzione pubblica: è la prima forma di Stato con cui si entra in contatto, abbiamo una responsabilità etica, dobbiamo insegnare legalità e rispetto delle regole».
Davanti alla sua aula c’erano anche dei genitori?
«Sì. Al Virgilio c’è una maggioranza silenziosa di genitori. Ci sono poi gli indignati per quello che succede da mesi. E infine i contestatori: alcuni erano lì con i figli. Quella rivolta, come l’occupazione di dicembre, è stata guidata dall’esterno, genitori strumentalizzano i figli magari per fare politica e farsi vedere. È una minoranza, ma molto agguerrita che sembra voler dare un’immagine distruttiva della scuola».
Ma perché?
«Noi siamo sottoposti a pressioni sotterranee, il Virgilio ha un’esposizione mediatica sovradimensionata, tutto questo è voluto e cercato da alcuni che vogliono espropriare la scuola del proprio ruolo, come se al Virgilio vigesse l’extraterritorialità: ma è intollerabile pensare che una scuola pubblica cada nelle mani dei privati, si rischia che i più potenti diventino i padroni».
Forse vogliono vedere da vicino cosa succede nel luogo dove vivono i propri figli?
«Non è così. Qui si tratta di un fenomeno dei nostri tempi sempre più diffuso: genitori invadenti che pretendono di intervenire su tutto, che si sostituiscono alla scuola, ma alla fine danneggiano i figli privandoli della propria autonomia. Così cercano di colmare le assenze in casa dove non si parla e non ci si confronta».
È stata preside in periferia, il liceo Volterra di Ciampino: c’era lo stesso clima?
«Lì succedeva il contrario! Lì ho creato un comitato di genitori, perché credo nella loro partecipazione, ma senza sostituirsi alla scuola».
Domattina alcuni presidi hanno organizzato un «caffè solidale» davanti al suo liceo, contenta?
«Ho ricevuto solidarietà da tutta Italia, sono commossa e grata perché la vicenda del Virgilio è diventata un simbolo, una foto della situazione paradossale della scuola di oggi dove c’è una parte della società che non fa altro che criticarci e denigrarci. Ecco, noi abbiamo bisogno di un riconoscimento del nostro lavoro: ce lo meritiamo».

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LETTERA MOLTO TRISTE DI UN GENITORE DI UN ALUNNO DEL VIRGILIO –
Gentile dottore,
sono la madre di un’allieva del liceo Virgilio di Roma. L’atmosfera in questa scuola è pessima e infatti anche le cronache se ne sono occupate. Un allievo, maggiorenne, spacciava droghe durante la ricreazione, la cosa era nota. La preside ha chiamato i carabinieri che hanno prima posizionato le telecamere già esistenti per acquisire prove, poi un giorno sono entrati in borghese e hanno arrestato il ragazzo sul fatto. Apriti cielo! Ci sono stati episodi di violenza, alcuni giovani esaltati hanno preso a calci la porta della stanza dove la preside s’era chiusa urlandole improperi. La cosa grave è che quei ragazzi erano spalleggiati dai genitori, gente adulta voglio dire, persone responsabili non camorristi. Può anche darsi che la preside abbia sbagliato in qualche cosa, che far entrare la forza pubblica sia stato un errore ma un comportamento del genere non mi pare che sia giustificabile. Se l’anno scolastico non fosse così avanti io ritirerei mia figlia da un ambiente dove studiare non è facile e gli insegnanti sono chiaramente in difficoltà. Invece andremo avanti e cambieremo scuola l’anno prossimo, però me lo lasci dire: che tristezza.
Lettera firmata

È vero, la situazione del Virgilio è soprattutto triste. Un altro genitore, padre anche lui di una allieva, mi ha telefonato per dirmi cose diverse: la preside è apparsa non all’altezza del problema, ha ripetutamente rifiutato di “comunicare” con i genitori, lo spaccio c’è dappertutto, chiamare i carabinieri è stato un atto offensivo verso le istituzioni scolastiche. Il problema insomma andava risolto discutendo tutti insieme e non con la forza pubblica. Valutando a spanne, immagino che ci sarà del torto e della ragione da tutte le parti. Penso anch’io che chiamare la forza pubblica in una scuola sia un gesto grave. Sicuramente è ancora più grave costringere una preside a chiudersi a chiave nella sua stanza mentre dei robusti giovanotti prendono a calci la porta urlandole di tutto; qui siamo al codice penale. Tanto più se alle spalle di quei giovanotti ci sono dei genitori che li incitano. Sappiamo tutti che l’assemblea, il corteo, gli slogan ritmati, il sentimento dei diritti calpestati contro i quali si deve reagire fanno parte dell’età, tuttavia ci sono dei limiti che non dovrebbero essere superati. Visto che parliamo di un liceo classico “Est modus in rebus” come diceva il buon Orazio. Quel “modus” al Virgilio è stato superato, più ancora che dai ragazzi, dai genitori che non sono intervenuti loro per primi a chiedere che si ponesse fine allo spaccio. Nell’interesse di tutti sarebbe bene che adesso una qualche autorità terza rimettesse insieme le parti, chiarisse i malintesi, placasse gli animi perché a scuola ci si va per studiare non per “fumare” né per fare cortei. Mi ha molto consolato leggere mercoledì su Repubblica un servizio da Londra del nostro Enrico Franceschini. Secondo una classifica del Times, tra le università del mondo con meno di 50 anni di vita, figurano, tra i primi 150, sei italiane. La scuola superiore sant’Anna di Pisa è addirittura tra i primi dieci. Vengono poi Milano-Bicocca; Verona; Roma tre; Roma-Tor Vergata; Brescia. Sollievo.
Corrado Augias, la Repubblica 8/4/2016


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ADOLFO SCOTTO DI LUZIO, CORRIERE DELLA SERA 8/4 – SENZA RISPETTO LA SCUOLA NON PUÒ BEN EDUCARE LE GIOVANI MENTI –
Quello che sta accadendo a Roma, in questi giorni, al liceo Virgilio, non riguarda semplicemente il consumo di hashish tra gli adolescenti, ma è in realtà una disputa sulla scuola pubblica e sul suo destino. Se cioè questa scuola debba rassegnarsi a sprofondare nella più totale disorganizzazione o se invece essa sia autorizzata a riaffermare il proprio diritto a orientare moralmente e intellettualmente i giovani.
A sentire certe madri fa più impressione il carabiniere che arresta lo spacciatore a scuola che lo spacciatore stesso preso a vendere hashish ai ragazzini durante l’ora di ricreazione. È successo, come dicevo, a Roma pochi giorni fa. Ma è sicuro che ogni volta che accade una cosa del genere c’è sempre qualcuno che invoca dialogo e non repressione.
A Bologna, ad esempio, ai primi di marzo, liceo Bassi, i carabinieri hanno trovato marijuana in classe. Anche allora l’immancabile «madre dello studente» volle dichiarare ai giornali il suo sconcerto. La presenza della polizia a scuola non mi rassicura, disse al «Corriere di Bologna»: è un «messaggio diseducativo e non propositivo». A Roma è un’altra madre a parlare, questa volta niente meno che dalle pagine nazionali di Repubblica. Intervistata il primo di aprile dichiara che ciò che è accaduto al liceo Virgilio è un «blitz da Far West» e come tale andava evitato. Gli spacciatori vanno fermati, certo; meglio però sarebbe stato convocare il giovane colto in flagrante a un colloquio privato, dice.
Non tutte le scuole sono uguali e con ogni evidenza non lo sono le famiglie che vi mandano i propri figli. In questi mesi episodi analoghi a quello del liceo romano sono accaduti in mezza Italia, da Ferrara a Carate Brianza, da Monza a Ravenna, a Macerata, a Pontedera. Nessuna di queste vicende tuttavia ha assunto il clamore mediatico dei fatti del Virgilio. Gli adolescenti di provincia continuano a rintronarsi di canne nei bagni di sperduti istituti professionali nel disinteresse generale.
La posizione di dominanza delle famiglie di un prestigioso liceo della capitale, prossime alla politica, alla stampa quotidiana, alla televisione, ha fatto sì invece che a Roma la questione smarrisse ben presto i suoi termini reali per trasformarsi in un processo al preside sceriffo, colpevole di voler fare della scuola un bunker.
Contro la concezione della scuola come comando di uno solo, collettivi studenteschi e genitori democratici debitamente organizzati in lista invocano la mediazione, il dialogo, la scuola come comunità educante orizzontale, fatta da insegnanti, famiglie, studenti, impegnati in una continua, ininterrotta, ricerca del compromesso.
È facile riconoscere l’inconsistenza di simili richieste. Non solo perché la comunità educante semplicemente non esiste, è una ispirata finzione pedagogica priva di qualsiasi riscontro nella vita reale. Ben più corposamente, nella scuola si muovono ormai da anni interessi particolari, gruppi organizzati, fazioni. E quando la pretesa di questi gruppi di imporre la mediazione tra parti organizzate soverchia l’autorità dell’istituzione questa smette semplicemente di funzionare. Nessuna educazione può essere infatti compiacente. E ogni educazione richiede, per potersi esercitare con una qualche efficacia, l’autorità intatta degli insegnanti.
Troppo spesso si dimentica che l’educazione è un fatto eminentemente gerarchico. Ora è evidente che nessuna educazione si esercita se la vita degli studenti si sottrae ai principi elementari della legalità. Ripristinare questa legalità è il requisito minimo, fondamentale perché la scuola possa assolvere al suo compito educativo. Senza questa base di partenza, tutto il resto è inevitabilmente costruito sul nulla.
Ho detto educazione. Se si guarda bene è facile accorgersi che dietro la feroce opposizione al preside del Virgilio e alla sua decisione di chiamare i carabinieri agisce una convinzione più generale che si è largamente diffusa in questi ultimi vent’anni, l’idea cioè che la scuola pubblica, come istituzione laica affidata alle cure dello Stato, non abbia in fondo più niente da fare sul terreno della formazione delle giovani generazioni. Se lo Stato non vuole rinunciare a educare i suoi giovani non può non formare questi giovani sul terreno della disciplina. E la disciplina è sempre duplice, contemporaneamente regola e contenuto. Buona condotta per mezzo di un rigoroso abito della mente ben educata.
È questo allora il vero oggetto della disputa che la vicenda di Roma pone all’opinione pubblica italiana, se la scuola come istituzione nazionale possa ancora formare i suoi studenti o se invece debba rassegnarsi a diventare il teatro, sempre più degradato tra l’altro, di un democraticismo pedagogico inconcludente e avulso dalla realtà del Paese.

