Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 8/1/2011, 8 gennaio 2011
MEGLIO BERLINO CHE DETROIT
L’auto made in Germany corre a tutta velocità e si lascia definitivamente alle spalle la crisi. Anzi, Volkswagen e Mercedes viaggiano verso nuovi record di vendite, come confermano i risultati annunciati ieri dalle due aziende. Dati ancora più impressionanti se confrontati al calo costante di Fiat da mesi in declino sul fronte commerciale. A trainare la crescita delle due corazzate tedesche sono soprattutto i mercati cosiddetti emergenti, in primo luogo la Cina. Nel 2010 il marchio Volkswagen è cresciuto addirittura del 35 per cento nel Paese asiatico, che ormai, con circa 1,5 milioni di auto, pesa per oltre un terzo sulle vendite globali della casa di Wolfsburg, anche queste in aumento del 13,9 per cento rispetto al 2009. È andata ancora meglio per la Mercedes cresciuta del 15 per cento a livello mondiale nel 2010. Le notizie migliori, anche in questo caso, arrivano dalla Cina dove le vendite del marchio di Stoccarda sono addirittura più che raddoppiate, passando da 70 mila a 148 mila vetture consegnate alla clientela. Dati alla mano significa che questo mercato ha contributo per quasi la metà alla crescita globale di Mercedes, che l’anno scorso ha venduto in tutto il mondo 155 mila auto in più rispetto al 2009. Il trimestre chiuso a dicembre, fanno notare a Stoccarda, è stato addirittura il migliore nella storia del gruppo. Entrambe le case tedesche, com’era prevedibile, hanno fatto segnare risultati più modesti nell’Europa occidentale dove però sono riusciti a tenere le posizioni (-1,2 per cento sia Vw sia Mercedes) in un mercato che però si è complessivamente ridotto di almeno un paio di punti percentuali.
Come segnalano gli analisti, la crescita commerciale dei due colossi dell’auto è stata sostenuta l’anno scorso dal lancio di numerosi nuovi modelli. Lo stesso non si può dire per la Fiat, che ha scontato, oltre alla fine degli incentivi pubblici in molti Paesi, (Italia per prima), anche un catalogo con poche novità di rilievo. Da qui la perdita di quote di mercato e il conseguente calo dei ricavi. Un calo che però potrebbe avere anche una ricaduta, non necessariamente negativa, in vista delle prossime nozze del gruppo di Torino con l’americana Chrysler. Il prezzo delle quote con cui Fiat potrà salire dall’attuale 20 per cento al 51 per cento della casa statunitense verrà infatti calcolato sulla base di un complesso meccanismo che in definitiva potrebbe in parte basarsi sul rapporto tra l’utile lordo (in gergo Ebidta) dell’azienda guidata da Sergio Marchionne e il suo valore di mercato (capitalizzazione di Borsa meno debiti finanziari). Questo complesso meccanismo, ricordato ieri da un lungo articolo del Corriere della Sera (di cui Fiat è uno dei principali soci) è stato a suo tempo messo nero su bianco nelle intese del 2009 che hanno portato al salvataggio del marchio di Detroit. Un salvataggio sponsorizzato dal governo Usa che ha rilevato una quota del 10 per cento nel capitale di Chrysler. Restano da definire i tempi con cui Torino salirà effettivamente al 51 per cento in Chrysler. Marchionne vorrebbe accelerare, magari per chiudere entro giugno. Ma prima c’è da scalare una montagna di problemi legali e finanziari.