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 2010  luglio 06 Martedì calendario

IL RAGGIO CHE PRODUCE ENERGIA, GRATIS

L’energia pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro am­bientale del Golfo del Messico forse esi­ste già da un pezzo, ma qualcuno la tie­ne nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Set­tanta, infatti, un gruppo di scienziati ita­liani ne avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnolo­gia, che di fatto cambierebbe l’econo­mia mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sareb­be stata volutamente occultata nella cas­saforte di una misteriosa fondazione re­ligiosa con sede nel Liechtenstein, dove si tro­verebbe tuttora. Sembra davve­ro la tr­ama di un giallo internazio­nale l’incredibile storia che si na­sconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe defini­re la scoperta epocale per eccel­lenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna emis­sione di radiazioni dannose. In altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dis­solvere la materia, intendendo con questa definizione qualun­que tipo di sostanza fisica, produ­cendo solo ed esclusivamente ca­lore .
Una scoperta per caso
Come ogni giallo che si rispet­ti, l’intricata vicenda che si na­sconde dietro la genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un imprendito­re genovese ch­e una decina d’an­ni fa si è trovato ad avere rapporti di affari con la fondazione che na­sconde e gestisce il segreto di quello che, per semplicità, chia­meremo «il raggio della morte». E sì, perché la storia che stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito per eccellenza: l’arma segreta che avrebbe rivoluziona­to il corso della seconda guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavo­rando alla realizzazione del «rag­gio della morte ». La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto Mussolini disse al giorna­­lista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime interviste, Mar­coni inventò un apparecchio che emetteva un raggio elettro­magnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di im­­pianto elettrico. Tale raggio, inol­tre, mandava in corto circuito l’impianto stesso, provocando­ne l’incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presen­za del duce del fascismo, ad Aci­lia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e camion che transi­tavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tutta­via, dice sempre Mussolini, Mar­coni si fece prendere dagli scru­poli religiosi. Non voleva essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di migliaia di persone, bensì solo come l’inventore della radio. Per cui si confidò con Papa Pio XII, il quale gli consigliò di distruggere il progetto della sua invenzione. Cosa che Marconi si affretto a fa­re, mandando inbestia Mussoli­ni e gerarchi. Poi, forse per il trop­po stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937 im­provvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni.
La fine degli anni Trenta fu co­munque molto prolifica da un punto di vista scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto all’origine della prima bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e dai suoi colleghi di via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione dell’atomo, trovarono infatti il modo di «pro­durre ed emettere sino a notevoli distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che, diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno oppo­sto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazio­ne nucleare, ma producendo egualmente una enorme quanti­tà di energia pulita».
Tanto per fare un esempio con­creto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, ca­paci di evaporare 40 milioni di litri d’acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie, oc­correrebbe bruciare 15mila ba­rili di petrolio. Sembra quasi di leggere un racconto di fanta­scienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella che i documenti in pos­sesso dell’imprenditore geno­vese Enrico M. Remondini di­mostrano.
La testimonianza
«Tutto è cominciato- racconta Remondini- dal contatto che nel 1999 ho avuto con il dottor Rena­to Leonardi, direttore della Fon­dazione Internazionale Pace e Crescita, con sede aVaduz, capi­tale del Liechtenstein. Il mio compito era quello di stipulare contratti per lo smaltimento di ri­fiuti solidi tramite le Centrali ter­moelettriche polivalenti della Fondazione Internazionale Pa­ce e Crescita. Non mi hanno det­to dove queste centrali si trovas­sero, ma so per certo che esisto­no. Altrimenti non avrebbero fat­to un contratto con me. In quel periodo, lavoravo con il mio col­­lega, dottor Claudio Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazio­ne stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere de­stinata a favore di aiuti umanita­ri. Considerando che lo smalti­mento di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto, cioè con la ionizzazione della ma­teria senza produzione di alcuna scoria, sembrava davvero il mo­do ottimale per ottenere il risulta­to voluto. Tuttavia, improvvisa­mente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece sa­pere che le loro centrali non sa­rebbero più state operative. E fu inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca, non ci fu nulla da fare. Sem­plicemente chiusero i contatti».