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CLAUDIA VOLTATTORNI, CORRIERE DELLA SERA 8/4 –
«La scuola è la nuova piazza della droga: un ragazzo su tre sotto i 15 anni ha provato una sostanza stupefacente. È una vera emergenza che va affrontata, con controlli ed educazione». Il sottosegretario del ministero dell’Istruzione Gabriele Toccafondi lo dice chiaramente: «La droga a scuola c’è, inutile negarlo». E il caso del liceo Virgilio di Roma con i carabinieri in cortile a ricreazione per arrestare uno studente spacciatore «purtroppo non è l’unico, anzi conferma un’emergenza che c’è da tempo in tutte le scuole d’Italia».
Appena un mese fa durante un controllo al liceo Bassi di Bologna, i carabinieri hanno trovato 2 grammi di hashish in un bagno. Anche lì, come al Virgilio di Roma, gli studenti non hanno gradito e protestato. E proprio ieri a Tesero, Val di Fiemme (Trento), un 18enne è stato arrestato per aver spacciato droga ad un compagno di scuola minorenne. Il ragazzo è accusato di vendita di stupefacenti anche in altre scuole. «A sentire tutte le proteste di studenti e genitori – dice il sottosegretario Toccafondi – sembra che il problema siano i poliziotti e i cani antidroga a scuola, ma è sbagliato demonizzare i controlli e le persone in divisa quando nelle scuole non girano più solo droghe leggere ma pasticche, anfetamine e cresce il consumo di sostanze sconosciute». Ma comunque la cannabis resta la «preferita»: ne fa uso abituale il 26% degli studenti. Nelle scuole della provincia di Firenze, racconta Toccafondi, da un anno è partito un progetto sperimentale che prevede controlli da parte delle forze dell’ordine insieme con incontri di educazione per i ragazzi: «Arrivano medici, esperti dei centri Sert ma anche ex tossicodipendenti: testimonianze dall’alto ma anche da pari a pari». Un esperimento locale «che potrebbe essere esteso a tutte le scuole d’Italia», dice Toccafondi. «Di droga si deve parlare a scuola, i ragazzi vogliono sapere, ma noi – sottolinea la preside del Virgilio Irene Baldriga – abbiamo bisogno di aiuto, non può essere solo una questione del Virgilio». E ieri mattina molti presidi e prof e genitori romani hanno partecipato al «caffè solidale» davanti alla scuola in appoggio alla dirigente: «Mi ha fatto piacere, la mia è solo una battaglia per la legalità».

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CLAUDIA VOLTATTORNI, CORRIERE DELLA SERA 7/4 – 
«Nessuno è a favore della droga a scuola». Ma «non serviva un blitz stile commando, davanti a minorenni con gli agenti che urlano il nome dei ragazzi e li perquisiscono in cortile». E poi, «non si risolve così il problema droga a scuola, perché passata la paura, tutto ricomincia come prima». Dopo le parole al Corriere della preside del liceo Virgilio di Roma Irene Baldriga, interviene il papà di una studentessa 14enne dell’istituto dove due settimane fa a ricreazione sono arrivati i carabinieri e hanno arrestato un 19enne mentre vendeva hashish. «Preside del tutto inadeguata», dice il genitore. Ma non è l’unico a contestarla. In tanti hanno voluto rispondere allo sfogo della dirigente che ha accusato alcuni genitori di aver capeggiato la rivolta degli studenti contro l’arresto. «Mi sono sentito offeso e turbato – dice Roberto Caracciolo, presidente del comitato genitori —: ero a scuola e non ho aizzato nessuno, e non è vero che difendiamo la droga, siamo imbufaliti, non vogliamo neanche le sigarette in cortile, ma la preside vuole il muro contro muro e neanche ci riceve». Enzo Borsellino, altro papà, appoggia la Baldriga «senza se e senza ma: serve tolleranza zero contro la droga e collaborazione di tutti». E chiede «un intervento strutturale al ministero dell’Istruzione con fondi e personale ad hoc, perché la droga è un problema di tutte le scuole». Il Miur per ora tace. Intanto stamattina prof e genitori saranno davanti al liceo portando un «caffè solidale» alla preside.
Claudia Voltattorni

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La presidente
«Ben vengano le forze dell’ordine»
Personalmente sono allibita dalla reazione di alcuni genitori. Il problema del fumo a scuola (non solo di sigarette) era noto da tanto tempo, da molto prima che arrivasse la preside Baldriga. Non a caso, sin dall’inizio del suo incarico al Virgilio, ha impiegato molte energie in progetti di prevenzione e informazione con incontri per ragazzi e genitori con professori, medici, psicologi, associazioni. Purtroppo però lo spaccio e l’uso di stupefacenti erano una pratica assai radicata e si è reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine, a seguito anche di numerose segnalazioni da parte di genitori preoccupati. Tutto ciò mette in evidenza un problema sociale ben più grande e complesso: la difficoltà di molti genitori nello svolgere il proprio ruolo con responsabilità e senso civico, dimenticandosi di insegnare ai propri figli l’importanza del rispetto di se stessi, degli altri e delle regole della società.
Chiara Matteucci
presidente del Consiglio d’istituto

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La rappresentante
«Noi non siamo conniventi»
I genitori del Virgilio che io rappresento al Consiglio d’Istituto si dissociano dall’immagine di genitori conniventi di atti illeciti che avrebbero luogo nella scuola. Partecipiamo al Comitato dei genitori e non abbiamo mai sentito nessuno che difendeva il consumo di droga, il fumo nella scuola, nessuno ha affermato che deve essere uno spazio franco. Ci siamo, invece, confrontati sulle metodologie più efficaci e stiamo riflettendo su quello che è successo e come si sarebbe potuto evitare. La scuola e le famiglie devono lavorare per creare relazioni di fiducia con gli studenti, aiutare a rialzarsi quando cadono, trovare insieme ai ragazzi le strade per dire no ad ogni dipendenza che ti rende schiavo. Consideran-do gli studenti dei cittadini e non dei sudditi. Le famiglie non vanno viste come nemici, ma come risorse per la scuola. È importante non fomentare i conflitti tra buoni e cattivi genitori o studenti.
Francesca Valenza
rappresentante al Consiglio d’Istituto

