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 2011  marzo 18 Venerdì calendario

In Italia la previdenza più pesante Ma il sistema reggerà fino al 2050 - È un frullato di notizie buone e cattive il rapporto dell’Ocse (organizzazione dei Paesi più sviluppati) sulle pensioni in Italia, ma guardando l’insieme forse sarebbe giusto vedere il bicchiere mezzo pieno, perché dopo anni di allarmi e di riforme tormentose adesso sembra che il nostro sistema previdenziale abbia raggiunto un pur difficile equilibrio

In Italia la previdenza più pesante Ma il sistema reggerà fino al 2050 - È un frullato di notizie buone e cattive il rapporto dell’Ocse (organizzazione dei Paesi più sviluppati) sulle pensioni in Italia, ma guardando l’insieme forse sarebbe giusto vedere il bicchiere mezzo pieno, perché dopo anni di allarmi e di riforme tormentose adesso sembra che il nostro sistema previdenziale abbia raggiunto un pur difficile equilibrio. Così almeno dicono gli esperti indipendenti, che ci fanno pure qualche complimento: le innovazioni concordate fra i vari governi e le parti sociali degli ultimi 15 anni «hanno permesso di ottenere una migliore sostenibilità economica e finanziaria del sistema pensionistico italiano», spiega Anna Cristina D’Addio, della divisione delle politiche sociali dell’Ocse. Tuttavia non siamo a posto, «la sostenibilità sociale potrebbe essere un problema in futuro». Il rapporto periodico dell’Organizzazione sui regimi previdenziali degli Stati membri sottolinea che la radice del problema previdenziale italiano è demografica: siamo il Paese più vecchio del mondo (dopo il Giappone) e il numero uno assoluto (davanti anche al Giappone) come quota della spesa delle pensioni rispetto al prodotto nazionale lordo: il 14,1% del Pil, che corrisponde al doppio della media Ocse (ferma al 7%, mentre negli Stati a noi più vicini e comparabili per sviluppo si osserva il 12% di Francia, Austria e Grecia e l’11% di Germania e Portogallo). Le cose non miglioreranno da sole, anzi se si va avanti così l’Italia passerà da 2,6 lavoratori per ogni pensionato a soli 1,5 lavoratori per pensionato nel 2050, che non è un anno lontanissimo (quando si ragiona di previdenza i calcoli devono essere pluridecennali). Il rapporto dell’Organizzazione aggiunge che la spesa previdenziale rappresenta una quota ancora più alta della spesa pubblica italiana: il 29,4% nel 2007». Pagare le pensioni potrebbe diventare sempre più difficile. E invece, a sorpresa, sembra che le cose non andranno male: l’Ocse calcola che «la spesa pubblica per le pensioni in Italia dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile fino al 2050», cioè poco sopra il 14% del Pil anche fra 40 anni. Com’è possibile questo miracolo? L’Organizzazione osserva che le ripetute riforme degli anni scorsi, fatte a spizzichi e bocconi, «contribuiranno a contenere la spesa pensionistica nel futuro a lungo termine», evitando il crollo del sistema. A questo si arriva attraverso «i tagli alle prestazioni per i futuri pensionati e l’aumento dell’età pensionabile». L’Ocse loda «il graduale passaggio al nuovo metodo contributivo, l’applicazione dei nuovi coefficienti di trasformazione che tengono conto dell’aumento dell’aspettativa di vita, e l’introduzione di un legame automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita della popolazione a partire dal 2015». Ma tutto questo aiuterà la barca della previdenza a rimanere a galla a una condizione: cioè che «la partecipazione al mercato del lavoro dei più anziani aumenti». Questo non vuol dire necessariamente che l’età del ritiro debba aumentare ancora, però nel complesso più persone dovranno lavorare più a lungo. L’Ocse vede un problema: «Ipotizzando che una persona lavori per una carriera completa a partire da 20 anni, in Italia il diritto alla pensione completa è già raggiunto in corrispondenza dei 60 anni, e questo riduce gli incentivi a continuare a lavorare dopo questa età rispetto ad altri Paesi appartenenti all’Ocse». Inoltre «la situazione economica attuale e le caratteristiche del mercato del lavoro italiano, dove si assiste all’emergere di forme di precarietà nei posti di lavoro e nelle retribuzioni, hanno il potenziale di ridurre i trattamenti pensionistici futuri per questi lavoratori». In parole povere molte persone rischiano di passare da una vita di precarietà a una vecchiaia senza la pensione, o con una pensione da fame. Insomma la sostenibilità finanziaria c’è, in termini di numeri, ma per evitare che dietro a quei numeri si nascondano sofferenze sociali inenarrabili bisogna apportare ancora degli aggiustamenti per evitare la povertà di massa per le persone anziane. Che giudizio sintetico si può dare? Secondo il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, «il rapporto dell’Ocse dice che il nostro sistema previdenziale è diventato sostenibile grazie alle recenti riforme», merito anche dei governi precedenti.