Remondini ancora oggi non conosce la ragione dell’improvvi­so voltafaccia. Ha provato a tele­fonare al direttore Leonardi, che tra l’altro vive a Lugano, ma non ha mai avuto una spiegazione per quello strano comportamen­to. Inutili anche le ricerche per vie traverse: l’unica cosa che è riu­scito a sapere è che la Fondazio­ne è stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi se­greti adesso siano stati trasferiti ad un’altra società di cui, ovvia­mente, si ignora persino il nome. Ciò significa che da qualche par­te sulla terra oggi c’è qualcuno che nasconde il segreto più ambi­to del mondo: la produzione di energia pulita ad un costo prossi­mo allo zero. Nonostante questo imprevi­sto risvolto, in mano a Remondi­ni­sono rimasti diversi documen­ti strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pa­ce e Crescita, per cui alla fine l’im­prenditore si è deciso a rendere pubblico ciò che sa su questa mi­­steriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto mira­bolante quanto scientificamen­te sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro nel tempo e cercare di ricostruire, passo do­po passo, la cronologia dell’in­venzione. Ad aiutarci è la relazio­ne tecnico- scientifica che il 25 ot­tobre 1997 la Fondazione Inter­nazi­onale Pace e Crescita ha fat­to avere soltanto agli addetti ai la­vori.
Ogni foglio, infatti, è chiara­mente marcato con la scritta «Ri­produzione Vietata». Ma l’enor­mità di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica ampia­mente il non rispetto della riser­vatezza richiesta.
Il «raggio della morte», infatti, pur essendo stato con­cepito teoricamente negli anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifi­ca soltanto tra il 1958 e il 1960. Il condizionale è d’obbligo in quanto ripor­tiamo delle notizie scrit­te, ma non conferma­te dalla scienza ufficiale.
N o n sappia­mo da c h i e r a composto il gruppo di scienziati che diede vita all’esperimento: i no­mi non sono elencati. Sappiamo invece chevifurono diversi tenta­tivi di realizzare una macchina che corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad avere una strumentazione in grado di «pro­durre campi magnetici, gravita­zionali ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi mate­ria, ionizzandola a distanza ed in quantità predeterminate».
Ok dal governo Andreotti
Fu a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a quegli esperi­menti. E infatti l’allora governo Andreotti, prima di passare la mano a Mariano Rumor nel lu­glio del ’73, incaricò il professor EzioClementel, allorapresiden-te­delComitatoperl’energianu-cleare( Cnen), dianalizzareglief-fett­ielanaturadiqueicampima-gneticiafascio.
Clementel, trenti-noo­riginariodiFaietitolaredel-lacattedradiFisicanuclearealla facoltàdiScienzedell’Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei più noti scienziati del panorama nazio­nale e internazionale. La sua responsabili­tà, in quel­la cir­c o ­ stanza, e r a g rande. Doveva infatti veri­ficare se quel diabo­lico raggio avesse real­mente la capa­cità di distrug­gere la materia ionizzandola in un’esplosione di calore. Anche per­ché non ci voleva vol pire che, qualora molto a ca­l’esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno dell’energia nucleare e inaugurare una nuo­va stagione energetica non sol­tanto per l’Italia, ma per il mon­do intero. Tanto per fare un esempio, questa tecnologia avrebbe permesso la realizzazio­ne di nuovi e potentissimi moto­ri a razzo che avrebbero lettera­l­mente rivoluzionato la corsa allo spazio, permettendo la costru­zi­one di gigantesche astronavi in­terplanetarie.
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particola­re complessità. La prima consi­s­teva nel porre una lastra di plexi­glass a 20 metri dall’uscita del fa­scio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro die­t­ro la lastra di plexiglass e chiede­re di perforare la lastra d’acciaio senza danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova con­sist­eva nel ripetere il primo espe­rimento, chiedendo però di per­forare la lastra di plexiglass senza alterare la lastra d’acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bi­sognava porre una serie di lastre d’acciaio a 10, 20 e 40 metri dall’ uscita del fascio di raggi, chieden­do di bucare le lastre a partire dall’ ultima, cioè quella posta a 40 me­tri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una pesante la­stra di alluminio a 50 metri dall’ uscita del fascio di raggi, chieden­do che venisse tagliata parallela­mente al lato maggiore.
Ebbene, tutte e quattro le pro­ve ebbero esito positivo e il pro­fessor Clementel, considerando che la durata dell’impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi, valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la densità di poten­za pari a 4.000 KW per centime­tro quadrato. In realtà, venne spiegato a sperimentazione com­piuta, l’impulso dei raggi aveva avuto la durata di un nano secon­do e poteva ionizzare a distanza «forma e quantità predetermina­te di qualsiasi materia».
