Flavio Pompetti, Il Messaggero 08/01/2011, 8 gennaio 2011
FUGA DA DETROIT
Le fabbriche hanno chiuso i cancelli e i posti di lavoro sono scomparsi molto prima dell’inizio della crisi economica, che ha poi accelerato il declino. Cosa è rimasto della vecchia gloria di Detroit, vecchia capitale dell’industria manifatturiera americana? Un enorme buco di popolazione: 900.000 persone per l’esattezza, la metà di quanti la abitavano nel 1950 al culmine della sua gloria. Gli ex abitanti hanno lasciato la città in cerca di migliore, seguiti da altre migliaia di cittadini che hanno perso casa per non poter più pagare il muto.
Dietro di loro c’è ora il fantasma di interi quartieri con le porte e gli infissi sbarrati. Il rame è stato il primo a sparire da grondaie e finiture delle imposte. Poi sono arrivati gli “scavengers”, gli improvvisati demolitori-saccheggiatori che spingono i carretti della spesa pieni di refurtiva, e che hanno strappato i cavi elettrici, in cerca di ogni altro metallo riciclabile.
Lo scorso aprile il nuovo sindaco Dave Bing ha detto: basta! Piuttosto che offrire questo spettacolo di degrado, meglio adattare Detroit alle reali dimensioni che oggi le competono. E’ iniziata così una singolare campagna di abbattimento delle proprietà abbandonate, per le quali gli ex proprietari non hanno più intenzione di pagare tasse per l’occupazione del suolo pubblico. Bing ne vuole buttar giù 10.000 prima della fine del suo mandato, che scade nel 2013, e in otto mesi ne ha già rimosso quasi 2000.
Molte sono umili strutture di legno prive di fondamenta, costruite in fretta agli inizi del ‘900 per accogliere le frotte dei lavoratori che accorrevano alle catene di montaggio. Molte altre sono le graziose villette di mattoni rossi della nuova classe media creata dai lavoratori dell’industria. Strada dopo strada per interi quartieri, all’ombra delle magnolie e degli aceri rossi che negli anni ’50 simboleggiavano lo stato di “più ricche contee d’America” di cui godevano settori dentro e fuori della città.
Ma cosa fare dei miseri buchi di terra che si vengono a creare tra una demolizione e l’altra? Il sindaco ancora una volta ha puntato sul pragmatismo: orti vegetali, che suppliscano all’altro grave problema che affligge oggi almeno un terzo della popolazione, che è sceso sotto la soglia della povertà.
E in periferia, dove la rimozione delle vecchie fabbriche ha lasciato spazi vuoti ancora più grandi, ri-forestazione. Il Michigan è lo stato simbolo della furia selvaggia dell’urbanizzazione, e la parte meridionale su cui sono sorte città e fabbriche ha sofferto l’eradicazione istantanea ai primi dell’800 di tutta la sua flora originale.
Oggi Bing intende mettere riparo, con il motto: «Mai lasciare che una crisi passi senza sfruttarne le possibilità». La città di Detroit ha forse toccato il fondo e sta cominciando a dare timidi segni di ripresa: alcune fabbriche sono tornate ad assumere, nuovi settori industriali sono stati invitati a fiorire. Questa volta però dovranno dividere lo spazio con cavolfiori e zucchine, in rapporto di rispetto reciproco più bilanciato ed umano.