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L’allievo
«Ma l’arresto è stato giusto»
Il problema del fumo esiste da molto tempo al Virgilio. Non intendo espri-mere opinioni moraliste in merito. Mi limito a dire che la legge deve essere rispet-tata sempre, perché senza legge l’uomo non può esse-re libero. L’arresto, dunque, non è stato altro che la pu-nizione per aver violato la legge e, come tale, non può essere contestato. Ma non solo: ciò che mi rincresce di più è vedere come tale situazione venga sfruttata da alcuni come pretesto per sfoggiare lamentele e lagnanze nei confronti della preside Baldriga. Preside che in questo caso ha la colpa di aver lasciato che la legge facesse il suo corso. Se questo è un crimine allora ella è colpevole, ma il mondo si è rovesciato. Quanto alla «mancata prevenzione» è inutile che mi dilunghi su quante con-ferenze e incontri sui danni che il fumo provoca mi sia trovato ad ascoltare né par-lerò dei docenti tante volte criticati perché «fanno i ca-ni da guardia in cortile». Mi limito a condannare l’ipo-crisia. O tempora, o mores!
Uno studente

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La mamma
«Attenti ai figli, non alla visibilità»
Io, la mattina dell’arresto dello studente spacciatore al liceo Virgilio di Roma, ero a scuola. Ero lì perché ero molto preoccupata: c’erano ragazze in lacrime e una tensione che non nascondeva alcun pericolo. Io c’ero non per oscuri fini o per acquistare visibilità, né per fare politica — come sostiene invece la dirigente scolastica Irene Baldriga — ma per vedere con i miei occhi ciò che stava accadendo nella scuola dove i nostri figli trascorrono molte ore della loro giornata. Vorrei che si correggesse questa immagine di noi genitori, perché se siamo qua è perché teniamo alla scuola e all’educazione e alla formazione dei nostri figli e delle nostre figlie. La visibilità, che invece ci accusa di ricercare la preside Baldriga, non mi sembra interessi a nessuno. Credo anzi che abbiamo tutti molto altro da fare.
Lettera firmata di una mamma inviata al Comitato dei genitori del Virgilio

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VIRO BRUNO, CORRIERE DELLA SERA 5/4 – 
A leggere la lettera del docenti del Virgilio a commento delle polemiche scoppiate per l’arresto di uno spacciatore nel cortile del liceo, si ha la conferma di un assunto diventato ormai un triste luogo comune: insegnare di questi tempi è diventato un lavoro ingrato. Sottopagati rispetto alla media europea – i loro colleghi tedeschi, per dire, guadagnano quasi il doppio – privati di quel prestigio sociale di cui godevano solo un paio di generazioni fa, i professori delle nostre scuole spesso si trovano contro non solo realtà degradate e difficili – basta farsi un giro per le nostre periferie e borgate dove la scuola è l’ultima e unica istituzione pubblica presente – ma anche alunni e genitori. Non tutti certo.
Nel caso del Virgilio c’è stato anche un sostegno di ragazzi e famiglie all’azione che ha portato all’arresto dello spacciatore. Ma come in un riflesso condizionato sono partite le accuse a chi permette l’invasione delle forze dell’ordine nel sacro suolo della scuola, violando con atteggiamenti repressivi e non educativi la libertà di insegnamento e di pensiero. Sarà. Ma davanti a fenomeni conclamati di spaccio – provati, neanche a dirlo, dall’irruzione dei Carabinieri – come dovrebbe comportarsi un professore o un preside? Facendo finta di niente? Intavolando un negoziato con gli spacciatori? Chiedendo loro cortesemente di andare a spacciare più in là?
Qualcuno ha obiettato che in fondo lo studente-pusher vendeva solo hashish. Robetta, insomma. Ora, si può discutere se sia giusto o no depenalizzare le droghe leggere, ma finché la legislazione vigente è questa, tollerare la vendita della droga a scuola avrebbe significato né più e né meno che sdoganarla, tutta quanta, renderla legittima perché se davvero sopravvive un luogo sacro e legittimante all’interno delle istituzioni pubbliche questa è la scuola. È lì che si formano i modelli culturali di massa. È in quell’età compresa tra un’adolescenza sempre più precoce e la prima maturità che si forma il carattere dei nostri ragazzi. Non opporsi a chi spaccia nelle aule vorrebbe dire arrendersi alla cultura della droga. Questo, i professori lo sanno bene. Con scarse risorse e pochi mezzi a disposizione, fanno quello che possono. E se per una questione di ruolo è comprensibile a volte scontrarsi con gli studenti, i loro genitori no, dovrebbero essere sempre dalla loro parte. Anche affrontando a muso duro i propri figli che a volte, per pigrizia o debolezza, si tende colpevolmente a compiacere.

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VIOLA GIANNOLI, LA REPUBBLICA 1/4 –
«Lo spaccio a scuola va fermato, ma quel blitz da Far West andava evitato». A parlare è Francesca Valenza, mamma di un ragazzo del liceo Virgilio nel centro di Roma e rappresentante in Consiglio di istituto. Non ci sta a passare come un genitore «complice dell’illegalità», ma spiega anche di volersi dissociare dall’immagine della scuola come «zona franca», «covo di pusher e violenti».
Valenza, c’è un’emergenza spaccio al Virgilio?
«Ovunque c’è un problema di droghe in mano alla criminalità organizzata, anche nelle scuole. Ma dobbiamo vedere l’iceberg, non la punta. Io dico: non spariamo sui moscerini, cerchiamo di formare ragazzi consapevoli».
Nel liceo però ci sono stati diversi episodi: l’inchiesta due anni fa, il malore di una ragazza che aveva fumato, fino all’arresto del pusher 19enne.
«In tutte le scuole ci sono occupazioni, droghe, disagio giovanile, ma al Virgilio c’è anche un grande conflitto, una comunità divisa che non riesce a trovare la strada più efficace per affrontare i problemi».
Il blitz dei carabinieri non è stato efficace?
«La repressione con gli adolescenti è controproducente. Più ce n’è, più si fa uso di droghe. Un blitz inutile, anzi dannoso».
È contraria all’ingresso delle forze dell’ordine a scuola?
«Se interviene la polizia significa che la scuola, e anche le famiglie, hanno fallito. Ci vuole un’alleanza tra genitori e istituzione scolastica, corsi e progetti educativi, magari non affidati a Scientology».
Non c’è il rischio che passi l’idea di una battaglia per l’impunità dei ragazzi?
«Nessun genitore è favorevole al fumo nelle scuole. Non siamo complici dell’illegalità. Dire che l’arresto in cortile è stato inopportuno non vuol dire che si può vendere o usare droga. Non va confusa la nostra volontà di costruire un dialogo con quella di coprire gli sbagli dei nostri figli».
Poteva essere gestita diversamente la situazione?
«Il ragazzo andava fermato, ma visto che la sua situazione era nota (aveva precedenti per spaccio, ndr) bisognava convocare prima un Consiglio di istituto».
L’arresto però è avvenuto in flagranza di reato, dicono i carabinieri.
«Davanti a un’illegalità si deve lavorare in sinergia con le forze dell’ordine, ma nel rispetto dello spazio educativo e della privacy. Anche se colto in flagranza, andava convocato in un’aula e andava fatto un colloquio privato invece di quell’azione plateale».
È contraria anche all’uso delle telecamere a scuola?
«In Consiglio di istituto ho votato contro: secondo me c’è il rischio di trasformare le scuole in bunker. E i presidi in sceriffi. I ragazzi devono vivere la scuola come un luogo sicuro ma aperto. Sono contraria tranne che nel caso di un’indagine in corso».
Qui un’indagine c’era.
«Sì, ma sono state montate a prescindere dall’inchiesta. Il provvedimento è passato con 8 voti a favore contro 7 contrari».
Il Virgilio è senza regole?
«Non mancano le “leggi”, mancano l’autorevolezza e la fiducia. I ragazzi sono continuamente dipinti come criminali dalla preside e da alcuni prof. Questo messaggio torna indietro come un boomerang. Se le regole non passano per la condivisione diventano conflitto e antagonismo».
Non è semplicemente una reazione generazionale?
«In parte sì ma al Virgilio tutto è acuito dall’assenza di dialogo».
Hanno fatto bene dunque i ragazzi a protestare con cortei e scioperi dopo il blitz?
«Fanno sempre bene a manifestare le proprie idee ma se riuscissimo a trovare uno spazio di confronto la protesta non avrebbe di certo queste forme esagerate».
Viola Giannoli, la Repubblica 1/4/2016

