LAETITIA VAN EECKHOUT, La Stampa 8/1/2011, pagina 15, 8 gennaio 2011
Clima pazzo, alimenti più cari - L’ organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) sta dando prova di pusillanimità? A settembre, quando i prezzi mondiali del grano volavano sulla scia degli incendi in Russia e dell’embargo decretato da Mosca sulle sue esportazioni di cereali, riteneva che comunque la situazione fosse più sana che nel 2008, quando l’esplosione dei prezzi alimentari provocò tumulti per la fame in diversi Paesi in via di sviluppo
Clima pazzo, alimenti più cari - L’ organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) sta dando prova di pusillanimità? A settembre, quando i prezzi mondiali del grano volavano sulla scia degli incendi in Russia e dell’embargo decretato da Mosca sulle sue esportazioni di cereali, riteneva che comunque la situazione fosse più sana che nel 2008, quando l’esplosione dei prezzi alimentari provocò tumulti per la fame in diversi Paesi in via di sviluppo. Ora, quattro mesi più tardi, s’inquieta per la persistente impennata dei prezzi alimentari mondiali, che a dicembre hanno segnato un nuovo record. L’indice mensile della Fao, che misura le variazioni di prezzo di un paniere di cereali, olio, latticini, carne e zucchero, a dicembre è arrivato a 214,7 punti contro i 206 di novembre. Cioè ora si colloca poco sotto il precedente record di 213,5 punti raggiunto nel giugno 2008. La Fao stima che, per il momento, i rischi di crisi sono ridotti. «In molti Paesi in via di sviluppo i raccolti sono stati buoni, se non addirittura migliori rispetto all’annata precedente - spiega Abdolreza Abbassian, economista della Fao -. Nel 2008 avevamo assistito a una fiammata dei prezzi del petrolio e dei concimi. Finora invece gli aumenti sono stati contenuti. E il riso, alimento base per gran parte del pianeta, resta stabile ben al di sotto del record di prezzi 2008». A preoccupare la Fao è però la durata del fenomeno: è il sesto mese consecutivo che il suo indice dei prezzi cresce e, sottolinea Abbassian, «potrebbero ancora crescere di molto. Tanto più che il clima resta incerto». In Argentina il tempo secco può trasformarsi in siccità. E chi sa se le intemperie invernali nell’emisfero Nord non avranno danneggiato i raccolti dell’estate prossima. Se la crescita dei prezzi si prolungherà ancora per parecchi mesi, potrebbe finire per creare tensione tra le popolazioni dei Paesi più poveri. Per le Ong, ci sono già tutte le condizioni per una possibile nuova crisi. «Oggi non siamo al riparo dal pericolo che il motore si imballi», nota Jean-Denis Crola dell’Oxfam. Secondo lui, lo proverebbero i movimenti che in queste ultime settimana hanno agitato il Maghreb, in particolare le proteste contro l’aumento dei prezzi scoppiate il 5 gennaio in diversi villaggi algerini. «Queste proteste si spiegano certamente con fattori locali, ma con ogni evidenza la situazione locale è esacerbata dalla tensione sui mercati internazionali». Le Ong sono tanto più inquiete in quanto i governi sembrano restare sordi alle indicazioni «allarmanti» pubblicate dalla Fao. «Per agire dobbiamo aspettare che ci siano delle rivolte? - si chiede Ambroise Mazal, di Terra Solidale -. L’agricoltura è sempre dipesa dal clima. Ma di quali mezzi ci dotiamo perché il clima non imponga la sua legge?». Abbassian risponde che se, a partire dal settembre 2010, la Fao si fosse mostrata allarmista, avrebbe accelerato la fiammata dei prezzi. «Un conto è non seminare il panico nei mercati, un altro mandare un segnale ai leader politici perché si mobilitino - replica Mazal -. La Fao esercita il suo ruolo quanto allerta e stimola una risposta politica». Le Ong però constatano che dal 2008 nulla è cambiato. La fiammata dei prezzi, cominciata l’estate scorsa con quelli del grano e proseguita con le altre derrate alimentari, dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, che la volatilità è ormai una caratteristica costante. E la finanziarizzazione dei mercati agricoli è ormai una realtà. «Basta un qualunque evento climatico perché gli operatori si mettano a speculare - dice Mazal -. E intanto si continua a lasciare che il mercato regoli tutto: a parte la Cina, più nessun Paese mette da parte gli stock per i momenti choc». E ricorda che nel 2008 proprio l’insufficienza delle scorte alimentari aveva impedito di contenere la fiammata dei prezzi. «Se il raccolto 2009-2010 è globalmente buono, tra i grandi Paesi produttori i raccolti sono in calo. Cosa che lascia poco margine di manovra - dice Bernard Bachelier della Fondazione Farm -. Come nel 2008, si resta molto dipendenti dalle incertezze del clima e dagli speculatori. Allo stesso tempo non sono stati aumentati sensibilmente gli investimenti nell’agricoltura dei Paesi in via di sviluppo». La Francia ha fatto della regolamentazione delle materie prime una delle priorità del G20. Ma per Bernard Bachelier non ci si potrà accontentare di inquadrare i mercati. «Ci vorranno anche investimenti massicci per sviluppare l’agricoltura nel Sud, soprattutto quella che dà da mangiare alle popolazioni. Altrimenti saremo esposti a forti delusioni». Copyright Le Monde