
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Aldo Brancher ha annunciato ieri che si dimetterà da ministro e sarà presente in aula al processo che lo riguarda. Berlusconi, dunque, che l’aveva convocato a casa sua domenica per indurlo a togliersi di mezzo, è riuscito nel suo intento. E questo disinnesca la prima delle mine di cui è cosparsa la settimana del Cavaliere.
• Il presidente del Consiglio aveva detto: ghe pensi mi.
Esattamente. E Brancher era il primo problema. Pdv e Idv avevano preparato una mozione di sfiducia nei suoi confronti che sarebbe andata in aula giovedì prossimo. Esisteva la possibilità che i finiani votassero con l’opposizione, aprendo di fatto una crisi nella maggioranza di governo. Berlusconi in privato e parecchi esponenti della maggioranza in pubblico hanno chiarito nei giorni scorsi che, quando mai i fedelissimi del presidente della Camera votassero in qualche occasione contro il governo, sarebbero con ciò stesso fuori dal partito. Una prima verifica potrebbe esserci già oggi, se ci sarà qualche votazione in Commissione giustizia sul disegno di legge che limita le intercettazioni e l’attività relativa dei giornalisti. I finiani hanno presentato un mucchio di emendamenti e Franceschini, il capogruppo dei democratici, ha annunciato che l’opposizione è pronta a votarli. Se questo stesse per accadere sul serio, l’unica mossa del Pdl per nascondere la spaccatura sarebbe quella di rassegnarsi a votare gli emendamenti a sua volta. Ma questo è ancora tutto da vedere.
• Torniamo al caso Brancher.
Inopinatamente, diciotto giorni fa, era stata annunciata la promozione di questo vecchio e fedelissimo servitore del Cavaliere: da sottosegretario a ministro. Ministro di che? Del Federalismo. Nomina strana, e non ci aveva visto chiaro nemmeno Napolitano. Ma gli uomini del Cavaliere gli avevano spiegato che si trattava di una faccenda politica, equilibri da sistemare all’interno della coalizione. Senonché la domenica successiva Bossi, a Pontida, gridò dal palco: «C’è un solo ministro al Federalismo e sono io!». Dunque la nomina non era piaciuta alla Lega. Poco dopo, mentre si attendeva di sapere quali sarebbero state le deleghe (cioè le cose da fare) del nuovo ministro, lo stesso Brancher opponeva ai magistrati che dovevano giudicarlo per una faccenda di mazzette la legge cosiddetta del “legittimo impedimento”. Si cominciò a dire che Berlusconi l’aveva fatto ministro solo per fornirlo di quest’arma contro i giudici. Un accusa infamante, ma piuttosto suffragata dai fatti.
• Già, non si parla mai del processo. Che avrebbe fatto di male questo Brancher?
La questione è all’interno del giudizio per la scalata alla Banca Antonveneta, tentata vanamente da Giampiero Fiorani nel 2005 (l’estate dei furbetti). Prima di quella data, la Popolare di Lodi (la banca di Fiorani) avrebbe combinato qualche pasticcio anche con Brancher e con sua moglie. L’accusa parla di plusvalenze per 420 mila euro ottenute manovrando azioni Tim e Autostrade (appropriazione indebita). Per altri 600 mila euro, incassati in varie tranches, i due imputati avrebbero commesso il reato di ricettazione. Brancher, dopo aver annunciato che si sarebbe dimesso da ministro, ha ribadito ieri di essere innocente e di volersi difendere all’interno del processo, chiedendo però il rito abbreviato che gli garantirà, in caso di condanna, lo sconto di un terzo della pena. Da questo momento in poi, il procedimento e le accuse all’amico del Cavaliere sono un’altra faccenda, non più un nodo politico.
• La soluzione del caso Brancher risolve il contrasto con Fini?
C’è una dichiarazione di Italo Bocchino, il primo dei finiani: «Il caso Brancher è stato un autogol che il Pdl non doveva commettere. Se avessimo discusso di Brancher negli organi di partito, non sarebbe mai stato nominato ministro. Purtroppo da noi gli organi di partito vengono convocati solo ed esclusivamente nel tentativo di mettere in minoranza Fini». Secondo Bocchino, con il suo “ghe pensi mi” Berlusconi, dopo aver felicemente risolto la grana Brancher, deve ora affrontare i problemi relativi al disegno di legge sulle intercettazioni – rinviandolo a settembre in modo che ci sia il tempo di modificarlo -, quelli che riguardano la manovra (la rivolta delle Regioni contro Tremonti) e infine quelli interni al partito. Bocchino vorrebbe che il Pdl diventasse un partito normale, dove si discute e certe decisioni (tipo Brancher) non possono più essere prese dal capo in solitudine.
• Il capo ci sente da questo orecchio?
Il capo da questo orecchio non ci sente. Almeno, non ci ha sentito finora. Ieri si parlava di un’uscita concordata del gruppetto dei finiani: formerebbero una federazione col Pdl e continuerebbero a restare nella maggioranza. I punti chiave del discorso di Bocchino sono: non ce ne andremo mai da soli; non metteremo mai in crisi questo governo. È assurdo, ma sono frasi come queste, apparentemente tanto rassicuranti, che rendono la partita molto, molto complicata. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/7/2010]
(leggi)