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CORRADO ZUNINO, LA REPUBBLICA 31/3 – 
«A SCUOLA NUN SA’ DA SPACCIA’». IL CASO DEL LICEO VIRGILIO DI ROMA –
Anna Maria Giarletta, prof di italiano, latino e storia, dice che quel martedì con i carabinieri nel cortile del Liceo Virgilio si è spaventata. Non per i carabinieri, pronti a fermare due ragazzi per spaccio, l’uno, e acquisto, l’altro, di un grammo e mezzo di hashish (un maggiorenne arrestato e un minorenne rilasciato). Piuttosto per la reazione di una parte consistente degli studenti: «Erano in seicento, su un solo piano. Saltavano, tremava tutto. Cori da stadio, hanno tentato di sfondare la porta della preside che si era barricata dentro. Una roba mai vista a scuola, eppure ho insegnato a Castellammare di Stabia, Angri, Pagani. Mica passeggiate».
La prof di 42 anni è felice di lavorare «in un liceo così prestigioso», ma mai avrebbe messo in conto una conflittualità così elevata in una scuola del centro storico di Roma, tra l’aurea via Giulia e il traffico mai silente del lungotevere. «La verità è che qui dentro manca una regola, ogni tipo di regola. È un’abitudine, una sorta di tradizione del Virgilio, non può certo andare avanti. Entrare in classe alle otto, puntuali, non è la violazione di un diritto umano. A scuola», e qui le origini tradiscono la passione, «nun sa’ da spaccia’».
Spaccia’, già. È il caso recente, l’ultimo da cronaca, del Liceo Virgilio di Roma. I due carabinieri in borghese – poi affiancati da altri sette nella fase di rivolta collettiva – che danno un esito a settimane di indagini: l’arresto in cortile. È pure il seguito di un’inchiesta di due stagioni prima: sei studenti- pusher videoripresi e fermati. Anche stavolta le telecamere sono servite e tra le tante accuse che gli studenti ribelli, l’ala che ha occupato la scuola lo scorso novembre calandosi i caschi sulla testa, riversano sulla preside Irene Baldriga c’è anche quella di aver collaborato con le forze dell’ordine: «Ha consentito che i carabinieri spostassero le telecamere sulla scena dello spaccio».
Sono stati alcuni genitori a firmare le nuove denunce, ispirati da figli stufi del traffico di stupefacenti. Altri padri e madri, perché al Virgilio il dissidio è su tutti i piani, intergenerazionale, hanno invece accusato la specialista di storia dell’arte che da tre anni guida la scuola “rossa” di aver osato profanare l’istituzione consentendo alle guardie di entrare e arrestare. «E che doveva fare, fermarle al portone?», la difende la prof Giarletta. «Se uno spaccia va arrestato, mica si possono lavare i panni in casa come si fa dalle mie parti?». Castellammare, Angri, Pagani, appunto. «Uno dei problemi del Virgilio è che qualche figlio di papà contesta immaginando impunità alle sue azioni. Il concetto di responsabilità è molto vago, qui».
La preside Baldriga si dice provata da questi giorni di furore. «La maggioranza degli studenti e dei docenti sta con me, a scuola mi confronto con tutti», assicura. «Non ho mai voluto reprimere l’anima dinamica del Virgilio. Basta venire a vedere la ricreazione, da noi: in cortile si gioca a pallone. In altre scuole non si fa, qui siamo flessibili perché conosciamo la storia dell’istituto. Questo, però, non può significare che al Virgilio ogni regola è bandita». Aggiunge il dirigente scolastico: «Il consumo abituale di droga tra i giovani è diventata un’emergenza sociale e la sua presenza negli istituti è una deriva che ne alimenta la diffusione. È un fenomeno familiare, ormai, quotidiano, a portata di mano. La disponibilità delle sostanze si intensifica in alcuni ambienti dell’antagonismo politico e i nostri ragazzi, confusi, abbinano la disponibilità di droga a una sensazione di libertà di pensiero e di conflitto liberatorio. L’aver consentito per molti anni una tolleranza rispetto a fenomeni di illegalità come le occupazioni ha nutrito la convinzione che le scuole fossero spazi franchi».
Raccontano che Luca, il diciannovenne che nove giorni fa ha venduto il tocco di hashish a un minorenne, sia pentito: «Ho sbagliato», ha detto agli amici. Andrà a fare la maturità all’Hegel, paritaria dell’Aurelio. Così come lascerà il liceo anzitempo Jacopo, l’agitatore instancabile che ispira interrogazioni a Sinistra italiana e report antipreside al centro sociale Degage. «Da tre anni la Baldriga vince e risolve i problemi di sovraffollamento bocciando a raffica», attacca. «O si fa quello che dice lei o si viene espulsi. Ha persino invitato Scientology a tenere un corso anti-droga». Sofia, sei anni qui compreso quello ripetuto in terza, chiude: «Quel martedì volevamo parlare con la preside, come al solito non ci siamo riusciti. Ci ha tolto l’aula autogestita e tutto quello che racconta agli Open day durante l’anno, poi, non si vede. Mi ero iscritta all’Internazionale convinta che avrei realizzato esperienze all’estero tutti gli anni. Ho fatto una settimana in tutto».
Corrado Zunino, la Repubblica 31/3/2016

