La Stampa, 8 aprile 2016
A Tokyo una mostra sulla paura che mescola le ansie di vecchie e nuove generazioni
Dal neon psichedelico che illumina la notte di Tokyo al bagliore radioattivo che si è lasciato dietro Fukushima: dovrebbero essere mondi distanti ma la luce che attraversa la mostra Roppongi Crossing 2016: My Body, Your Voice mescola le ansie e annulla le distanze. Dietro l’incrocio di Roppongi ci sono tracce di Fukushima e non può essere diversamente visto che i 20 artisti esposti dalla Triennale di Tokyo raccontano un Giappone supercontemporaneo in cui lo tsunami 2011 vibra ancora.
Nelle crepe di quel disastro si è mossa una generazione che ha fatto i conti con la paura, con il passato e il coraggio in un colpo solo. Uno choc culturale che li ha frullati con un corso accelerato di storia e una voglia spasmodica di trovare soluzioni, di superare gli incubi e di non stare lì, in una zona protetta che si è dimostrata fin troppo vulnerabile, ad aspettare il prossimo danno.
Albe accecanti
La stanza di Sunrise creata da Erika Kobayashi, è un passaggio di testimone, una storia di donne. La prima nasce due anni dopo la bomba di Nakasaki e muore nei mesi di Fukushima, vite scandite dai cicli della fusione nucleare e la stanza passa dal buio assoluto, con le frasi che prendono vita sulle pareti, a un giallo irreale che invade l’ambiente mentre suona, appunto, «Sunrise». Il ritmo sincopato di Pete Townshend e l’evocativa strofa iniziale: «Mi togli il respiro». Ma queste albe accecanti che si portano dietro i peggiori demoni sono sempre e comunque nuovi inizi.
Il Museo Mori sta al 53° piano di un quartiere notturno, vetri a picco sulle mille luci di Tokyo e dietro scariche elettrice che nascono da quelle strade colorate e portano in altri mondi. Jun Yang non è giapponese, è nato in Cina, è cresciuto tra Vienna e Yokohama. Ha sentito il bisogno di omaggiare Hiroshima mon amour con un’opera video spiegata dal suo stesso titolo: The Age of Guilt and Forgivness. Non è mai ora di smettere di cercare colpe però è tempo di muoversi. E le scosse di Fukushima hanno creato un cortocircuito tra ricordi difficili da digerire e aspettative molto più complicate del previsto.
L’ora della ribellione
Nell’ordinatissimo Giappone che anticipa il domani con la tecnologia, nel pulitissimo Giappone che disinfetta i guai e combatte l’inquinamento con le mascherine, cresce una voce fuori tempo che ha bisogno di sfogare un groviglio di emozioni contraddittorie. Venuti su tra manga e tradizione, gli artisti di Roppongi vanno per tentativi. Il Giappone lineare e regolato al centimetro li disorienta e per trovare una via nel caos Nomura Kazuhiro, mette su un’installazione interattiva. Bisogna portarsi i bottoni da casa e tirarli intorno a un bersaglio. Ne esce una terra di nessuno in continuo cambiamento. Anche qui certezze poche e l’eco di scosse epocali che si fa sentire.
Nel lavoro di Nile Koetting invece c’è un lampo, un fascio di energia ultravioletta che definisce Magnitude. Lui non ha ancora 30 anni e parla di ecologia con opere fosforescenti. A tratti è un mago che genera scintille e subito dopo è un figlio della precarietà che non sa come stabilizzare il corto circuito. Ma, ancora, la minacciosa energia resta vitale.
È una generazione radioattiva, bruciata da spaventi indicibili, fortuna che il contagio non è solo tormento. L’urto di Fukushima ha scatenato i fantasmi e pure risvegliato una certa creatività alternativa, la voglia di spingersi oltre. Di questo parla My voice your Body, del bisogno di legami veri anche nella società superdigitalizzata: basta davvero poco a fondere i fili delle certezze informatiche. Della forza che ognuno genera, di corpi capaci di superare le mutazioni, come quello di Katayama Mari, protagonista della sua stessa ispirazione. Lei, nata nel 1987, non ha le gambe ma ha il coraggio di farsi autoritratti sexy. Oltre la zona sicura dove il Giappone non può più stare.