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 2011  gennaio 08 Sabato calendario

Così il terrorista passa dal mitra a maître - Cesare Battisti, e non solo. Gli ex terro­risti rossi a cui il Brasile puntualmente ga­rantisce l’impunità,sono troppi

Così il terrorista passa dal mitra a maître - Cesare Battisti, e non solo. Gli ex terro­risti rossi a cui il Brasile puntualmente ga­rantisce l’impunità,sono troppi. Negli an­ni l’elenco dei rifugiati s’è aggiornato di vecchi arnesi del partito armato beatamen­te in fuga dalle sentenze di condanna dei tribunali italiani. Ed oggi la colonia dei bri­­gatisti verdeoro s’è fatta ancora più com­patta ed arrogante perché supportata da politici locali rimasti guerriglieri e da avvo­cati militanti arruolati da Soccorso rosso. Fulgido esempio di esilio dorato quello di Luciano Pessina, esponente di punta di Prima li­nea, 12 anni e 4 mesi da scontare per rapina, furto, banda armata, resistenza a pubblico ufficiale, detenzio­ne e porto illegale di armi. Pessina è diventato un risto­ratore di successo di Rio, passato dal mitra al maître. Sforna pietanze all’ombra del Cristo Redentore sul Corcovado che a braccia aperte l’ha accolto permet­tendogli di specializzarsi nell’alta cucina e di diventa­re il gourmet preferito di un cliente d’eccezione: Luiz Inacio Lula da Silva, l’ex pre­sidente che ha graziato Bat­tisti. Proprio nel rinomato loca­le dell’Osteria dell’angolo, al 40 di rua Paul Redfern nel cuore pulsante di Ipanema, nell’ottobre del 2002 Lula stappò un Ronanee Conti da 6mila euro per festeggia­re il dibattito televisivo che gli spianò la strada del trion­fo elettorale (la bottiglia esposta orgogliosamente in vetrina da Pessina è stata poi rubata da un barbone al­colizzato, sic!). Per avere un’idea dell’ex terrorista, di casa in amba­sciata come al consolato, grande sponsor di Battisti e di altri colleghi latitanti, oc­corre compulsare gli sche­dari della policia federal di Rio-Leblon laddove il 28 agosto del ’96 si relaziona l’arresto di un milanese 47enne senza documenti, sposato, una figlia, colpito da mandato di cattura inter­nazionale per tre condanne in tre differenti processi. L’ex Prima linea ha sconta­to la sua pena nel paradiso di Ipanema grazie a una de­cisione del Supremo tribu­nale di giustizia che ha nega­to all’Italia l’estradizione per i soliti, pretestuosi, mo­tivi politici. Da allora, fra un risotto e un branzino, ci met­te sempre la faccia a tutela dei compagni fuggiaschi coccolati dal suo Carp, il co­mitato di supporto per i rifu­giati politici nostrani. In­soddisfatto della fregatura rifilata all’Italia, nel marzo del 2004 il Nostro si ritrova insieme al mostro di Prima­valle, il Potop Achille Lollo e all’ex katanga autonomo, Carlo Pagani, a sottoscrive­re la lista elettorale benedet­ta dall’Ulivo denominata «Viva L’Italia». Lo scherzet­to viene scoperto da Gianluigi Ferretti, membro del consiglio generale degli italiani all’estero. In poche ore inonda internet di rive­lazioni che obbligheranno la Farnesina e il Viminale a intervenire. «Non potevo starmene zitto – racconta il funzionario al Giornale – co­sì ho fatto presente che in quella lista c’era gente che non avrebbe dovuto essere candidata per i trascorsi ne­gli anni di piombo». Fatto lo scoop Ferretti in­ciampa. Parla di lista di «as­sassini », quando Pessina, al contrario di Lollo, pur avendone combinate abba­stanza non conta omicidi sulla fedina penale. Auto­matica scatta così la quere­la, che Ferretti perde anche per la testimonianza accora­ta resa dallo stesso denun­ciante in tribunale. Al giudi­ce, lo scorso settembre, Pes­sina parla come se non ve­desse l’ora: «Partecipai alla lista solo per fare numero, formalmente ero candida­to, me lo chiese Arduino Monti (nel 2007 presidente del Comitato di assistenza rifugiati politici di Rio che difese pubblicamente Cesa­re Battisti, ndr). Sono in Bra­sile da 27 anni, ho sempre lavorato nel ramo ristora­zione (...). Sono stato con­dannato in totale a 12 anni, sono stato arrestato in Brasi­le solo quando l’Italia ha chiesto la mia estradizio­ne ». Giorni di carcere scon­tati in Italia? Pessina fa men­te locale: «Otto mesi». Dopo­diché «sono stato rimesso il libertà condizionale, dopo non ho fatto più niente e me ne sono uscito dall’Italia al­la fine del 1980». Uscito e mai più tornato. Ventiquat­tro anni dopo Pessina si can­dida a Rio con la lista del­l’Ulivo. «Sì, certo – attacca Pessina – nel 2004 non ave­vo più nessun problema con la giustizia italiana, ero un libero cittadino, potevo venire in Italia come sto ve­nendo adesso. Avevo risol­to tutti i miei problemi». Il leader dei rifugiati pro-Bat­tisti giustifica il ricorso alla querela perché «io a Rio de Janeiro, sono una persona conosciuta, ho un ristoran­te, ho famiglia. Ho avuto dei problemi in gioventù ma non sono mai stato coinvol­to in fatti di sangue». Proble­mi, dice. «Seri problemi quando è uscita la notizia sia a livello professionale che in famiglia. Mia moglie, i miei figli, sono rimasti scioccati a leggere queste cose». Poveraccio. E al risto­rante, poi, «le persone mi guardavano con una certa diffidenza. Alcuni non sono più apparsi». Per sua fortu­na, sabato sera, il locale era pieno di vip ed era caro co­me al solito. Non si parlava d’altro che di Battisti. Ma non nei termini usati dal proprietario del ristorante nell’intervista del novem­bre passato al quotidiano Folha de Sao Paolo («In Ita­lia Cesare corre il rischio di morte») laddove faceva un raffronto col suicidio della neobrigatista Blefari Melaz­zi. E nemmeno credendo a quanto fragorosamente esternato sul detenuto più coccolato del pianeta («Bat­tisti è stato selvaggiamente picchiato in cella dalle guar­die »). Piuttosto discettan­do su una soluzione politi­ca per uscirne bene tutti. Pessina un’idea la coltiva da tempo: «Sono favorevole a una soluzione definitiva degli anni ’70: dobbiamo metterci una pietra sopra. Va rispettato il dolore dei fi­gli delle vittime ma poi ci sa­ranno anche i nipoti e il cir­colo non si chiuderà mai. Se una persona si redime an­che fuori dal carcere do­vrebbe andare bene lo stes­so: l’Italia è un paese cattoli­co, e il perdono fa parte del­la visione cattolica del mon­do ». Giusto.Ma c’è una con­danna da espiare. Se Alber­to Torregiani la sconta a vi­ta in carrozzina perché Ce­sare Battisti deve pagare il conto sul bagnasciuga di Copacabana?