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DAVIDE GIACALONE, LIBERO 25/3 –
Stupefacente, quel che accade in un liceo romano. Istruttivo, anche perché lo spaccio di droga non è certo un’esclusiva di quell’istituto, così come anche la diseducazione alla legalità, capace di generare irresponsabilità diffusa. Il liceo è il Virgilio, ma qui esaurisco le identificazioni specifiche, visto che si tratta di una storia che coinvolge ragazzi. Credo meritevoli di punizioni, ma non essendo la diffusione delle loro identità una accettabile pena accessoria. Il web conserva quei nomi per una vita, mentre spero loro sappiano costruirsene una diversa. E poi, appunto, non si tratta solo di questo episodio.
Durante l’ora della ricreazione entrano nel liceo dei carabinieri, in borghese, effettuano una perquisizione e arrestano uno studente, in flagranza di reato: il maggiorenne, 19 anni, vendeva una dose di hashish a un minorenne di 14 anni. Un’altra dose l’aveva in tasca. Naturalmente lo arrestano. Fatti i controlli si scopre che il giovane spacciatore era già stato arrestato, nel 2013, con in possesso 500 grammi di droga. Mezzo chilo. Come dire: uno del ramo. All’epoca era minorenne e fu messo in prova. Direi che l’ha fallita.
Effettuato l’arresto scoppia la buriana, con un centinaio di studenti che vanno a protestare in presidenza, contestando la presenza di carabinieri all’interno della scuola. Proponendosi di «riprendersela». A dar manforte arriva un rappresentante dei genitori, che contesta lo stile «far west». A tutti costoro, pargoli e adulti, sembra normale che la legge possa essere violata, mentre sembra riprovevole che la forza pubblica pretenda di farla rispettare. Basterebbe ciò per far capire che il corso di studio ha complessivamente fallito, non riuscendo a trasmettere né il concetto di legalità né quello di responsabilità. Taluni ritengono che la legge vada cambiata e la droga liberamente scambiata e consumata? Io la penso diversamente, ma rientra fra le libertà che difendo quella di battersi in quel senso. Non rientra, invece, fra i diritti di ciascuno quello di violare la legge di tutti. A scuola, per giunta. La legge proibisce di vendere ai minorenni le sigarette e gli alcolici, mentre a scuola si può portare loro la droga? Un bel tema di discussione, che nelle scuole non dovrebbe essere scantonato, ma affrontato.
La cosa, però, può essere imprudente. In quello stesso liceo, difatti, erano stati organizzati, a cura di insegnanti e genitori, degli incontri sul problema della droga. Peccato che ne avevano affidato l’organizzazione a quelli di Scientology, una parareligione settaria, particolarmente attenta alla sorte degli adepti più danarosi (si può raggiungere la purificazione, ma a cospicuo pagamento). Se quelle sono le occasioni di dibattito non c’è da stupirsi per l’alto livello di consapevolezza diffusosi fra i frequentatori. Può darsi che quel liceo sia particolarmente sfortunato, ma restituisce il dagherrotipo di una collettiva faciloneria, insipienza e incoscienza. E se l’universo dei più giovani è, come sempre (grazie al cielo), variamente composto, con gente che studia e gente che perde tempo, con ragazzi che pensano a costruirsi un futuro e altri che esauriscono le forze nel godersi il presente, con gli infiniti stadi intermedi che fanno dell’adolescenza, sempre, una stagione di passaggio e trasformazione, è l’universo degli adulti a dare il peggio di sé. Anche fra questi, naturalmente, ci sono tante diversità quante sono le persone, ma complessivamente producono, consentono e si rassegnano a uno svaccamento che s’incaponisce a cancellare dalla vita dei figli ogni ipotesi di punizione e dolore. Una bolla irreale e iperdiseducativa, talché neanche spacciare droga a un minorenne è considerato motivo sufficiente per essere arrestati. Figurarsi se quello stesso mondo è in grado di sostenere che chi non studia debba essere bocciato.
I viziati non sono i figli, ma i genitori. I primi sono, semmai, depredati del necessario confronto con il principio d’autorità. Da sfidare, da contrastare, perché questa è la storia del mondo, ma pur sempre da assorbire, per poi riprodurlo. Il contrario del principio d’autorità non è quello di libertà (che si conquista sfidandolo), ma d’incapacità a distinguere il buono dal cattivo, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Si può sbagliare nel distinguere, ma mai rinunciare a distinguere. Quando i genitori e gli insegnanti si smidollano non producono sregolatezza, ma desiderio di autoritarismo. La cosa più triste è che il fallimento degli adulti lo pagano i ragazzi, oggi illusi che fra un diploma a bassa intensità di sapere e uno spinello ad alta intensità di dissipare passi qualche cosa che somigli alla vita.

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VIOLA GIANNOLI, REPUBBLICA.IT 7/4 –
Lo chiamano "caffè mob" o anche "tazza day". Alle otto e mezzo in punto, al suono della prima campanella, una trentina di presidi romani danno vita alla loro "protesta". In via Giulia, accompagnati da qualche prof e un gruppetto di genitori, va in scena la "colazione di solidarietà" con Irene Baldriga, la preside del liceo Virgilio da settimane al centro, assieme alla "sua" scuola, di forti polemiche dopo il blitz dei carabinieri nel cortile dell’istituto per arrestare uno studente (ormai ex) di 19 anni mentre spacciava un grammo e mezzo di hashish a un suo compagno 14enne.
Ognuno con in mano una tazzina da caffè piena di cioccolatini di Pasqua, sorrisi, abbracci e una lettera scritta dal presidente dell’Associazione nazionale presidi ed ex dirigente del Newton di via Manzoni, Mario Rusconi, che tra il portone di via Giulia e il bar scelto per la colazione recita il testo: "Cara Irene, la tazza che ti offriamo è colma del nostro affetto, della nostra stima e della nostra solidarietà". Sotto le firme dei partecipanti al flash mob solidale: il dirigente del Carlo Emery di Grottarossa, il preside del Joyce di Ariccia, la numero uno del Giulio Cesare di corso Trieste, la sua collega del Visconti di piazza del Collegio Romano, quello della Montessori al Nomentano e altri.
"La Baldriga ha tutelato la salute dei ragazzi, ha impedito lo spaccio e ha fatto rispettare la legalità, per questo sono qui" spiega Franco Sapia, preside dell’istituto Garibaldi a Vigna Murata. "Chi decide se c’è un reato è il magistrato, a noi spetta solo il compito di segnalarlo, le polemiche contro la preside sono inutili" aggiunge Roberto Scialis del Joyce. "Ho voluto portare la mia solidarietà a Irene Baldriga per testimoniare che la legalità va difesa perché contro la droga non ci sono i se e i ma. In flagranza di reato hanno protetti i minori che sono oggetto di spaccio" insiste Micaela Ricciardi del Giulio Cesare di Corso Trieste.
Si affacciano anche alcuni genitori, "quelli che vengono definiti fantasmi perché sopraffatti dalle voci della protesta" incalzano, nel conflitto continuo tra due "fazioni", ognuna delle quali rivendica di essere maggioranza: "Noi stiamo con la preside perché quando portiamo i nostri figli a scuola vogliamo che vadano in un luogo sicuro e in cui si insegna il rispetto della legge" dicono. C’è anche chi è a favore della legalizzazione delle droghe leggere "come in Olanda dove i consumi infatti sono stati abbattuti, ma finché la legge non è con noi non possiamo dire ai poliziotti che non possono entrare a scuola e fermare i ragazzi per spaccio" spiega Monica Frassinelli, mamma di due studentesse.
"Sono molto orgogliosa che alcuni di loro abbiano partecipato - commenta Baldriga - molti altri hanno ritenuto invece che la scuola sia addomesticabile secondo le proprie esigenze, quando invece è uno dei maggiori presidi di legalità e in quanto tale va rispettata".
Dalla loro parte si schierano oggi Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato in quota Forza Italia che benedice "controlli, telecamere, indagini e blitz" nelle scuole e il Consap, sindacato autonomo di polizia che martedì prossimo sarà in via Giulia per portare un mazzo di fiori alla Baldriga. Su Facebook, Giorgia Meloni, candidato sindaco di Fratelli d’Italia, ha espresso solidarietà alla preside del Liceo Virgilio commentando: "Combattere la pseudocultura della droga è un dovere per tutti non solo per i docenti. Giovani figli di papà spacciavano e sono stati arrestati. Alcuni genitori invece di ringraziare hanno partecipato insieme a studenti e teppisti facinorosi al tentativo di linciaggio del dirigenti scolastico. Nel centro di Roma non possono esistere zone franche di spaccio".
Gli altri genitori, quelli contrari sì allo spaccio ma anche all’arresto plateale nel cortile, che in Consiglio di istituto sono tre su quattro, oggi non si fanno vedere. Il 23 aprile però saranno in riunione e stavolta, dopo il muro contro muro iniziato a fine autunno durante la lunga occupazione della scuola, ci sarà anche la preside. "I Genitori del Virgilio di Insieme per il Virgilio, lista di maggioranza rappresentata in Consiglio - fanno sapere - si dissociano dall’immagine di genitori conniventi di atti illeciti che avrebbero luogo nella scuola.
Partecipiamo al comitato dei genitori e non abbiamo mai sentito nessun genitore difendere il consumo di droga, il fumo nella scuola, nessuno ha affermato che deve essere uno spazio franco. Ci siamo, invece, confrontati sulle metodologie più efficaci e stiamo ovviamente riflettendo su quello che è successo e come si sarebbe potuto evitare, preservando la specificità dello spazio educativo".
Gli studenti organizzati dal collettivo organizzano invece in fretta e furia un’assemblea in cortile: "Abbiamo acceso qualche fumogeno di protesta e srotolato uno striscione" raccontano da dentro l’istituto di via Giulia mentre fuori è in corso il "caffè mob".
E’ solo la prima iniziativa di "solidarietà per la legalità", annuncia Rusconi. "Da oggi vogliamo dare vita al ’rito delle tazze’: una tazza di caffè in onore di quei dirigenti o docenti che svolgono il ruolo
di educatori con coraggio e passione nonostante tutto". Unico rammarico dei pro-Baldriga "che non ci sia stato alcun comunicato di solidarietà da parte delle istituzioni. Questo quando si spendono molti soldi pubblici per le campagne di prevenzione, e alla prima occasione ci si gira invece dall’altra parte".
Poco dopo le dieci il presidio si scioglie, non prima di aver bevuto il caffè al bar: "Vabbè, adesso andiamo a lavorare".