Tra l’altro all’esperimento ave­va as­sistito anche il professor Pie­ro Pasolini, illustre fisico e amico di un’altra celebrità scientifica qual è il professor Antonino Zi­chichi. In una sua relazione, Pa­solini parlò di «campi magnetici, gravitazionali ed elettrici intera­genti che sviluppano atomi di an­timateria proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determina­te an­che al di là di schemi di mate­riali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto indenni».
In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po’ più complessa, gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero riu­sciti ad applicare la teoria di Ein­stein sul campo unificato, e cioè identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di intera­zione, da quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisi­ci in tutto il mondo ci avevano provato, ma senza alcun risulta­to. Gli italiani, a quanto pare, c’erano riusciti.
L’insabbiamento
In un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile scoperta sarebbe sta­ta subito messa a frutto. Non ci vuole molta fantasia per capire le implicazioni industriali ed eco­nomiche che avrebbe portato. Anche perché, quella che a pri­ma vista poteva sembrare un’ar­ma di incredibile potenza, nell’ uso civile poteva trasformarsi nel motore termico di una centra­le che, a costi bassissimi, poteva produrre infinite quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa sco­perta non è stata rivelata e utiliz­zata? La ragione non viene spie­gata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell’epoca impo­sero il segreto sulla sperimenta­zione e che nessuno, almeno uffi­cialmente, ne venne a conoscen­za. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì prematuramen­te e si portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue idee non piacessero ai gover­nanti dell’epoca. Non si sa esatta­mente quale fosse la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato voleva rende­re pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno quello scomodo presidente del Cnen. Infatti venne accertato che la firma di Clementel appari­va su reg­istri di esame all’Univer­sità di Trento, della quale all’epo­ca era il rettore, in una data in cui egli era in missione altrove. Sem­brava quasi un errore, una svista. Ma gli costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato ca­pì l’antifona, e non disse mai più nulla su quel «raggio della mor­te » che gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro ricerche energia dell’ Enea a Bologna.
C’è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa ven­ne fuori riguardo un ipotetico «raggio della morte». Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Paler­mo che dedi­cò centinaia di pagi­ne al misterioso congegno, affer­mando che fu alla base di un intri­cato traffico d’armi. La storia coinvolse un ex colonnello del Si­far e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano (allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Fla­minio Piccoli (Dc) e Loris Fortu­na (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Lie­chtenstein, la Traspraesa. La vi­cenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente calò una cortina di silenzio su tutto quanto.
Erano comunque anni diffici­li.
L’Italia navigava nel caos. Gli attentati delle Brigate ros­se erano all’ordine del gior­no, la società civile soffoca­va nel marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro ter­ritorio nazionale come se fosse una loro riser­va di caccia. Il 16 mar­zo 1978 i brigatisti ar­rivarono al punto di rapire il presidente del Consiglio, Aldo Moro, uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimentica­bile attentato in via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo co­me andò a finire. Tre anni dopo, il 13 maggio 1981, il terrorista tur­co Mehmet Ali Agca in piazza San Pietro ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.
 in questo contesto, che il «raggio della morte» scomparve dalla scena. Del resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe stato in grado di gestire e control­lare gli effetti di una rivoluzione industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mon­do? Non ci vuole molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell’invenzione avrebbe dan­neggiato se soltanto fosse stata re­sa pubblica. In pratica, tutte le multinazionali operanti nel cam­po del petrolio e dell’energia nu­cleare avrebbero dovuto chiude­re i battenti o trasformare da un giorno all’altro la loro produzio­ne. Sarebbe veramente impossi­bile ipo­tizzare una cifra per quan­tificare il disastro economico che la nuova scoperta italiana avreb­be portato.
Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di tra­versie e inutili tentativi per far ri­conoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente te­mendo per la lo­ro vita e per il futu­ro della loro stru­mentazione, que­sti scienziati conse­gnarono il frutto del loro lavoro alla Fon­dazione Internaziona­le Pace e Crescita, che l’11 aprile 1996 venne costituita apposta, vero­similmente con il diretto appoggio logistico-finan­ziario del Vaticano, a Va­duz, ben al di fuori dei confi­ni italiani. In quel momento il capitale sociale era di appe­na 30mila franchi svizzeri ( cir­ca 20mila Euro). «Sembra an­che a noi- si legge nella relazio­ne introduttiva alle attività della Fondazione - che sia meglio co­struire anziché distruggere, non importa quanto possa essere diffi­cile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, as­sai più fantasia e sacrificio».
