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 2010  luglio 06 Martedì calendario

BRANCHER AGGIORNATO 6/7/2010

Aldo Brancher. Nato a Trichiana (Belluno), il 30 maggio 1943. Abita a Bardolino, sul lago di Garda, dove possiede un’azienda agricola.
Negli anni Settanta era sacerdote: alto, bruno, occhi chiari, fisico prestante. Grande fiuto per gli affari, responsabile della pubblicità per il settimanale Famiglia Cristiana. Un manager che lo conobbe a quei tempi ha ricordato una volta: «Si capiva che non era insensibile al fascino femminile. Con garbo, per carità, ma, insomma, le donne le guardava». Fatto sta che, abbandonato il sacerdozio, diventò manager di Publitalia.

La sua carriera s’interruppe nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti: 300 milioni all’allora ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l’Aids assegnata alle reti di Berlusconi. In cella andava a trovarlo Previti, mentre Berlusconi e Dell’Utri giravano in macchina intorno al carcere «per fargli compagnia». Lui non aprì bocca e non raccontò nulla delle tangenti. Il 3 giugno 1993, interrogato dal giudice Italo Ghitti, Brancher infine dichiarò di voler finalmente rispondere, ammise il versamento delle tangenti ma assicurò che il tutto era stato fatto a giovamento di una sua personale società. Condannato in primo e secondo grado a 2 anni e 8 mesi per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio, il primo reato cadde in Cassazione per avvenuta prescrizione, il secondo fu depenalizzato dal governo Berlusconi.

Dopo tre mesi di carcere uscì, fu nominato responsabile di Forza Italia al nord e nel 2001 eletto alla Camera nel collegio di Bussolengo, vicino Verona. Prima di Forza Italia, ha votato Dc e Psi, ma è grande ammiratore di Bossi, che definisce «un alleato sempre chiaro e leale». stato lui a rendere possibile l’asse tra Berlusconi e la Lega, convincendo il Cavaliere a ritirare le querele contro Bossi e La Padania che per anni lo avevano chiamato «il mafioso di Arcore».

Sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione nel secondo (2001-2005) e terzo (2005-2006) governo Berlusconi. Sottosegretario anche nell’attuale governo, fino al 18 giugno, quando viene nominato ministro senza portafoglio per l’Attuazione del federalismo. Visti i malumori della Lega (Bossi a Pontida: «C’è un solo ministro per il Federalismo, e son o io!», la denominazione viene cambiato in ministro per il Decentramento e la Sussidiarietà. L’operazione appare comunque un po’ strana, perché nel decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale non sono specificati né il nome del dicastero che il neo-ministro dovrà guidare, né le deleghe a lui affidate (a tutt’oggi le deleghe, cioè i poteri, cioè quello che doveva fare, non sono stati resi noti).

Però, appena nominato ministro, Brancher utilizza la legge del ”legittimo impedimento” per negarsi al tribunale che voleva interrogarlo in quanto imputato in un processo. Brancher, invece di presentarsi il 26 giugno, ottiene così uno spostamento dell’udienza a ottobre. La legge del ”legittimo impedimento” è quella voluta da Berlusconi pochi mesi fa per rendere impossibili le audizioni in tribunale: quando il giudice chiama, il presidente del Consiglio può sempre rispondere che ha cose più importanti da fare. Ha così diritto a rinvii di sei mesi e fino a tre volte consecutive. Non sarà per questa ragione, e solo per questa ragione, che Brancher è stato fatto ministro?

Ma per quale motivo Aldo Brancher è atteso in tribunale? Perché imputato, insieme alla moglie Luana Maniezzo, di appropriazione indebita in uno stralcio dell’inchiesta sulla scalata alla banca Antonveneta da parte della Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani. L’accusa per cui il neo ministro e la moglie sono finiti sotto processo riguarda più versamenti tra il 2001 e il 2005, per una cifra complessiva di oltre un milione di euro: 600 consegnati in contanti da Fiorani o dai suoi collaboratori, e il resto versati sui conti correnti come plusvalenze per operazioni di mercato costruite dai vertici della Bpl su titoli Tim e Autostrade (novembre-dicembre 2003). Fiorani stesso a raccontare di aver dato soldi a Brancher. In particolare, sul conto della moglie Luana, Fiorani sostiene di aver erogato circa 420 mila euro nel 2003 e di aver poi consegnato nel 2004 100 mila euro direttamente a Brancher «per ringraziarlo per l’attività svolta in Parlamento» per aiutare l’ex governatore di Bankitalia Fazio.