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CHRISTIAN RAIMO, INTERNAZIONALE.IT 30/3 –
Il 22 marzo un gruppo di agenti in borghese è entrato all’ora di ricreazione nel liceo Virgilio di Roma, ha perquisito alcuni studenti e ne ha arrestato uno per spaccio. La notizia e il contesto in cui l’episodio è avvenuto li ho raccontati in un articolo che ha suscitato molte reazioni da parte della preside, dei docenti, degli studenti e dei loro genitori.
Irene Baldriga, la preside, ha manifestato più volte la sua indignazione per il modo in cui la stampa e lo stesso articolo scritto per Internazionale ha riportato la vicenda. Secondo Baldriga, c’è un gruppo minoritario di studenti del Virgilio (e di ragazzi che non frequentano più il Virgilio o non l’hanno mai frequentato) coordinati con un gruppuscolo di genitori che cercano di strumentalizzare l’accaduto per avere visibilità politica, in una sorta di campagna accusatoria nei suoi confronti. In una serie di dichiarazioni Baldriga ha fatto cenno anche a una specie di disegno eversivo, non manifesto, contro le istituzioni che lei rappresenta. I giornalisti sarebbero manipolati da questa minoranza.
La preside, a quanto dice, può vantare invece l’appoggio e la solidarietà di gran parte dei docenti e degli studenti. Questa cosa me la confermano diversi insegnanti e genitori che, per esempio, mostrano in un dibattito interno, dati alla mano, come l’intervento delle forze dell’ordine sia avvenuto in molte scuole d’Italia, senza suscitare tutto questo clamore.

Chiara Matteucci, rappresentante dei genitori, è convinta di questa tesi, e scrive:
Il Virgilio è la culla del potere, del potere subdolo che si fa chiamare democrazia, ma è fascismo nella sua peggiore accezione (fascista per me è chi con la forza e la violenza piega gli altri al proprio volere, chi non permette di parlare a chi ha opinioni contrastanti, come è successo a me, come è successo a molti studenti durante le assemblee). Quel potere che permette, non appena qualcuno si senta minacciato nella sua posizione di dominanza, di fare la telefonata giusta e subito arriva l’interrogazione parlamentare, la chiamata di questo o quel ministro, ambasciatore, parlamentare. 
Arrivano giornalisti di tutte le testate, giornali e tv con lunghi servizi, come se a Roma, in Italia aggiungerei, esistesse un’unica scuola: il Virgilio, e un unico problema: la preside Irene Baldriga. Farebbe ridere se non fosse disgustoso.

Lucia Cardarelli, insegnante al Virgilio, stigmatizza le dichiarazioni di alcuni studenti e difende l’operato della preside e di altri docenti:
Il Virgilio non è e non è mai stato l’ombelico del mondo e i fatti eccezionali avvenuti qualche giorno fa nel liceo si sono verificati in molte altre scuole del nostro paese con molta meno risonanza, mi pare. Lei sa bene che chi è chiamato a educare e formare adolescenti non cerca di evitare il conflitto a tutti i costi ma pretende che vengano rispettati alcuni, basilari, principi di convivenza civile. È così in tantissime scuole europee, dovrebbe essere così anche nel nostro liceo, dove regna la massima libertà, a dispetto di tanti falsi slogan. ‘I pavidi non cerchino la libertà chiedendola a chi detiene il potere’. E qui, di quale libertà si tratta?

Altri insegnanti difendono la preside da quello che ai loro occhi sembra un disegno di delegittimazione. Daniela Bizzarri scrive a Internazionale:
Come si può anche solo mettere sullo stesso piano, come se fossero due opinioni a confronto, da una parte un dirigente scolastico che difende le istituzioni, la legalità e il diritto alla salute dei suoi studenti con uno straordinario spirito di servizio e di responsabilità, sapendo di pagare un costo altissimo innanzitutto sul piano personale per gli attacchi strumentali, il mare di insinuazioni e menzogne che le si stanno rovesciando addosso, e dall’altra invece alcuni ragazzi e una sedicente rappresentante di Istituto (se lo è mente sapendo di mentire ), che fanno delle proprie opinioni personali bastevole motivo per infischiarsene delle regole della convivenza civile e dei diritti degli altri? 
Si può anche pensare che il proibizionismo delle c.d. droghe leggere sia controproducente, ma non per questo si può pretendere che la legge al Virgilio non sia applicata, né sentirsi autorizzati a spacciare a ragazzini di quattordici anni facendo di questa attività criminale una bandiera della libertà di pensiero.

Un’altra rappresentante dei genitori, Francesca Valenza, è di parere opposto, cerca di smorzare i toni e, replicando a una puntata andata in onda su Radio 24, ha detto:
Ci sentiamo profondamente offesi e danneggiati, come genitori e anche a tutela dei nostri figli, dall’immagine che ha disegnato la dirigente nei nostri confronti con profili falsi e diffamatori. Nessun genitore ha mai affermato di volere la scuola come una zona franca, come non lo hanno fatto gli studenti, addirittura si ipotizzano trame eversive. Noi come genitori rappresentanti della lista di maggioranza Insieme per il Virgilio che esprime tre consiglieri su quattro al Consiglio d’istituto. Ci dissociamo da questa immagine della scuola ‘zona franca e covo di violenti’ . I genitori che rappresentiamo hanno voluto solo sottolineare che la scuola e le famiglie non devono declinare il loro ruolo educativo, fatto di formazione, prevenzione, educazione alla cittadinanza, ruolo che non deve essere delegato alle forze dell’ordine, che dovrebbero essere impegnate in altri campi. La scuola e le famiglie devono lavorare per creare relazioni di fiducia con gli studenti, aiutarsi a rialzarsi quando cadono, trovare insieme ai ragazzi le strade per dire no a ogni dipendenza che ti rende schiavo. Considerando gli studenti dei cittadini e non dei sudditi da prendere a manganellate. Lo stato e la scuola non sono rappresentati da una sola persona seppur dipendente pubblico, ma dall’intera comunità scolastica che può trovare soluzioni condivise al suo interno tramite gli organi collegiali regolarmente eletti.

Una degli studenti che avevo intervistato per il mio articolo sembrava anche lei molto lucida nelle sue critiche, riconoscendo le responsabilità giuridiche, ma distinguendo chiaramente sulle modalità d’intervento. In un suo post pubblico scriveva:
I compagni che sono stati portati via non sono pericolosi criminali, non sono assassini. Sono ragazzi che hanno più o meno la nostra età che hanno commesso uno sbaglio. Uno sbaglio grave per il quale devono assumersi le proprie responsabilità (come stanno facendo) ma questo non giustifica il trattamento violento che hanno subito. Alla nostra Dirigente vorrei chiedere perché non sia stata presente durante l’operazione per assicurarsi che i suoi studenti (che più volte ha dichiarato considerare come i suoi figli) fossero trattati adeguatamente. 
Vedere delle guardie, dei poliziotti, introdursi con tale impeto nella mia scuola, dove vorrei sentirmi protetta e tutelata è una cosa che mi ha scosso molto. So che la polizia può entrare dove vuole, ma io non sto parlando di legalità. Sto parlando di umanità, in un luogo atto alla formazione.
 Umiliare quei ragazzi davanti a centinaia di studenti, in un luogo di istruzione e non di terrore, a titolo ovviamente dimostrativo, ha vanificato persino lo sforzo della giustizia. Ha fatto dei sospettati dei martiri e quindi ha persino sortito un effetto opposto a quello desiderato.
[…] Ieri ho avuto paura e provato rabbia, oggi cerco di riflettere.
 Ho scritto questa mail come testimonianza diretta di ciò che è successo e non per nutrire polemiche. Per fare della nostra scuola un’oasi felice occorre sicuramente combattere lo spaccio ma è auspicabile che ciò non avvenga attraverso un clima di terrore che inevitabilmente scatena reazioni indesiderate.

