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 2016  aprile 08 Venerdì calendario

Buffon e Donnarumma, il vecchio e il bambino. Interviste a confronto

Gigi Buffon, portieri si nasce o si diventa?
«Con l’attitudine e le qualità ci nasci, però io scelsi tardi e allora, lo sono diventato».
Donnarumma potrebbe essere lei vent’anni fa: un segreto per ritrovarsi grande portiere?
«Da giovane, per me vale pure adesso, non devi mai pensare di sapere già tutto. Mai credere di non poterti migliorare».
Per allenarsi, gli altri giocano e un portiere si butta: come si fa ad averne voglia tutti i giorni?
«Ho la fortuna di avere un club organizzato e l’armonia con il preparatore e gli altri portieri. Andare avanti senza tirare avanti: è la differenza».
Sole o neve cambia qualcosa?
«Ora non ci penso, ma ogni giorno mi chiedo: “Come sarà?” Sono incuriosito dal mio modo quotidiano di prepararmi: sono riuscito a robotizzarmi bene».
Guarda ancora gli altri?
«Sì, mi piace vedere la personalità, quella che rende diversi: tecnica, elasticità, forza, sono più o meno uguali, dalla A alla Lega Pro. Su ogni pallone devi fare la scelta che comporta meno rischi: questa è la mia bella sfida quotidiana».
Che differenza c’è tra un portiere di 17 anni e uno di 38?
«Nel mio caso, fino ai 30 sono stato accompagnato da un talento fuori dal comune, penso, e da una buona professionalità. Dopo, c’è stata la voglia di sudare nel vero senso della parola: capire dove dovevo migliorarmi, e l’agonismo, ora imprescindibile».
Higuain ci ha messo troppo agonismo?
«La squalifica non la commento, non tocca a me. Posso solo parlare di Juve».
La Juve l’hanno tirata in ballo.
«Mai come quest’anno la Juve ha levato a chiunque ogni alibi: quando parti con 12-13 punti di handicap e ti ritrovi a più sei a sette giornate dalla fine, è difficile aggrapparsi a qualcosa. Anche se poi ne viene detta spesso un’altra».
Ovvero?
«“Eh, però nei momenti decisivi la Juve...”: mi fa sorridere, non ridere. Perché tutto è relativo: in un momento che poteva essere decisivo, a Sassuolo, al 25’ la Juve è rimasta in dieci per una doppia ammonizione a Chiellini e dopo 10 minuti c’era un rigore sacrosanto su Sturaro che grida vendetta davanti a Dio. Poteva essere la pietra tombale. Però mi sembra che chi è andato in conferenza abbia mirato ad altro tipo di responsabilità e colpe: è la vera differenza».
Rizzoli ha parlato dell’episodio di Bonucci: ha fatto bene?
«È giusto che un arbitro spieghi. Non trovo invece intellettualmente corretto che nessuno abbia colto la differenza».
Tra Higuain e Bonucci?
«Sentivo e leggevo di una testata di Bonucci a Rizzoli: boh, io c’ero e non l’avevo vista. Leonardo, in modalità aggressiva, si è avvicinato alla testa dell’arbitro, ma senza toccarlo: differenza sostanziale».
Il Milan può far paura anche a meno 24 punti?
«Paura no, ma ci vuole grande rispetto. Squadre così hanno organici e qualità nei singoli da ribaltare il pronostico».
Che effetto fa essere a un passo dalla storia?
«Il penta-scudetto sarebbe una gratificazione inimmaginabile, perché devi essere un carro armato, di testa. E quest’anno avevamo tutte le ragioni per non vincere, tra i cambiamenti e una partenza a handicap da primato. Stiamo facendo qualcosa di epocale».
Morata è uno da tenere?
«Leggo che la Juve dovrà essere spettatrice. Comunque, sì: ha tutto per fare la differenza, quando non presenta anomalie psicologiche». (sorriso).
L’ha stupita Dybala?
«No. Fin dai primi giorni ho visto in lui la curiosità, il silenzio, la scaltrezza, la rapidità di sguardo con cui cercava di accalappiare nozioni del mondo Juve per farle sue e bruciare le tappe. E così è stato».
Che cosa resta della Champions?
«La delusione, ma nessun rimpianto. E siccome da quelli più bravi c’è sempre da imparare, ricordo Guardiola sugli arbitri: “Una squadra come la Juve non deve guardarli”. Delle volte sono a favore, altre contro, ma restano le occasioni che abbiamo avuto per chiuderla e non l’abbiamo fatto. Le tue fortune, spesso, dipendono solo da te».
I milanisti le rinfaccerebbero il gol di Muntari: ripeterebbe le cose di quattro anni fa?
«Era la verità, e quando la si dice non c’è nulla di cui pentirsi».
Conterà la conferma di Allegri?
«È molto importante: il secondo anno, tutti l’aspettavano al varco. Ma lui ha preso una consapevolezza, un’autorità, un modo di svolgere il lavoro molto belli, che ci piace: c’è tanto di suo in questa rimonta».
Conte è andato a casa Chelsea: peserà sull’Europeo dell’Italia?
«Non ci trovo nulla di male: il mister ha dimostrato in questi anni la professionalità che lo contraddistingue e il desiderio di primeggiare. Se uno ha queste due qualità, può anche guadagnarsi la libertà, e la correttezza, di dire che dopo l’Europeo non ci sarà più».
Da leggenda, si chiedono ancora le maglie agli avversari?
«Per gli altri: presi quella di Scholes, mio papà ne era innamorato. E la chiesi a David Luiz, quella del Brasile, per i miei figli. Io ne ho tante, di belle, ma le lascerò a loro, a me creano molta malinconia. Mi fanno pensare che ho passato tante belle avventure e stanno finendo. Ma non sono ancora finite».
Massimiliano Nerozzi

