Stefano Filippi, il Giornale 18/3/2011, 18 marzo 2011
Crolla il teorema: i Serenissimi non sono terroristi - La bandiera di San Marco sventola dalle finestre di Flavio Contin, l’ultimo dei«serenissimi » che l’8 maggio 1997 diedero la scalata al campanile di San Marco a Venezia
Crolla il teorema: i Serenissimi non sono terroristi - La bandiera di San Marco sventola dalle finestre di Flavio Contin, l’ultimo dei«serenissimi » che l’8 maggio 1997 diedero la scalata al campanile di San Marco a Venezia. L’irriducibile Contin: lui e altri due membri del commando sbarcato sul «tanko» in laguna hanno sempre respinto patteggiamenti con la giustizia italiana. Sono stati in carcere, hanno affrontato a viso aperto le corti d’assise che li accusavano di banda armata e associazione sovversiva. E hanno avuto ragione l’altro giorno, dopo 14 anni di calvario legale, alla vigilia dell’anniversario che maggiormente detestano: l’Unità d’Italia. La Corte di Cassazione ha definitivamente sentenziato che quella dei «serenissimi» non fu associazione sovversiva dell’ordine costituzionale e democratico. Gli assalitori del campanile non erano eversori golpisti paragonabili ai brigatisti rossi, gli ultimi cui era stata contestata quell’imputazione. Per la gran parte dei membri del «Veneto Serenissimo Governo» la vicenda giudiziaria si era già chiusa da tempo, ma alcuni di loro (i fratelli Flavio e Cristian Contin più Gilberto Buson) avevano rifiutato scorciatoie e riti brevi. Da quella pesantissima accusa i tre erano già stati assolti in primo e secondo grado, ma la procura generale di Venezia aveva presentato appello in Cassazione. Il caso ha voluto che la Corte si sia riunita alla vigilia dei 150 anni dall’Unità d’Italia. Del resto, anche l’assalto a San Marco era legato a un anniversario: precedette di pochi giorni il bicentenario della caduta della Repubblica di Venezia nelle mani di Napoleone (12 maggio 1797). I «serenissimi» volevano rivendicare l’autonomia di quei territori e l’illegittimità del successivo referendum (1866) che ratificò l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Dieci persone componevano la pattuglia: otto operativi tra cui i tre in questione, più il coordinatore Luigi Faccia e l’ideologo Bepi Segato, morto cinque anni fa. Con un trattore camuffato da autoblindo ( il «tanko» oggi esposto come cimelio nelle feste venete della Lega), vestiti in mimetica, armati di un mitragliatore residuato bellico della Seconda guerra mondiale, dirottarono un vaporetto pubblico e attraccarono in piazza San Marco dando la scalata al campanile. Le immagini del commando che sventolava il vessillo del Leone alato e dei carabinieri incappucciati del Gis che arrestarono i «serenissimi » in diretta tv fecero il giro del mondo. Una prima tranch e giudiziaria si chiuse nel 2003 con assoluzioni, patteggiamenti e severe condanne. Era stato l’allora procuratore di Verona Guido Papalia a istruire il fascicolo contro il blitz dei «serenissimi». Ma rimase aperto un secondo processo per reati associativi - quello conclusosi l’altro giorno-per coloro che non patteggiarono né scelsero il rito abbreviato. Ora la Cassazione ha definitivamente dichiarato inammissibile (le motivazioni si conosceranno tra alcune settimane) il ricorso della procura generale veneziana che aveva chiesto di riaprire il processo. Dopo 14 anni, i magistrati già sconfitti due volte volevano addirittura un nuovo processo. E l’hanno chiesto alla vigilia di un anniversario che poteva condizionare la decisione della Corte. Gli avvocati Renzo Fogliata, Alessio Morosin e Luigi Fadalti hanno ricostruito la vicenda escludendo un progetto di eversione della democrazia in Italia e riconducendo l’episodio di piazza San Marco a un’azione poco più che simbolica. Inoltre hanno sottolineato che non era più possibile un nuovo giudizio nel merito delle accuse, considerate le precedenti assoluzioni. Dunque, i «serenissimi» del «tanko» non sono terroristi. Le accuse di sovversione formulate da Papalia sono infondate. «Siamo soddisfatti per l’indipendenza dimostrata dalla Cassazione », ha detto l’avvocato Fogliata.«Quattordici anni per avere giustizia sono troppi, valuteremo se fare causa allo Stato italiano per le lungaggini», aggiunge l’avvocato Morosin.«È lafine di una sofferenza enorme confessa Contin - . Noi siamo dalla parte giusta. Italiani sì, ma prima di tutto veneti».