Le faceva eco un’altra studente:
Lo spaccio è illegale, la legalità è importante e va difesa ma essa non da il diritto morale di capovolgere una scuola, quando tutto ciò che è stato fatto poteva esser fatto altrove, poteva essere una questione tra le forze dell’ordine, i ragazzi e le loro famiglie. Tutto ciò poteva esser fatto senza mettere in mezzo 1.500 studenti che ora non possono fare a meno di sentirsi diffidenti, presi in giro e lontani. È per le seguenti ragioni che ripeto: la legalità sì, la legalità così no.

Luca Garbini, insegnante di filosofia e storia, contesta anche lui la semplificazione del racconto che è stato fatto finora sul Virgilio, anche da Internazionale, e cerca di ridimensionare alcune polemiche – quella sull’intervento di Scientology nelle iniziative sulla prevenzione sarebbe una semplice sbadataggine (certo una sbadataggine grave) – e prova a contestualizzare l’arresto in una cornice più ampia, spostando anche la riflessione su che tipo di educazione usare per il consumo di droghe a scuola:
Se voleva, poi, poteva sentire anche altri genitori, non trova? Magari quel papà che tempo addietro è venuto a scuola in lacrime dopo aver scoperto che suo figlio non ancora quindicenne era stato socializzato all’uso di droghe proprio al Virgilio, durante quella fantastica e bellissima esplosione di partecipazione democratica che è stata l’occupazione. O ancora quella mamma che vedeva il figlio quindicenne ‘strano’, capace solo, al ritorno da scuola, di mettersi a letto a dormire, fingendo oscuri malesseri prima di confessarle la scoperta delle gioie della canna al Virgilio. Oppure quell’altra mamma che è venuta ad accusarci di tollerare una criminale circolazione di stupefacenti nel cortile della scuola. Cosa direbbe a questi genitori? Che la questione è sociologicamente complessa? Che a scuola le leggi si possono violare? Che dovevamo aspettare i lunghi tempi dell’azione educativa e tutto si sarebbe risolto? Che io stesso avevo parlato con diversi studenti della necessità che fossero loro a gestire lo spazio del cortile, convincendo quanti ruotavano intorno al mondo della cannabis a valutare le conseguenze dei loro comportamenti e per ciò stesso tutto era sotto controllo? Con questi genitori io ho parlato e non ho avuto – né ho – verità da elargire loro.

Nell’articolo che ho scritto citavo un brano di un saggio della preside Irene Baldriga, uscito sul numero di dicembre di Tuttoscuola. Nell’articolo intitolato Droga nella scuola: giù la maschera, riscontravo una visione molto legalitaria, allarmista nei toni, che non faceva nessuna distinzione tra il consumo di cannabis e di altre sostanze. Questo è un passaggio conclusivo:
Sarebbe il caso di indagare sulle inquietanti e sotterranee connessioni che legano il mercato degli stupefacenti, alla violenza negli stadi e alle derive estreme della protesta sociale. È un amalgama esplosivo che si stringe intorno alle scuole fino a stritolarle, coinvolgendo i giovani più soli ed emarginati, quelli potenzialmente a rischio di dipendenze, di plagio o di psicosi. La droga è un male intollerabile che si accompagna alla solitudine e al degrado sociale (ove per degrado non si deve intendere necessariamente il disagio socioeconomico, ma un drammatico sbriciolarsi dei valori identitari della legalità e del rispetto delle regole, per non parlare di quello fondamentale che riguarda il bene dell’integrità e della vita, che interessa tutti gli strati sociali).

Maurizio Cosentino, un altro docente di filosofia e storia al Virgilio, scrive sul suo blog una riflessione molto articolata (potete leggerla per intero qui), che però prende le distanze in maniera esplicita dai colleghi:
I fatti accaduti in questi giorni e in quella che, un tempo, tra i licei romani, era la scuola più democratica, intellettualmente vivace e aperta al confronto, sono un vulnus inflitto a tutto il sistema dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Al tempo stesso, da parte dello stato, non rappresentano una conquista significativa della lotta alla criminalità o del contrasto alla diffusione di droghe leggere tra i giovani e nelle scuole. Le modalità con cui si è svolta l’operazione di arresto hanno la parvenza di quelle solite della cattura di un superlatitante o di un pericolosissimo boss. Operazione certamente pianificata con la dovuta collaborazione della dirigenza.

E sugli studenti che chiedevano chiarimenti alla preside:
È un dato oggettivo che non si è trattato di ‘gruppi minoritari’, ‘della minoranza’, di ‘cento studenti’, di ‘esiguo gruppo’ se ci si vuol riferire a chi ha espresso dissenso e preoccupazione per ciò che è accaduto il giorno prima. La folla di studenti che si era prima organizzata in corteo e che, dopo, essendo rimasta assediata – da un lato dai blindati della polizia e dall’altro dallo stesso personale scolastico che ne ha impedito l’ingresso a scuola, sbarrando il portone – aveva chiesto, avendone lo stesso diritto di chi si trovava già dentro la scuola, di poter prender parte a un’assemblea straordinaria, convocata solo lo stesso giorno, a partire dalle ore 11.15 e d’autorità, e che perciò ha avuto luogo per i soli pochi alunni presenti all’interno delle mura dell’edificio. Dentro i buoni, fuori i cattivi. Ecco il messaggio che la dirigenza scolastica in nome della ‘buona scuola’, ha voluto trasmettere.

C’è un passaggio dell’intervento di Cosentino che probabilmente tutti i protagonisti di questa storia non avrebbe difficoltà a condividere:
Qual è il ruolo della scuola, dei docenti, di un’istituzione educativa? Quello di emarginare o quello di recuperare e includere? Questo compito, in un contesto normale, spetterebbe a chi sta più in alto. Il dualismo manicheo si è invece sostituito alla pratica educativa dell’inclusione, del dialogo e del confronto aperto, rispettoso anche con chi la pensa in altro modo e ritiene di dover esprimere una critica costruttiva, nella prassi della dialettica e della democrazia, non della demagogia, del populismo o del paternalismo.

Prendo spunto proprio da queste ultime frasi per lasciare aperto il campo del dibattito. La discussione non riguarda ovviamente né il fatto in sé né il Virgilio, che non è certo l’ombelico del mondo, ma è sicuramente con i suoi 1.400 studenti uno specchio abbastanza rappresentativo della complessità della scuola oggi, della fragilità di quel patto formativo che si crea tra studenti, famiglie e scuola, e della difficoltà di integrare la vitalità di un laboratorio politico come è qualsiasi scuola con il dibattito pubblico che avviene fuori dalle mura scolastiche. Speriamo che anche questi semplici articoli forniscano una buona occasione di confronto.