***

Donnarumma per gli amici è semplicemente Gigio, suo fratello Antonio, invece, continua a chiamarlo «cucciolo». Un cucciolo alto 196 centimetri che a ottobre ha esordito nel Milan a soli 16 anni e otto mesi, insidiando il primato di Paolo Maldini.
Storia di un gigante. Prego...
«Mia mamma Maria è 1 e 70 ma mio zio 1 e 89, quindi è messo bene. Pure papà Alfonso ha una bella stazza (1 e 87) e quindi ecco spiegato perché io e mio fratello Antonio, che adesso è al Genoa, abbiamo questo fisico».
Ci sarebbe anche Nunzia, tua sorella...
«Beata tra gli uomini, da piccoli litigavamo spesso. A lei del calcio non è mai fregato niente, poi si è arresa e ha iniziato a fare il tifo per noi».
A nove anni giocavi con quelli di tredici, ma nessuno aveva il coraggio di dire una parola.
«Ho avuto uno sviluppo clamoroso ed era difficile immaginare la mia età. Il campo di Castellammare è stata una bella palestra, lo usavano anche per fare motocross, non c’era un filo d’erba e la terra mi faceva male alle ginocchia».
Potevi fare il falegname, il lavoro di tuo padre.
«Qualche volta scendevo ad aiutarlo ma non capivo la differenza tra una vite e una puntina. Il mio sogno è sempre stato fare il portiere e se ci sono riuscito è grazie ai suoi sacrifici».
Antonio ti ha preceduto: per qualche anno ha giocato nelle giovanili del Milan, poi però se n’è andato.
«La passione per il Milan me l’ha trasmessa lui. Nella mia cameretta avevo l’orologio di Kakà, il poster della squadra e tanti cuscini rossoneri. Sarebbe bello averlo qui con me l’anno prossimo, ma è una decisione della società».
Antonio però ha sempre ammesso che sei tu il vero fenomeno di casa.
«Mi prende in giro anche adesso prima della partite ma poi mi riempie di consigli».
Ti seguivano in tanti ma hai scelto il Milan.
«Quando mi hanno chiamato pensavo fosse uno scherzo...».
Come a fine settembre, quando durante la sfida contro il Genoa Mihajlovic si arrabbiò con Diego Lopez per alcuni rinvii?
«Mihajlovic si è girato e mi ha detto: scaldati. Mi sono voltato dalla parte opposta perché credevo che parlasse con un altro».
Dopo neppure un mese, lo stesso Sinisa contro il Sassuolo ti ha spedito in campo. Che coraggio...
«Non finirò mai di ringraziarlo. Ho sempre sognato di difendere la porta del Milan, ma non avrei mai immaginato che potesse capitare così presto. L’ho saputo il giorno prima, ho faticato a dormire».
Dicono che non soffri le pressione. Sei una sfinge in tutto?
«Soltanto in campo, quando devo fare un compito in classe e mi accorgo che non mi riesce sudo».
Studi ragioneria e vivi in un convitto insieme ad altri coetanei. A quale domanda devi rispondere più frequentemente?
«La prima è dammi la tua maglia, la seconda portami quella dei tuoi compagni (ride)».
A chi devi dire grazie per quello che sei diventato?
«Io per adesso non ho fatto proprio nulla, ho tanta strada da fare. Però devo dire già grazie a tanti allenatori: a Pinato, Ragno, Abate, Fiori e adesso a Magni e a Giorgio Bianchi. Senza dimenticare Diego Lopez e Abbiati, il loro supporto è fondamentale».
In Coppa Italia la porta “appartiene” ad Abbiati. Come la mettiamo per la finale contro la Juve?
«Deciderà il mister. Ovvio che mi piacerebbe giocare ma se non succederà andrà bene lo stesso. Questa stagione per me è stata comunque straordinaria».
Intanto giocherai domani sera. Che Milan serve per battere la capolista?
«Un Milan unito che lotta su ogni pallone. Dobbiamo vincere a tutti i costi».
Non siete in un buon momento.
«La situazione è difficile, abbiamo fatto due punti in quattro partite. Siamo qui in ritiro per riflettere e uscire da questo momento tutti insieme».
Hai visto il tributo che lo Stadium ha riservato a Buffon dopo il suo record di imbattibilità?
«Sì e mi sono emozionato, gli faccio i complimenti: è un esempio per tutti noi. Ha fatto la storia, da lui prenderei tutto. È stato un onore per me scambiarci la maglia dopo la partita di andata».
Gli attaccanti più forti del campionato?
«Eder in versione Sampdoria e Dybala, che però per fortuna domani non dovrebbe giocare».
Che effetto ti fa sapere che ci sono squadre come il Chelsea e il Barcellona disposte a spendere 40 milioni per te?
«Non ci credo... Però se è vero fa piacere».
Hai qualche tatuaggio?
«No, non mi piacciono. E neppure l’orecchino, sennò mio padre mi ammazza».
Sei fidanzato?
«Sì, da poco».
Piatto preferito?
«Pizza e panuozzo, ma a Milano non sanno cosa sia!».
Laura Bandinelli