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 2010  luglio 06 Martedì calendario

SARTI DA UOMO PER VOCE ARANCIO


«Ma quale Chanel, il mio vestito è stato confezionato dalla signora Pina di largo V Alpini» (Emma Bonino quella volta che qualcuno le chiese se l’abito che indossava fosse di Chanel).

Se la congiuntura economica degli ultimi due anni ha messo in difficoltà alcune case di moda, le botteghe dei sarti godono invece di ottima salute. Affidabili, capaci di soddisfare ogni desiderio, precisi, gli specialisti dell’abbigliamento su misura sono sempre molto richiesti. La tendenza si è confermata anche nei primi mesi del 2010. Lo spiega in una frase Antonio De Matteis, 46 anni, amministratore delegato della Ciro Paone di Arzano, sartoria maschile che sta dietro al marchio Kiton: «L’inizio del 2010 mi ha lasciato senza parole».

«Il sarto non si è mai estinto. Fa capi unici, il cliente lo sa ed è disposto a pagare. E oggi torna a farsi notare nel suo ruolo da solista» (Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda).

Stipendio mensile medio di un apprendista: 1.200 euro circa. Per un sarto il guadagno è molto più alto.

Dice Confartigianato che nel 2009 i posti di lavoro messi a disposizione dalle piccole aziende che cercavano falegnami, idraulici, fornai ecc. sono stati 94.670. Il 32,5% di questi, 30.750 posti di lavoro, è rimasto vacante. Su 1.600 richieste di sarti, 550 sono rimaste senza risposta.

« vero che si fatica a trovare qualcuno disposto a lavorare con noi. Questo è un ambiente molto duro» spiega a Voce Arancio Antonio Visone, 64 anni, napoletano, Forbice d’Oro nel 1988, che ha cominciato a fare il sarto quando aveva cinque anni seguendo la mamma modellista. «Mi sveglio alle cinque, lavoro 13-14 ore al giorno e la sera non torno mai a casa prima delle 11». Segue i suoi clienti a Roma, a Milano, all’estero e nemmeno la domenica si ferma, va in laboratorio, dove ha un paio di collaboratori, e rimane a lavoro fino alle due. Veste uomini e donne, che sono le più difficili da accontentare: «Pochi giorni fa una cui sarebbero stati bene dei pantaloni palazzo, l’avrebbero snellita, me ne ha chiesto un paio a vita bassa…». Complicate anche le richieste dei ragazzi col fisico palestrato, più semplici da abbigliare gli uomini con qualche chilo in più. Pavone non ha una ricetta dell’eleganza, il buon gusto, spiega, è una questione ereditaria, si trasmette da padre in figlio. Per questo motivo per essere eleganti non occorre portare per forza la cravatta, anche uno stile disinvolto, se armonioso, è adatto alle occasioni più formali. Per fare un solo abito servono almeno «4/5 giorni». Pavone fa tutto a mano: con la macchina si fanno al massimo tre cuciture, due sui fianchi e una dietro. I clienti gli chiedono stoffe leggere ma lui preferisce quelle «che hanno corpo» perché «danno più piacere». Esponente della scuola sartoriale napoletana, «una delle più famose al mondo, forse perché abbiamo più estro e fantasia», odia la produzione in serie e si mostra molto critico nei confronti del suo stesso lavoro: «Su 100 capi che faccio, me ne piacciono al massimo tre o quattro». Qual è il prezzo giusto per un abito cucito a mano? «2mila euro, chi chiede di più fa una rapina». Ha sentito la crisi? «No, affatto, con questi prezzi uno è invogliato a comprare». Lascerà la sua attività ai figli? «Ho tre figlie, tutte laureate… La cultura è importante». Loro però si occupano d’altro: «Ho fatto una società. Comunque gliel’ho detto: è un ambiente troppo difficile». Tra i suoi clienti Sandro Viola, Clemente Mastella, Paolo Virzì ecc.

Antonietta Antoniozzi, la sarta romana che studiava Scienze politiche, ha mollato tutto e s’è messa a cucire. Lei va a casa dal cliente? «Sì, prendo le misure del vestito, consiglio la stoffa, do suggerimenti su come fare la giacca: due, tre bottoni, due spacchetti laterali oppure no. La lunghezza dei pantaloni». Quanto costano i suoi abiti? «Intorno ai mille euro. Le stoffe sono ottime a cominciare dai cachemire». Come si fa pubblicità? «Col passaparola. Molto più elegante che su Internet».

«Nel mio guardaroba ci sono solo abiti grigi cuciti da un sarto di provincia» (Giulio Tremonti).

