Federico Fubini, Sette 8/4/2016, 8 aprile 2016
IL CIVISMO CONTRO GLI SQUILIBRI
Corrado Gini era un uomo piccolo e dal carattere così ruvido che nell’istituzione da lui stesso fondata novant’anni fa lo chiamano ancora l’“innominabile”. Sembra che pronunciare il suo nome porti jella, tanto che i funzionari dell’Istat non lo fanno quasi mai. Sospetto però che dietro questa storia della malasorte ci sia altro. La fama di portasfortuna che rende Gini ancora oggi superstiziosamente menzionabile solo per eufemismi meriterebbe l’attenzione di un esperto in meccanismi di rimozione collettiva. Gini, uno studioso di valore, fu anche acceso teorico dell’eugenetica che fin dagli anni 20 è stata alla base del razzismo mussoliniano.
Quest’uomo fondò l’istituto statistico italiano nel 1927, su diretta richiesta di Benito Mussolini. Prima però Gini era stato l’autore di un’innovazione che, per uno strano giro di valzer della storia, ancora oggi porta Barack Obama e l’intero mondo degli economisti “liberal” a parlare spesso di lui. L’indice di Gini, che il presidente americano non si stanca mai di citare, è oggi lo strumento statistico comunemente accettato nel mondo per misurare il grado di diseguaglianza dei redditi in un Paese.
Si legge la lista dei Paesi in base all’indice di Gini, pubblicata la Banca Mondiale, come si potrebbe leggere uno studio sulle classi medie. Più alto è il punteggio, maggiori le disuguaglianze, più esili sono i ceti medi in un Paese.
Quanto a questo, si sa che l’Italia non è fra i Paesi più egualitari; tende piuttosto a slittare verso l’estremità opposta. Il suo punteggio in termini di diseguaglianze è pari per esempio a quello di un Paese povero e corrotto come la Cambogia, ma questo non significa molto data la differenza di reddito fra le due economie. Più rilevante è il fatto che l’Italia risulti molto più diseguale della Germania o della Danimarca, più della Spagna, dell’Olanda o della Svizzera, alla pari con il Regno Unito e solo di poco più egualitaria degli Stati Uniti. Tassi ancora maggiori di sperequazione si riscontrano solo in Paesi come l’Uruguay, l’Argentina o la Russia, dove vivono le classi medie piccole e minacciate.
Paesi a confronto. Come si vede, non c’è correlazione fra diseguaglianze nell’indice di Gini e tassi di crescita: un’economia può essere più o meno diseguale indipendentemente dal fatto che sia dinamica o no. L’America vive una forte polarizzazione dei redditi eppure cresce, mentre la Germania è molto più egualitaria mentre cresce a ritmi simili. Gran Bretagna e Italia sono allo stesso livello diseguali ma hanno tassi di sviluppo, ahinoi, molto diversi.
Se la crescita non è una causa o una conseguenza immediata delle disparità dei redditi, deve dunque far riflettere il modo in cui queste si presentano all’interno del nostro Paese. L’indice di Gini all’interno dell’Italia presenta variazioni impressionanti. Alcune regioni italiane sono egualitarie quasi come la Germania, altre lo sono meno degli Stati Uniti. Secondo l’Istat nel 2013 le regioni più diseguali erano – nell’ordine – Sicilia, Lazio, Campania, Sardegna e Lazio. Le regioni o provincie con l’indice di Gini più basso sono invece nell’ordine Friuli Venezia-Giulia, Valle d’Aosta, le provincie di Bolzano e Trento, la Toscana, le Marche e l’Emilia-Romagna. La Lombardia, la regione meno egualitaria del centro-nord, ha un indice di Gini pari a quello delle regioni più egualitarie del Sud: Puglia e Basilicata. In altri termini il Centro-Nord sembra essere socialmente molto meno squilibrato del Mezzogiorno.
Dipende dal tasso di crescita? Forse non solo. Se si vogliono spiegare questi squilibri, può anche venire in aiuto la teoria di un altro genio: Robert Putnam, lo studioso americano che all’inizio degli anni 90 pubblicò un’opera sull’Italia. Si intitolava Making Democracy Work e dimostrava che le regioni italiane con le maggiori tradizioni di civismo nei secoli sono quelle nelle quali oggi le istituzioni democratiche funzionano meglio. Putnam ha studiato gli ordini professionali medioevali o le cooperative ottocentesche nel centro-nord. Al loro opposto stanno le rigide tradizioni feudali del Sud. La sua conclusione: «Si sarebbe potuto prevedere il successo o il fallimento dei governi regionali in Italia negli anni 80 sulla base del grado di coinvolgimento civico delle popolazioni nei secoli precedenti».
Forse, con rispetto per l’innominabile, si sarebbe potuto prevedere anche l’indice di Gini.