
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Per raccontare la giornata di ieri, 150 anni dall’unità d’Italia, basterà seguire i movimenti del presidente Napolitano. Al mattino, cerimonia al Vittoriano, il monumento dove è sepolto il Milite Ignoto, la celebre “macchina da scrivere” eretta nel 1911 per i cinquant’anni dell’anniversario. Accolgono il capo dello Stato i due presidenti di Camera e Senato, Berlusconi, il presidente della Corte costituzionale De Siervo. Alzabandiera, inno, rassegna delle forze armate con La Russa ministro della Difesa, sventolio di bandiere ed evoluzione in cielo delle Frecce tricolori. Berlusconi e Fini si stringono la mano. Poi al Pantheon, dove è sepolto Vittorio Emanuele II (nel 1878 i torinesi fecero una mezza rivoluzione perché il re non veniva inumato a Superga): nessuno fa caso a un manifesto listato a lutto, dove sta scritto «Io non festeggio genocidi: la vita è bella», allusione alle stragi compiute dagli italiani al Sud tra il 1861 e il 1865, per aver ragione di briganti e borbonici. Una piccola folla applaude invece il capo dello Stato, che è accompagnato dai Savoia attuali, Vittorio Emanuele, la moglie Marina Dora e il figlio ballerino Emanuele Filiberto con moglie. Manca poco alle 10 e si sentono i ventuno colpi di cannone dal Gianicolo, dove le autorità sono andate a deporre una corona ai piedi del monumento a Garibaldi. Un gruppo fischia La Russa, il quale intanto fa battere alle agenzie una sua dichiarazione in cui si sostiene che «è importante avere una memoria condivisa». Fischi anche per Berlusconi («dimettiti, dimettiti») che la folla vede salire in macchina. A mezzogiorno, ecco il presidente alla messa di Santa Maria degli Angeli, officiata dal cardinale Bagnasco. Anche qui per Berlusconi ci sono fischi, però anche applausi. Bagnasco dice: «Dell’Italia tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli, perché a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa». La feroce contrapposizione in cui hanno vissuto per settant’anni Stato e Chiesa è evidentemente dimenticata. La messa finisce con un Te Deum, secondo la moda inaugurata dall’antipapista Napoleone. Berlusconi va via da una porta secondaria, per evitare altre contestazioni. Dopo mangiato ci si sposta alla Camera, dove il Parlamento si riunisce in seduta comune. La maggior parte dei deputati indossa qualcosa di rosso, qualcosa di bianco e qualcosa di verde – come facevano le signore nel 1848 – oppure almeno un nastrino o una coccarda tricolore. Ci sono solo cinque leghisti, ma uno di questi è Bossi. Polemiche e dichiarazioni di fuoco, Orlando vorrebbe un intervento della magistratura per vilipendio, Bersani che il governo si dimettesse perché chiaramente la maggioranza non c’è. Applausi per Scalfaro e Ciampi. Finalmente, alle quattro e mezza, arriva anche Napolitano. Mentre Berlusconi dichiara «non lascio il Paese in mano ai comunisti», il presidente ammette che il Risorgimento non è esente da critiche, però senza semplicismi clamorosi, e in ogni caso la Patria è una e dobbiamo essere orgogliosi, eccetera eccetera. Standing ovation finale, a parte i cinque leghisti, che non applaudono.
• Però le strade ieri erano piene di bandiere. Dunque un qualche sentimento nazionale esiste.
Già. Ed è merito della Lega averlo fatto emergere: caricando a testa bassa l’unità ha costretto tutti a prender posizione. E in maggioranza, sia al Nord che al Sud, il sentimento unitario è risultato prevalente. Alcuni sindaci leghisti (Varese, Verona) si sono presentati alle rispettive cerimonie con la fascia tricolore. Idem Zaia, il governatore del Veneto.
• Questo tripudio di bianco, rosso e verde è di destra o di sinistra?
Un miscuglio, una confusione. Oggi, per via della Lega, il tricolore ha nuovamente un’aria di sinistra – come alle origini – e infatti ieri Bersani ha rilasciato un mucchio di dichiarazioni patriottiche. Ma nel 1961, in occasione del centenario, la sinistra visse con imbarazzo le celebrazioni, che avevano un’aria troppo nazionalista per essere accettate a cuor leggero. Era facile identificare un sentimento nazionalista con un sentimento parafascista.
• Come avviene che prima la cosa appare in un certo modo, poi in modo opposto e adesso non si sa più bene l’amor di patria dove collocarlo?.
È una lunga storia. Del resto la racconteremo, e sia pure a volo d’uccello, proprio qui, sulla “Gazzetta dello Sport”.
• E quando?
A partire da domenica prossima. Non faccia finta di cadere dalle nuvole. Sa benissimo che a raccontarla saremo proprio io e purtroppo lei.
• In venti puntate? Dicendo proprio tutto?
Già, cominciando da Napoleone e finendo con Berlusconi. Un bicchiere che si beve in trecento secondi a colpo. Con cento minuti in tutto ci si fa una cultura. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/3/2011]
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