Il completo fatto su misura è quasi tutto cucito a mano, dalle ribattiture alla cucitura sulla schiena. Più o meno servono 250mila punti d’imbastitura, 900mila tra punti e impunture di rifinitura. In tutto, un chilometro di filo. Un vestito da uomo richiede circa 70 ore di lavoro: 40 per la giacca, 18 per il pantalone, 12 per il gilet. La fattura artigianale del cappotto richiede cinquanta ore di taglio e cucito.

Marcello Mastroianni diceva che la giacca perfetta deve aderire, in qualunque condizione, al collo della camicia e superare la prova del tram. Quella ben fatta si riconosce quando uno alza il braccio per attaccarsi alla maniglia dei mezzi pubblici: la giacca di sartoria non si allontana mai dal corpo.

Il sarto Gianni Campagna veste Jack Nicholson, Sharon Stone, Luca Cordero di Montezemolo, Lapo Elkann ecc. Nato nel 1944 a Roccalumera, in provincia di Messina, fin da piccolo è stato affascinato dai divi del cinema che andavano in vacanza nella vicina Taormina. Ha iniziato a tagliare e cucire a dieci anni, a quattordici si è trasferito a Messina, a 18 era a Milano. Nel 1966 ha vinto l’Ago d’oro e aperto la sua prima sartoria. Alla fine degli anni Novanta ha comprato i marchi dei suoi maestri, Caraceni e Baratta. Nel 2000 ha inaugurato Palazzo Campagna, in corso Venezia, ora sede delle sue boutique. Un suo abito costa dai quattro ai 25mila euro.

«Siamo i più cari al mondo. I nostri non sono abiti, sono investimenti che valgono una vita. La gente per bene non butta mai niente di sartoria» (De Matteis).

I vestiti Kiton possono costare anche 30mila euro: fra un completo in cashmere dal filato di 13,5 micron di diametro e uno dal filato di 13 (l’eccellenza, in entrambi i casi) la differenza di prezzo può essere di 10mila euro. Il contatto quotidiano con i clienti porta a inventare cose nuove come la tasca in più per il biglietto d’aereo o quella segreta nei calzoni: «L’abbiamo studiata per chi viaggia molto sui mezzi pubblici. costruita in modo che, se anche qualcuno ti mette una mano in tasca, non trova i soldi» (De Matteis).

Tra i clienti Kiton: Pierferdinando Casini, Tom Cruise, Gianni Agnelli e da qualche mese anche Silvio Berlusconi, che per trent’anni ha portato completi Caraceni.
Rupert Murdoch ha scoperto la maison napoletana Isaia nel 2008. «Un colpo di fulmine scoccato per caso – racconta Gianluca Isaia, vicedirettore della griffe nata alla fine degli anni Cinquanta – Vestivamo Hugh Jackman, che avevamo conosciuto attraverso la sua stylist e che ha incominciato a portare i nostri abiti in occasione dei red carpet per la presentazione del kolossal Australia. stato lui a mettere Murdoch sulla nostra strada». Per partecipare a una delle prima del film il magnate scelse un completo Isaia. «Era il 24 novembre 2008 e Murdoch ha ottenuto quasi più complimenti per l’abito che per Australia» così ha scelto di affidarsi definitivamente alla maison. Tutta la lavorazione degli abiti Isaia è a Casalnuovo, dove lavorano 200 sarti specializzati. I clienti trovano i vestiti imbastiti da provare in negozio, per le modifiche ogni capo torna indietro. Prezzi: un abito sartoriale standard costa 1.900 euro, chi si fa arrivare il sarto a casa dovrà spenderne almeno 2.600.

Greta Garbo ordinava pantaloni da un sarto maschile.

Per quanto riguarda le camicie, uno dei nomi italiani più noti e ricercati anche all’estero è quello del pugliese Angelo Inglese. Yukio Hatoyama, 62anni, leader del partito democratico giapponese, indossa le camicie Inglese confezionate a mano a Ginosa, nel Tarantino, da parecchi anni. L’ex premier compra da Isetan, a Tokyo, dove trova il meglio del made in Italy. Per ogni camicia, tutta fatta a mano, servono 25 passaggi, filo di seta, bottoni di madreperla. Dopo che Hatoyama s’è presentato in pubblico con una camicia a quadretti multicolor portata sopra a un dolcevita nero, Inglese s’è affrettato a dire che quel capo non era uscita dal suo laboratorio. Per il politico giapponese nel Tarantino si confezionano circa 25 camicie l’anno: «Gli abbiamo preso le misure in Giappone e noi lavoriamo sulla sua scheda». Prezzo di una camicia: da 250 euro in su.

