Simone Savoia, Libero 6/7/2010, 6 luglio 2010
I PRIMI 100 GIORNI DEI GOVERNATORI: POCO O NULLA
’Tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar”. I versi manzoniani del Cinque maggio contengono l’accenno a uno dei periodi più avventurosi della straordinaria epopea napoleonica.
Il Grande Corso tornò a Parigi dall’isola d’Elba il 20 marzo 1815 e sarebbe rimasto in sella fino agli inizi di luglio. A Vienna i grandi d’Europa riuniti in congresso stavano già decidendo di ridisegnare il continente come se il ciclone napoleonico non fosse mai esistito. I famosi cento giorni del Bonaparte rimangono per molti la lotta di un uomo contro il suo destino, l’ultimo anelito di un Paese come la Francia che mai più sarebbe tornata imperiale.
Oggi nelle democrazie europee non ci sono imperatori, esilii, isole, eserciti in guerra. E l’espressione cento giorni, molto più modestamente, sta a indicare quel periodo in cui chi vince le elezioni si gode la ”luna di miele” con gli elettori. Ma è anche l’inizio dell’attività di governo. I provvedimenti dei cento giorni spesso servono a capire anche le linee guida cui chi governa si atterrà negli anni successivi. In questi giorni scadono i cento giorni dei governatori di regione eletti dopo il voto del 28 e 29 marzo scorsi.
Considerando che in Italia siamo abituati a campagne elettorali in cui si promettono mari e monti, questa volta gli aspiranti governatori, visto anche il vento di crisi che tira nel Paese in questo momento, si sono abbastanza contenuti. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio questi primi cento giorni trascorsi dalle elezioni regionali del 28 e 29 marzo scorsi.
Partiamo da Roberto Cota, governatore del Piemonte. Nelle vesti di candidato di Pdl e Lega alla presidenza della Regione Piemonte, il capogruppo alla Camera del Carroccio aveva dichiarato: «Se vinceremo mi impegno a reintrodurre la legge sul buono scuola così com’era stata pensata dalla giunta Ghigo nel 2003 e a farlo nei primi cento giorni del nostro governo».
La legge in questione, chiamata ”legge Leo” dal nome dell’assessore regionale che ne fu promotore, introduceva i buoni scuola da assegnare alle famiglie in base alle fasce di reddito.
Lo scorso 7 giugno la giunta Cota ha approvato un assestamento di bilancio che prevede tagli per 277 milioni di euro, reimpostazioni di fondi statali, l’accensione di un mutuo di 135 milioni e il recupero di 400 milioni di crediti che il Piemonte vanta nei confronti dello Stato. La manovra permetterà di trovare 72 milioni per il piano lavoro e per dare più risorse alla scuola. In particolare dovrebbero esserci 12 milioni di euro in più per i buoni scuola. Ma è ancora tutto da vedersi.
Altra regione, altro giro. Andiamo nella Puglia di Nichi Vendola. Così si era pronunciato il leader in pectore della Sinistra italiana in campagna elettorale: «L’Acquedotto pugliese? In questo caso dobbiamo approfondire il discorso, dato che nei primi cento giorni intendo ripubblicizzare la società facendola tornare di diritto pubblico». L’acquedotto pugliese nel 1999 è stato trasformato dal governo D’Alema da ente autonomo di diritto pubblico a società per azioni. Quindi ora è un ente privato regolato dal diritto commerciale. Le azioni dell’acquedotto, prima date al Ministero dell’Economia e poi alle Regioni Puglia e Basilicata, dovevano essere trasferite ai privati entro il 2001, cosa che però non è mai avvenuta.
Di fatto l’Acquedotto resta comunque una S.p.a che, anche se posseduta dalle Regioni, persegue una logica di profitto. La battaglia contro la privatizzazione di alcuni servizi pubblici come l’erogazione dell’acqua è stata quasi un mantra per la sinistra uscita sconfitta dalle regionali. A tutt’oggi Acquedotto Pugliese resta dunque una società per azioni e non è tornata, come invece aveva promesso Vendola, un ente pubblico.
Spostiamoci in Campania. Il disco rotto del neogovernatore Stefano Caldoro («Tutta colpa di Bassolino», ha ripetuto sin troppe volte) sembra essere un po’ meno rotto. Cioè il nuovo presidente della Regione ha capito che bisogna guardare al futuro e governare e finirla di recriminare sul passato. Ma a tutt’oggi ancora non si vede un piano complessivo di rientro dal debito campano, e specialmente non si vede un indirizzo deciso della giunta in materia sanitaria. Ricordiamo che il deficit della Campania in materia supera il miliardo di euro, con il fronte particolarmente caldo dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1, la più grande d’Europa con i suoi 12.000 dipendenti.
Inoltre Caldoro si trova sulle spalle l’eredità bassoliniana dei quattromila disoccupati del progetto Bros (budget di reinserimento occupazionale e sociale), 50 milioni di euro di spesa, nemmeno un posto di lavoro prodotto.
I cento giorni dei governatori sono finiti. La luna di miele con gli elettori pure. Ora è il momento di governare. Di gestire il territorio lontano dai proclami e dalle promesse della campagna elettorale. Con meno soldi a disposizione e con il federalismo fiscale su cui la Lega vuole una decisa accelerazione, anche se i soldi non sembrano esserci. Certamente i governatori questo lo sanno: nella storia, dopo l’isola d’Elba, vengono prima Waterloo e poi Sant’Elena.