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CHRISTIAN RAIMO, INTERNAZIONALE.IT 25/3 – 
Al liceo Virgilio di Roma nella mattinata di martedì 22 marzo due agenti in borghese entrano nel cortile all’ora di ricreazione per una serie di controlli: cercano dei ragazzi che spacciano. Portano via cinque studenti e poi li lasciano andare, tutti tranne uno, maggiorenne, che viene arrestato.
Subito si crea un’assemblea spontanea nel cortile di scuola, gli studenti chiedono conto del blitz alla preside, che però si barrica dentro la vicepresidenza, e ne esce solo scortata dai carabinieri. Intanto davanti alla scuola arrivano diverse camionette delle forze dell’ordine e gli uomini della Digos.
Il giorno dopo molti studenti per reazione a quella che considerano un’esagerata esibizione punitiva organizzano un corteo che dovrebbe partire dalla sede del liceo e sfilare per le vie del quartiere. La manifestazione viene però bloccata da due blindati a pochi metri da via Giulia: quando i ragazzi decidono di tornare a scuola, la preside Irene Baldriga non li accoglie. Allora alcuni vanno verso piazzale Clodio e mettono su un presidio per aspettare il loro compagno che dovrebbe essere rilasciato a momenti. Nel frattempo la preside ha indetto un’assemblea a scuola per confrontarsi con gli studenti che va avanti per tutta la mattina.
La notizia scuote l’ambiente del Virgilio, che è storicamente un liceo molto politicizzato. La scuola si spacca in due: da una parte la preside e chi difende il suo approccio legalitario, dall’altra gli studenti che rimproverano alla preside un atteggiamento solo repressivo e non educativo. La tensione non è nuova: sono mesi che le assemblee, i consigli d’istituto e quelli di classe mostrano l’esistenza di due anime all’interno della scuola.
Anche dell’episodio di martedì si danno due versioni. La preside sostiene che non era a conoscenza del blitz; che si è serrata nella vicepresidenza perché impaurita dall’assalto degli studenti; e che questi si erano accalcati davanti alla porta minacciando di sfondarla e urlando contro carabinieri e Digos (“Le confesso che ho avuto paura”). Gli studenti lamentano invece un trattamento violento da parte degli agenti in borghese (“Hanno umiliato inutilmente i ragazzi perquisiti nel cortile”), e degli altri agenti che, chiamati a difendere la preside, hanno spinto e strattonato gli studenti trattandoli come dei criminali.
Probabilmente, sostengono gli studenti, l’arresto è avvenuto grazie alle immagini catturate dalle telecamere interne di sorveglianza, e questa è un’altra vexata quaestio: i ragazzi si sentono presi in giro dalla preside che li aveva assicurati di averle fatte installare per tenere d’occhio una caldaia pericolosa, ma ora sembra che fossero state pensate a uso della polizia.
“Non siamo dei facinorosi. Siamo la parte più attiva della scuola e per questo non veniamo visti di buon occhio”, dice una delle rappresentanti del collettivo autorganizzato del Virgilio. “Tra studenti e dirigente ci sono stati sempre dei contrasti gravi. Durante l’occupazione la preside ricorreva sempre alla minaccia di sgombero o di denuncia, pare che non sappia usare altre armi. Il ruolo di chi reprime non è quello di chi educa. Quando la preside parla di dialogo spesso intende che noi dobbiamo assumere le sue comunicazioni. L’altro giorno non volevamo assolutamente spaventarla, un dirigente non dovrebbe chiudersi, non dovrebbe avere paura; ma eravamo arrabbiati e volevamo delle risposte. Anche l’assemblea convocata dopo averci cacciato da scuola, mentre eravamo in presidio a piazzale Clodio, ci è sembrata una scorrettezza”.
Per la preside chi causa questa tensione è “una minoranza di studenti, spesso manipolati anche dai genitori, affiliati a un generico estremismo di sinistra, infiammati da un antagonismo a prescindere. La maggioranza della scuola è dalla mia parte e non solo mi ha dimostrato solidarietà, ma riconosce anche che io sono sempre per il dialogo, come dimostra l’assemblea di ieri. Io però – oltre ad avere il ruolo di educatrice che lavora sul lungo periodo – sono anche un funzionario dello stato. Quindi se ci sono dei reati a scuola, io devo far sì che quei reati vadano puniti. Non dobbiamo essere succubi di un ipergarantismo dannoso, che immagini la scuola come un porto franco, in cui può accadere di tutto. Per questo difendo anche lo sgombero dell’occupazione: non sono una bacchettona, ma sono convinta che le occupazioni si facciano anche perché le scuole diventino luoghi di smercio di stupefacenti”.
I ragazzi non rivendicano ovviamente nessun’area franca e – anche nel caso dello studente arrestato – si prendono le proprie responsabilità. Ma è sull’interpretazione della legalità che le posizioni sono polari, e anche molti genitori sono perplessi.
Una madre, rappresentante d’istituto, mi dice: “Abbiamo dovuto creare un sito di genitori per conto nostro, perché la preside non ha voluto che fosse sul sito della scuola. Quando c’è stata l’occupazione, non è stata capace di mediare. L’altro giorno si è defilata totalmente. Addirittura sono stati più concilianti Davide Faraone (sottosegretario del ministero dell’istruzione) e una carabiniera, che mi ha detto: ‘Mica vogliamo un’altra Diaz, i nostri nemici sono i mafiosi e i terroristi mica i ragazzi che fanno qualche scorrettezza’. Non c’è capacità di mediazione, dialogo, né di ascolto. Non c’è stata sulla progettazione didattica. Le faccio un esempio: nessuna delle proposte dei ragazzi è stata inserita nel piano di offerta formativa, che è stato approvato senza i voti della componente studentesca”.

Il punto sembra proprio la droga. O meglio le canne. Per Irene Baldriga quella contro gli stupefacenti è una battaglia prioritaria: “Drogarsi vuol dire non aver rispetto di se stessi. Il consumo di droga è espressione di non lucidità, una via di fuga, un sintomo di disagio o la ricerca di riconoscimento del gruppo. Io non ci vedo nulla di bello nello stare insieme a fumarsi uno spinello. Consumare hashish in un’età delicata, come quella tra i 14 e i 16 anni, provoca – lo dicono i neuroscienziati – danni permanenti”.

In un articolo intitolato “La droga nella scuola: giù la maschera”, nel numero di Tuttoscuola del dicembre del 2015, la dirigente era ancora più chiara:
C’è un grande problema che si annida nelle nostre scuole. È un male profondo che si dirama in modo subdolo e inesorabile, un male di cui tutti siamo al corrente senza comprenderne le origini e senza riuscire ad affrontarlo in modo risolutivo e franco. La droga è ovunque, camuffata in molte forme – sempre e comunque dannose – e ha assunto ormai la drammatica veste di un problema scontato, di un fenomeno in qualche modo ‘inevitabile’.

O ancora:
Ci si domanda ancora come mai, di fronte allo sconcertante e gravissimo fenomeno delle ‘occupazioni’ (dannosissimo sotto tutti i punti di vista: didattico, istituzionale, sociale, formativo, igienico-sanitario, legale, lavorativo, ecc.) non si dica a chiare lettere che esso ha una precisa connessione con il consumo e lo smercio di sostanze stupefacenti.

L’azione di contrasto e prevenzione che mi descrive è molto articolata: incontri con la Asl, con molti esperti, formazione per i genitori, consulenze, quella che lei definisce “aggregazione virtuosa” (coro, laboratori, redazioni di giornale): “Il motivo della droga è il non saper stare insieme”.

Per i ragazzi invece queste iniziative sono spesso non qualificate, e uno di loro mi cita la notizia – già comparsa per esempio sul Manifesto – che ricostruisce come un corso di prevenzione fosse stato affidato a Scientology.
Ma l’aspetto più problematico di tutta questa vicenda locale, e anche più esemplare di una crisi della scuola, non è forse né l’arresto a ricreazione né il consumo di hashish tra i ragazzi, quanto la fragilità della fiducia tra le componenti della scuola, preside, genitori, studenti.
Un articolo recente su Vice rifletteva sul rapporto tra scuola e consumo di stupefacenti e riportava le parole di Maria Stagnitta, presidente di Forum droghe:

Il problema dei consumi giovanili di sostanze stupefacenti dovrebbe, soprattutto all’interno delle scuole, passare attraverso un processo educativo di prevenzione che si basi sulla fiducia reciproca fra educatore e studenti.

Imparare questo genere di fiducia vuol dire effettivamente educarsi alla futura fiducia nel dialogo con le istituzioni da adulti. E, se per la preside (almeno a leggere le parole dei ragazzi su Facebook o sul blog della scuola) questi episodi sono proprio l’indice di una “tendenza a delegittimare le istituzioni in sé” , paradossalmente sembra che da parte degli studenti ci sia una precisa volontà di dichiarare le proprie responsabilità, ma anche di chiedere conto agli adulti delle loro.

D’altra parte la questione della prevenzione delle tossicodipendenze e dell’educazione alla salute passa per un interrogativo ancora più serio: se l’uso di certe sostanze è tanto diffuso tra i ragazzi, siamo sicuri che criminalizzarli sia il disincentivo giusto? E siamo sicuri di non esporli in questo modo ai rischi ben maggiori di un uso non consapevole, spinto continuamente nella clandestinità?

Per fortuna la scuola rimane un luogo dove alle crisi di questo tipo si può dare il tempo giusto per un confronto, lasciando aperte le domande più che provando a chiuderle in fretta per paura di non sembrare abbastanza risoluti.