A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata messa in li­quidazione, parrebbe che a suo tempo l’organizzazione fosse sta­ta costituita in primo luogo per evitare che un’invenzione di quel­la portata fosse utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i mis­sili balistici ( con quello che costa­no) diventerebbero ben poca co­sa se gli eserciti potessero dispor­re di un macchinario che, per di­struggere un obiettivo strategico, necessiterebbe soltanto di un si­stema di puntamento d’arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italia­ni sarebbe maturata dopo una se­rie di minacce che avevano rice­vuto negli ambienti della capita­le. Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si appellarono direttamente a Papa Giovanni Pa­olo II e la macchina che produce il«raggio della morte»venisse na­s­costa per qualche tempo in Vati­cano. Da qui la decisione di istitui­re la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il Consiglio di presidenza della Società Europea di Fisica, ricono­scendo, per la prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Ga­lilei ( 1564-1642) lo scopritore del­la Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la pa­rola d’ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.
Le macchine del futuro
Qualcosa, però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli scienziati cristia­ni in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse apparecchiature che sfruttano il principio del «raggio della morte». Secondo la loro do­cumentazione, infatti, è stata pro­dotta una serie di macchinari del­la linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi. L’elenco comprende le Srsu/Tep (smalti­mento dei rifiuti solidi urbani), Sr­lo/ Tep (smaltimento dei rifiuti li­quidi organici), Srtp/Tep (smalti­mento dei rifiuti tossici), Srrz/ Tep (smaltimento delle scorie ra­­dioattive), Rcc (compattazione rocce instabili), Rcz (distruzione rocce pericolose), Rcg (scavo gal­lerie nella roccia), Cls (attuazio­ne leghe speciali), Cen (produzio­ne energia pulita).
A quest’ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Re­mondini si trovano anche i piani per costruire centrali termoelet­triche per produrre energia elet­trica a bassissimo costo, smalten­do rifiuti. C’è tutto, dalle dimen­si­oni all’ampiezza del terreno ne­cessario, come si costruisce la tor­re di ion­izzazione e quante perso­ne devono lavorare ( 53 unità) nel­la struttura. Un’intera centrale si può fare in 18 mesi e potrà smalti­re fino a 500 metri cubi di rifiuti al giorno, producendo energia elet­trica con due turbine Ansaldo. C’è anche un quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di costruzio­ne. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo sareb­be costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che il loro aspetto è assoluta­mente fuorviante. Infatti, sem­pre guardando i loro progetti, si nota che all’esterno appaiono sol­tanto come un paio di basse pa­lazzine per uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La torre di ionizzazione, do­ve avviene il processo termico, è infatti completamente interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso ce­mento armato completamente occultato alla vista. In altre paro­le, queste centrali potrebbero es­sere ovunque e nessuno ne sa­prebbe niente. Da notare che, secondo le ricer­che compiute dalla International Company Profile di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le infor­mazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registra­zione a Vaduz, non ha mai com­piuto alcun tipo di operazione fi­nanziaria nel Liechtenstein, né si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i pro­pri­bilanci o i nomi dei propri fon­datori. Si conosce l’indirizzo del­la sede legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operati­va e il tipo di attività che la-Fonda­zione ha svolto al di fuori dei con­fini del Liechtenstein.
Ovviamen­te mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del 2002 quando, per chissà quali ra­gioni, ma tutto lascia supporre che la sicurezza non sia stata estranea alla decisione, la Fonda­zione ufficialmente ha chiuso i battenti.
Ancora più strabiliante è l’elen­co dei clienti, o presunti tali, forni­to a Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici europei, le am­ministrazioni di due Regioni ita­liane e persino due governi: uno europeo e uno africano. Da nota­re che, in una lettera inviata dalla Fondazione a Remondini, si par­la di proseguire con i contatti all’ estero, ma non sul territorio na­zionale «a causa delle problema­tiche in Italia». Ma di quali «pro­blematiche »si parla?E,soprattut­to, com’è che una scoperta di que­sto tipo viene utili­zzata quasi sot­tobanco per realizzare cose egre­gie (pensiamo soltanto alla pro­duzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioatti­ve), mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?
Interpellato sul futuro della scoperta da Remondini, il profes­sor Nereo Bolognani, eminenza grigia della Fondazione Interna­zionale Pace e Crescita, ha detto che «verrà resa nota quando Dio vorrà». Sarà pure, ma di solito non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreter­no. Neppure con la santa e illu­stre mediazione del Vaticano.