FILIPPO CECCARELLI , la Repubblica 8/1/2011, 8 gennaio 2011
DA "SACRO SIMBOLO" A ICONA POPOLARE COSÌ LA BANDIERA È TORNATA PROTAGONISTA
Non suoni irrispettoso, ma nel bene e nel male prima di qualsiasi altra cosa il tricolore è pop. O almeno: ci è diventato.
Basta farsi un giro sulla rete. Fra sventolio e roghi a Terzigno, retorica e dileggio, proiezioni sul Duomo di Milano e rotolamenti dal Colosseo, lacrime, sputi, pennette berlusconiane, notti mundial, carta igienica padana, e poi errori, inversioni sugli aerei presidenziali, aggiunte, buchi, processi, eroi e pagliacci, uomini e donne di buona volontà, fra le quali la signora Lucia Massarotto che per anni ha esposto la bandiera dalla finestra della sua casa di Riva degli Schiavoni, a Venezia, sfidando gli insulti e i cartoccetti dei leghisti, ma che è stata sfrattata, insomma, se c´è qualcosa di molto italiano, nel senso più intimamente indicibile, e insieme molto popolare, nel senso delle sue manifestazioni spettacolari, beh, è proprio il tricolore.
Tale approccio, insieme vago e complesso, dovrebbe scansare il rischio di cedere a suggestioni giornalistiche cosiddette "di colore". Il che risulta inevitabile. Perciò brevemente converrà ricordare che nel 2003, per motivazioni che ancora oggi appaiono poco chiare, l´Italia s´imbarcò in una revisione cromatica che in pratica si rivelò cataclismatica. Nel senso che il bianco rosso e verde della nuova bandiera apparvero subito irriconoscibili a tutti, cupo il verde, avorio il bianco, bordeaux il rosso; e quindi all´unisono si scatenò una bagarre all´insegna dello scaricabarile che coinvolse Palazzo Chigi, il sottosegretario Giovanardi, il Poligrafico dello Stato, l´Unione europea, la Camera dei deputati, diversi gruppi parlamentari, tra cui i verdi che sospettando un business invocarono la Corte dei Conti, l´allora ct della nazionale Trapattoni, e anche i fornitori.
Su questi ultimi alla fine, che poi non era la fine, venne assegnata la responsabilità del misfatto. Venne quindi nominata una commissione presieduta da un ex presidente della Corte Costituzionale, l´emerito Granata, ma per qualche mese sul pennone delle Scuderie del Quirinale sventolò un tricolore di un tipo e su quello dell´altare della Patria di un altro tipo, oltre a tutti quegli altri colori che in modo così difforme sventolavano in giro per l´Italia da rendere appunto necessaria l´operazione di uniformarli. Dopodiché, prima delle ferie, sempre un po´ misteriosamente, o forse con la dovuta distrazione da parte dei media, si sistemò tutto. Vinsero dunque il verde prato, il bianco latte e il rosso pomodoro.
I leghisti, come ovvio, si tennero lontani dalla faccenda. Forse non tutti sanno che per aver pronunciato alcune volgarità di ordine sadico-anale in un paio di comizi, Bossi ha avuto un sacco di guai giudiziari; che ha chiesto scusa per «l´infelice espressione», non voleva offendere la bandiera, tanto meno il sentimento eccetera; ma che ha dovuto pagare una multa di 3 mila euro. E però, nel frattempo, sull´aria di "Tutti mi chiamano bionda" c´erano a zonzo leghisti che cantavano «E noi che siamo padani/ abbiamo un sogno nel cuore/ bruciare il tricolore (bis)». Ma siccome anche loro sono molto italiani, nel senso di cui sopra, e a volte perfino più italiani di tutti, con rassegnato stupore si segnala che nel 2009 il ministro Castelli, scartata l´opzione incendiaria e quella sanitaria bossiana, ha proposto di aggiungere sul bianco della bandiera una croce.
L´idea ha ottenuto minore rilievo di quella che prevedeva per legge l´istituzione della figura del Custode del tricolore. E´ stato poi anche suggerito e scartato un Ordine del tricolore. Ogni tanto, piuttosto, qualche ministro, ultimo Ronchi, si arrabbia perché qualche bandiera è sporca o lacera, e allora si cambia. Sulla Roma-Fiumicino ce n´erano ormai del tutto incolori. A Brescia i giovani del Pd hanno messo un bavaglione bianco rosso e verde al monumento dell´ideo-leghista Miglio. In tv, a Vieni via con me, Roberto Saviano ha dedicato un monologo al tricolore tenendone uno prima in braccio e poi se l´è messo sulla spalla; dietro di lui, si vedevano alcune sartine di Reggio Emilia.
I segni dello spettacolo e del consumo, immancabili nella post-modernità, convivono ormai stabilmente con l´antica e residua sacralità del simbolo. Comunque tutto si è talmente mischiato che Ruby Rubacuori è rimasta piacevolmente sorpresa dall´aver partecipato a una vera "cena tricolore", di cui ha offerto opinione anche il menu: mozzarella, olive e pomodori; poi timballo di riso, pummarò (sic) e pesto. «Come la bandiera italiana» ha riso. Più pop di così si muore – e speriamo di no.