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 2011  marzo 18 Venerdì calendario

L’ERRORE DEL RAIS

Se Gheddafi avesse voluto scuotere una comunità internazionale immersa nel torpore, nulla avrebbe potuto essere più efficace delle minacce profferite nella serata di ieri: stiamo per prendere Bengasi— ha detto il Raìs — e con chi resiste non avremo pietà. In quelle stesse ore, a New York, il Consiglio di sicurezza dell’Onu tentava di trovare l’accordo su una risoluzione che spianasse la via a un intervento militare in Libia. Russi e cinesi si facevano ancora pregare, la Germania e l’India avanzavano perplessità, mentre i francesi e gli inglesi, spalleggiati questa volta dagli Stati Uniti, mettevano in risalto l’appoggio della Lega araba e facevano sapere che in caso di approvazione i bombardamenti a difesa degli insorti sarebbero cominciati a stretto giro di posta. Sul braccio di ferro diplomatico che si svolgeva all’Onu le parole di Gheddafi sono cadute pesanti come un macigno. Non soltanto il Raìs di Tripoli stava accelerando l’avanzata delle sue truppe verso la roccaforte dei ribelli. Non soltanto veniva di fatto annunciata una strage che non avrebbe potuto risparmiare i civili. Ma per tentare di impaurire i componenti del Consiglio le autorità tripoline preannunciavano, in caso di intervento straniero, attacchi sistematici contro il traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo. A quel punto si trattava di rispondere al Colonnello o di dichiarare la resa. E sono allora giunte la disponibilità ad astenersi dei russi e dei cinesi, l’attenuazione delle altre obiezioni, la volontà di non permettere che la crisi libica si trasformasse in un clamoroso fallimento collettivo. La risoluzione, presentata da Francia, Gran Bretagna e Libano, prevede che possano essere applicate in Libia «tutte le misure necessarie» alla protezione dei civili, con la sola esclusione di un intervento ad opera di forze terrestri. La no-fly zone farà parte del dispositivo, ma è evidente che nell’attuale situazione essa sarà interpretata in maniera molto più offensiva di quanto inizialmente e vanamente discusso. E a chiarimento definitivo viene invocato il Capitolo VII, quello che nel codice Onu autorizza le operazioni militari. Dopo settimane di indecisionismo e di profonde diversità di approccio, l’Occidente si è finalmente reso conto che se il Raìs di Tripoli avesse vinto la sua sfida il prezzo sarebbe stato una generale perdita di immagine e di credibilità politica. Con il risultato di lanciare al mondo intero il segnale inequivocabile del passaggio a una nuova era, post occidentale e soprattutto post americana. Perché se è vero che a tirare il carro dell’intervento è stata soprattutto la Francia (che per l’occasione ha spedito a New York il ministro degli esteri Juppé), è ancor più vero che la novità fondamentale è venuta dal cambiamento della posizione americana.
A lungo esitante e prudente, dilaniato tra il desiderio di farsi valere e il timore di impegnare gli Usa in una nuova guerra proprio ora che si avvicina la campagna presidenziale, Barack Obama era parso fino a ieri un presidente rinunciatario e sin troppo consapevole del calo (che rimane) della potenza e dell’influenza statunitensi. Nemmeno l’appoggio della Lega araba pareva avergli fatto superare il timore di essere accostato all’ «imperialismo petrolifero» del suo predecessore. Nemmeno il fatto che l’Arabia Saudita avesse mandato soldati in Bahrein contro i suoi consigli e senza avvertirlo pareva essere stato per lui un campanello d’allarme abbastanza forte. Ma poi, alla fine, Obama deve essersi reso conto che Gheddafi non poteva vincere sul campo dopo che lui, il presidente degli Stati Uniti, aveva pubblicamente chiesto un suo immediato allontanamento dal potere in Libia. Si poteva al massimo mantenere una certa prudenza nel grado di coinvolgimento, lasciar fare il più possibile agli altri. Ed è così che una Europa più che mai divisa è riuscita in realtà a svolgere un ruolo di primo piano, almeno nelle componenti britannica e francese (non certo in quelle, assai scettiche, italiana e tedesca). Per Parigi si trattava oltretutto di evitare una pessima figura a Sarkozy, che aveva «riconosciuto» i ribelli e più di tutti aveva invocato le maniere forti contro Gheddafi. E gli inglesi, tra gli Usa e la Francia, non potevano certo rimanere alla finestra. Quanto all’Italia, come preannunciato «farà la sua parte» ora che un chiaro mandato internazionale esiste. Ma resta da vedere se si tratterà soltanto di concessione di basi o di una più attiva (e auspicabile) partecipazione alle operazioni. L’Italia come tutti, del resto, sa che il problema libico resta comunque aperto. Gheddafi cadrà o accetterà, come ventilato a Tripoli, dopo il voto all’Onu, un cessate il fuoco? Si andrà a una spartizione di fatto del Paese? Chi sono e cosa vogliono esattamente i rivoltosi ora protetti? Il petrolio ricomincerà a scorrere, e con le stesse concessioni e destinazioni di prima? Siamo soltanto all’emergenza, alla reazione della venticinquesima ora. Ma una strategia per la Libia non la fanno gli aerei, e da domani bisognerà pensarci.