Enrico De Nicola, che nelle ristrettezze del dopoguerra si fece rivoltare un cappotto logoro e si vide rifiutare il compenso dal sarto: «Se un ex presidente della Repubblica è costretto a farsi rivoltare un cappotto io non ho diritto a essere pagato».

Alessandro Martorana Sartoria, l’atelier torinese del su misura maschile che ha adattato gli abiti dell’Avvocato per il nipote Lapo Elkann. Offre ai propri clienti la possibilità di avere un’etichetta personalizzata che affianca al marchio il proprio nome. «Per realizzare i nostri capi - spiega Roberto Zuccato, amministratore delegato del marchio – operano cinquanta sarti che impiegano circa otto settimane di lavoro a partire dalla presa delle misure. In un anno produciamo non più di 800 capi. Le chicche: il tessuto di seta con frammenti di diamanti e una tela personalizzata dove è possibile scrivere una propria frase nella cimossa». Tra i clienti: Alessandro Del Piero, Jude Low, Joe Pesci, Andy Garcia ecc.

Juan Carlos I di Spagna, tra gli uomini più eleganti del mondo secondo Vanity Fair, dal 2008 non si fa un vestito nuovo. Il suo sarto, Gonzálo López Larrainzar (2500 euro per un abito di cachemire), gli ha da poco messo a posto abiti vecchi di alcuni anni.
A chi non ha un sarto di fiducia la rete offre molte possibilità. Mypersonaldresser.it, per esempio, è il primo sarto artigiano sul web in grado di realizzare e personalizzare capi fatti su misura. L’idea è stata di Franco Zullo, già ideatore di LavOnline.it, servizio di lavanderia su internet. Su richiesta digitale un sarto raggiunge l’utente dove richiesto, prende le misure, consiglia sui capi che più lo valorizzano e realizza il capo. Tessute, fogge, dettagli, rifiniture sono scelte dell’utente. Il vestito si riceve a casa dopo 40 giorni.

Il piacere del su misura non riguarda solo gli abiti, anche il settore degli accessori modellati sui gusti e le preferenze dei clienti è molto attivo.

Francesco Cossiga quando era presidente della Repubblica aveva l’abitudine di portare in dono ai capi di Stato cui faceva visita una scatola con cinque cravatte Marinella.

La E. Marinella di Napoli fabbrica cravatte su misura dal 1914. Da sempre apre alle sei e trenta del mattino (a quell’ora, dicono, si parla con più calma con i clienti), non produce mai più di cento cravatte al giorno e non ne vende mai più di centocinquanta. Le propone con fodera rinforzata se il cliente ama il nodo grosso, lunghe 170 centimetri se è molto alto (la misura standard è 145 cm). Il campionario di cravatte è rinnovato ogni dieci giorni, il titolare in persona visita due volte l’anno i principali clienti per mostrare loro le novità e prendere le ordinazioni. Prezzi molto vari, tutti superiori a 90 euro.

Giuseppina Marini, quarta generazione alla guida del laboratorio genovese di cravatte fondato dagli zii del marito all’inizio del Novecento. Realizza cravatte, sciarpe e accessori da uomo ma anche per donna. Tutte le fasi della lavorazione sono a mano. Per arrivare al prodotto finito servono dalle due alle tre ore: «Possiamo applicare disegni e personalizzare a seconda delle esigenze del cliente: le proprie iniziali, lo stemma della città, dell’azienda per cui si lavora, della squadra di calcio per cui si tifa, del circolo di tennis o del club di golf cui si è iscritti».

Italo Bocchino ha regalato ai deputati finiani cravatte di colore blu, confezionate a mano da un sarto napoletano, con sopra il logo di «Generazione Futura».

Alessandro Berluti, marchigiano di Senigallia, uno dei primi artigiani delle scarpe su misura. Iniziò a lavorare a Parigi all’inizio del Novecento, nei giorni dell’Esposizione universale. Nel 1993 Berluti è diventato un marchio della holding LVMH. Oggi alla guida della casa c’è Olga, la figlia di Alessandro. Per un paio di scarpe da lei disegnate bisogna attendere dai quattro ai sei mesi. Prezzi: per un paio in coccodrillo dai quattromila euro in su.

«Ci saranno sempre clienti ricchi a caccia di lusso estremo. Semmai, mancheranno gli artigiani» (Silvano Lattanzi, titolare dalla Zintala, azienda che produce un solo paio di scarpe su misura al giorno. Prezzi: dai 3.500 euro in su).