La decisione di ricorrere al legittimo impedimento da parte del neo-ministro è talmente clamorosa e inattesa da provocare, non solo lo scandalo generale (Bossi: «Non è stata una mossa da furbi»), ma persino una nota del presidente della Repubblica: «In rapporto a quanto si è letto su qualche quotidiano a proposito del ricorso dell’onorevole Aldo Brancher alla facoltà prevista per i ministri dalla legge sul legittimo impedimento, si rileva che non c’è nessun nuovo ministero da organizzare, in quanto l’onorevole Brancher è stato nominato semplicemente ministro senza portafoglio». Insomma Napolitano – che in questo caso si ritiene ingannato da Berlusconi, da lui indotto a firmare il decreto di nomina con spiegazioni vaghe - spinge Brancher a presentarsi ai giudici.

All’udienza del 26, il pm Fusco attacca Brancher: «Mi sento preso in giro, doveva essere in aula: non c’è nessun legittimo impedimento». Pressato da tutte le parti, il 26 giugno Brancher fa sapere di voler rinunciare al legittimo impedimento e acconsente «allo svolgimento dell’udienza del 5 luglio». Intanto il Pd annuncia che presenterà una mozione di sfiducia contro il neo-ministro, mentre il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non vuole che nel suo partito e nel governo «ci sia nemmeno il sospetto che c’è qualcuno che si fa nominare ministro perché non vuole andare in tribunale». Il presidente del Consiglio, impegnato dopo il lungo viaggio oltre Oceano a raffreddare una situazione divenuta complessivamente bollente, convoca Brancher ad Arcore per convincerlo a dimettersi. E ci riesce. Il 5 luglio l’ex frate si presenta in tribunale e annuncia: «Comunico in questa sede la mia decisione irrevocabile di dimettermi dall’incarico di ministro».

Si conoscerà il prossimo 28 lu­glio la sentenza del giudice An­namaria Gatto a carico di Aldo Brancher e di sua moglie Luana Maniezzo, dopo la scelta dell’ex ministro di avvalersi del rito ab­breviato. Nessuna nuova testi­monianza, dunque, e udienza a porte chiuse.

La decisione di Brancher piace molto alla maggioranza, in evidente imbarazzo. La reazione più significativa è forse quella di Giancarlo Galan il quale ha concesso l’onore delle armi: «Sarei molto sciocco se non riconoscessi nel gesto di Brancher, al contempo severo e clamoroso, il meglio di una virtù, quella della pazienza, al cui culmine, come si è visto, c’era e c’è di sicuro autentica saggezza. La saggezza che, infatti, riconosco essere all’origine di una scelta politica che da sola annulla tutte le insinuazioni malevole, ma soprattutto annulla anche quelle scuse che Brancher non deve a nessuno». Nella Lega, qualche imbarazzo c’è. Il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni è freddo: «Prendiamo atto delle dimissioni. Brancher ha pagato le troppe strumentalizzazioni». Meno distante, Roberto Maroni: «Ha fatto bene a dimettersi. Credo che sia stata una decisione sofferta, ma condivisibile». Più partecipato infine, il commento di Roberto Calderoli, amico dell’ex prete: «Brancher ha fatto quello che tutti i cittadini vorrebbero dai politici: si è posto davanti alla Legge come un normale cittadino».

28 luglio 2010. Aldo Brancher è condannato a due anni di reclusione e al pagamento di una multa da quattromila euro. Nella stessa aula del Tribunale di Milano in cui l’esponente Pdl il 5 luglio si presentò per annunciare irritualmente le sue «dimissioni irrevocabili» dal dicastero senza deleghe, il giudice monocratico Annamaria Gatto lo ha ritenuto colpevole per due episodi di ricettazione e due di appropriazione indebita, mentre è stato assolto da altre due ipotesi di ricettazione, il tutto nell’ambito di uno stralcio dell’inchiesta sul tentativo di scalata ad Antonveneta condotto dall’allora Banca popolare italiana guidata da Gianpiero Fiorani, grande accusatore di Brancher.