Giusi Fasano, Corriere della Sera 18/03/2011, 18 marzo 2011
«Il destino ci condanna» Le email dei 50 eroi - DAL NOSTRO INVIATO TOKYO — Le dita di un uomo disperato battono sulla tastiera un messaggio email per la moglie: «Per favore cerca di stare bene almeno tu, io non posso tornare a casa per un po’»
«Il destino ci condanna» Le email dei 50 eroi - DAL NOSTRO INVIATO TOKYO — Le dita di un uomo disperato battono sulla tastiera un messaggio email per la moglie: «Per favore cerca di stare bene almeno tu, io non posso tornare a casa per un po’» . Un altro mente sapendo di mentire quando scrive a suo fratello «non vi preoccupate, me la caverò. Torno presto, non ricordi più che fra sei mesi vado in pensione?» Messaggi dalla non vita di Fukushima I. Pensieri e parole che arrivano dai 50 lavoratori-eroi rimasti nella centrale. Non si sa come, ma da giorni quei volontari sopravvivono alla notte e si infilano nella luce dell’alba con un solo obiettivo: salvare ciò che resta di quella «creatura» deforme che li tiene prigionieri, raffreddare le barre di combustibile nucleare perché non esploda tutto. Salvare il «mostro» , insomma, sapendo che invece lui li ucciderà. Le radiazioni nell’impianto sono così alte che nessuno si aspetta di non pagare pegno, ma il pegno stavolta è la vita. E poco importa sapere che sarà fra sei mesi o un anno. Il pensiero va ai lavoratori che nell’ 86 rimasero nella centrale di Chernobyl, in Ucraina. Le loro vite si spensero come candele tutte assieme, più o meno tre mesi dopo l’esposizione alle dosi letali di radiazioni. Adesso come allora la missione è suicida, è la favola nera di 50 moderni samurai che il primo ministro Naoto Kan quasi implora: «Voi siete i soli che possono risolvere questa crisi. Ritirarsi è impensabile» . «Accetto il mio destino come fosse una condanna a morte» scrive uno di loro in una email alla famiglia. Suo fratello racconta ai giornalisti che «sta lavorando ancora nell’impianto... non ha mai smesso. Non hanno più niente da mangiare là dentro... vanno avanti in condizioni davvero durissime» . La rete è il solo modo di comunicare fra l’inferno e il mondo fuori. Sembra di vederli, i 50 di Fukushima, nelle loro tute bianche, appesantiti dalle bombole di ossigeno, mentre corrono dietro i fasci di luce delle loro torce. Un momento di pausa. Solo un momento per scrivere alla vita. «Vi penso sempre, vi voglio bene» , «torno presto» , «ancora uno sforzo e ce l’abbiamo fatta» . «Mio padre è entrato nell’impianto e io non ho mai visto mia madre piangere così tanto» confida ai suoi amici di Twitter la figlia di uno dei tecnici. Non ha bisogno di essere un’esperta di nucleare per conoscere il capitolo finale del libro di suo padre: «Chi è dentro a Fukushima è un combattente, sta sacrificando se stesso per proteggere te» dice. Ma dev’essere un pensiero insopportabile, perché il messaggio finisce con una preghiera «Per favore, papà. Per favore torna a casa vivo» . Da un social network giapponese parla per tutti i suoi colleghi silenti Michiko Otsuki, una lavoratrice della centrale Fukushima II, 12 chilometri da Fukushima I e non compromessa da terremoto e maremoto. Dice che non è giusto parlare di lavoratori «scappati via» . Le sembra troppo profondo il solco fra i 50 volontari di Fukushima e tutti gli altri della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la società che gestisce l’impianto. «Venerdì scorso, nel mezzo dello tsunami, nessuno poteva vedere dove stava andando eppure ci siamo precipitati tutti al lavoro rischiando la vita. Ogni lavoratore ha cercato disperatamente di fare il possibile. Ce n’erano molti che non sapevano che fine avessero fatto i propri familiari, la propria casa eppure sono tornati al lavoro» . Chissà se c’erano proprio tutti, i 50 eroi. E chissà come deve sembrare lontana quella notte, adesso che il buio è più buio. Giusi Fasano