
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri un’acquazzone di polemiche sulla faccenda del tricolore. Riassumiamo: Napolitano, aprendo le celebrazioni per il centocinquantenario della nostra unità (1861-2011), è andato a Reggio Emilia, dove sarebbe nata la bandiera bianca rossa e verde, e, in mezzo a un lungo discorso, ha ammonito dagli «impulsi disgregativi», ha aggiunto che l’unità del Paese non può essere messa in discussione e ha concluso sostenendo che al tricolore va portato rispetto, dato che oltre tutto è previsto dalla Costituzione. I leghisti, per bocca di Bossi e di Zaia gli hanno risposto. Bossi: celebrare l’unità d’Italia senza il federalismo vorrebbe dire che 150 anni sono passati invano. Zaia: il federalismo unisce se si fa.
• Veramente il tricolore è previsto dalla Costituzione?
Sì, articolo 12. «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni». Tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 due circolari hanno anche fissato le caratteristiche di questo verde-bianco-rosso, in base ai codici Pantone. Verde: 18-5642TC; Bianco: 11-4201TC; Rosso: 18-1660TC. In pratica: verde prato, bianco latte e rosso pomodoro.
• Come mai Reggio Emilia?
La tradizione vuole che il 7 gennaio 1797 la Repubblica Cispadana, nata per volontà di Napoleone pochi giorni prima, scegliesse come propria bandiera il tricolore. Le strisce erano orizzontali, in alto c’era il rosso, l’ispirazione era giacobina: il verde aveva sostituito l’azzurro del vessillo francese. La Cispadania consisteva nei territori di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara. L’idea di adottare il tricolore fu di Giuseppe Compagnoni, patriota e giurista: si renda «universale lo Stendardo o bandiera Cispadana di tre colori: Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella coccarda cispadana e che questa debba portarsi da tutti». Compagnoni era un bel personaggio: voleva la separazione tra Stato e Chiesa, il divorzio, il voto alle donne, l’istruzione pubblica. Peccato che il tricolore non sia propriamente un’invenzione sua: nel novembre 1796 Bonaparte aveva consegnato alla Legione Lombarda (ironia dei nomi) il drappo bianco-rosso-verde perché i Cacciatori a Cavallo lo adottassero nell’imminente battaglia contro gli austriaci. Questo drappo esiste e sta al Museo del Risorgimento milanese. Anche l’altra bandiera, quella di Compagnoni è conservata e sta al museo civico di Reggio Emilia.
• Come ha fatto questa bandiera napoleonica a diventare italiana?
Alla fine del 1847 i cortei democratici, che sfilavano per Genova chiedendo la costituzione e la cacciata dei gesuiti, agitavano il tricolore e cantavano l’Inno di Mameli (che – per inciso – molto probabilmente non è di Mameli). A Carlo Alberto i tre colori non piacevano e, nelle manifestazioni torinesi del ’48, tentò di proibirlo. Ma era ormai impossibile, la gente portava il tricolore persino a teatro. Così, quando scoppiò la prima guerra d’Indipendenza – 23 marzo 1848 – i contingenti sardi varcarono il Ticino sbandierando il tricolore, nel cui campo bianco era stato sistemato lo stemma dei Savoia. Questo, nonostante che l’articolo 77 dello Statuto (concesso da appena venti giorni) recitasse: «Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale». Dell’azzurro è poi rimasta traccia nelle maglie delle nostre nazionali sportive.
• Suppongo che lo stemma dei Savoia sia scomparso con la nascita della Repubblica.
Sì, anche se il campo bianco continua a essere una tentazione. Qualche anno fa qualcuno aveva proposto di metterci la croce, per ribadire, in funzione anti-islamica, le nostre radici cristiane. Sarebbe stata quasi una bestemmia, intanto per l’uso improprio della croce, e poi perché il vessillo nazionale venne agitato da uomini fortemente anticlericali, se non in qualche caso addirittura anti-cattolici.
• Con che cosa potremmo sostituire il tricolore? Dico, per assurdo…
Le bandiere istituzionali in Italia sono circa 25 mila. Un paio d’anni fa il senatore Bricolo propose di adottare le bandiere delle Regioni (di solito orrende). Bossi si arrabbiò moltissimo… [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 8/1/2011]
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