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 2011  marzo 08 Martedì calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano
Il Presidente del Senato è Renato Schifani
Il Presidente della Camera è Gianfranco Fini
Il Presidente del Consiglio è Silvio Berlusconi
Il Ministro degli Interni è Roberto Maroni
Il Ministro degli Esteri è Franco Frattini
Il Ministro della Giustizia è Angelino Alfano
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Mariastella Gelmini
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Maurizio Sacconi
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Giulio Tremonti
Il Ministro della Difesa è Ignazio La Russa
Il Ministro dello Sviluppo economico è Claudio Scajola
Il Ministro delle Politiche agricole è Giancarlo Galan
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Altero Matteoli
Il Ministro della Salute è Ferruccio Fazio
Il Ministro di Beni e Attività culturali è Giancarlo Galan
Il Ministro dell’ Ambiente è Stefania Prestigiacomo
Il Ministro dell’ Attuazione programma di governo è Gianfranco Rotondi (senza portafoglio)
Il Ministro della Gioventù è Giorgia Meloni (senza portafoglio)
Il Ministro delle Pari opportunità è Mara Carfagna (senza portafoglio)
Il Ministro di Pubblica amministrazione e Innovazione è Renato Brunetta (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Elio Vito (senza portafoglio)
Il Ministro di Rapporti con le Regioni e Coesione territoriale è Raffaele Fitto (senza portafoglio)
Il Ministro delle Riforme per il federalismo è Umberto Bossi (senza portafoglio)
Il Ministro della Semplificazione normativa è Roberto Calderoli (senza portafoglio)
Il Ministro di Sussidiarietà e decentramento è Aldo Brancher (senza portafoglio)
Il Ministro del Turismo è Michela Vittoria Brambilla (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Mario Draghi
Il Presidente della Fiat è John Elkann
L’ Amministratore delegato della Fiat è Sergio Marchionne
Il Segretario Nazionale dei Popolari per il Sud è Clemente Mastella

Nel mondo

Il Papa è Benedetto XVI
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Barack Obama
Il Presidente del Federal Reserve System è Ben Bernanke
Il Presidente della BCE è Jean-Claude Trichet
Il Presidente della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Hu Jintao
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è David Cameron
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Nicolas Sarkozy
Il Primo Ministro della Repubblica francese è François Fillon
Il Re di Spagna è Juan Carlos I
Il Presidente del Governo di Spagna è José Luis Rodríguez Zapatero
Il Comandante Supremo delle Forze Armate dell’ Egitto è Mohammed Hoseyn Tantawi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Abdullah Gül
Il Presidente della Repubblica Indiana è Pratibha Patil
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Manmohan Singh
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Mahmud Ahmadinejad

Uno studio dell’associazione AlmaLaurea mostra che laurearsi conta sempre meno per trovare lavoro, anche se si è in possesso della “laurea breve”, quella che si ottiene dopo tre anni e che il ministro Zecchino, e dopo di lui il ministro Berlinguer, avevano inventato proprio per professionalizzare gli studi superiori, cioè per rendere meno labile il rapporto tra mondo del lavoro e pezzo di carta.

Sarà una selva di numeri. Sentiamo.
Gliene darò il minimo indispensabile, giusto quelli che servono a chiarire il concetto. Si prendono gli anni 2008, 2009 e 2010 e si vede che la percentuale di disoccupati tra quelli che hanno la laurea breve è aumentata: dall’11 al 16,2% (stiamo parlando del primo anno post-laurea). A chi ha laurea lunga, o meglio specialistica, è andata anche peggio: da 10,8 si è passati a 17,7. Si potrebbe pensare che fare i calcoli sul primo anno dopo la laurea, e in questo momento poi, è troppo penalizzante. Ma anche tra quelli che hanno preso la laurea da cinque anni ci sono meno occupati di prima, un cinque per cento in meno. Queste brutte percentuali sono accompagnate dalle loro solite sorelle gemelle: aumento dei laureati che lavorano in nero (7 per cento, il doppio del 2008), paghe più basse di prima (-5% reali, cioè calcolando anche l’inflazione, per i laureati brevi e -10% per i lunghi), maggiori difficoltà per chi è laureato, sì, ma all’interno di una famiglia operaia: a cinque anni dal titolo ha un posto il 77% dei borghesi, ma solo il 68% degli operai (e gli operai guadagnano meno, 1.249 euro in media contro i 1.404 di quegli altri).

Di chi la colpa? Degli studenti? Dei professori? Dei datori di lavoro? Del sistema? Di Berlusconi?
Berlusconi c’entra poco, perché i dati si riferiscono ai risultati di riforme volute da un ministro prodiano (Zecchino) e da un ministro democratico (Berlinguer). La Gelmini s’è tenuta il famoso 3+2, perché «non si può continuamente ripartire da zero». D’altra parte bisogna dire anche questo: chi prende una laurea breve o lunga è “dottore” e si sente per ciò stesso salito a un qualche livello sociale. Solo che il mondo vero questo livello sociale glielo riconosce sempre più difficilmente. Non parlo solo dell’Italia: il Bureau of Labor Statics americano, elaborando qualche milione di dati, ha scoperto che le professioni più richieste sono quelle di badante, seguite da quelle di cuoco, muratore e giardiniere. Roba per cui non ci vuole il pezzo di carta? No, i datori di lavoro pretendono che anche in queste professioni vi sia una certa preparazione di base, una certa cultura che potrebbe corrispondere alla nostra laurea breve. In Spagna, all’ultimo concorso per uscieri alle Cortes (il Parlamento) su ventimila che si sono presentati ha avuto il posto, quasi sempre, gente che si qualificava come economista, matematico, fisico o avvocato. In generale, quindi, sembrerebbe che la laurea, breve o lunga, sia piuttosto un’astrazione, che corrisponde sempre meno alla domanda di lavoro.

Come bisognerebbe fare?
La laurea triennale fu adottata per queste due ragioni: i nostri uscivano dall’università enormemente tardi – 28 o 29 anni – rispetto ai colleghi europei (22-23 anni); grande era poi il numero di abbandoni nel primo biennio, c’era cioè troppa gente che cominciava e poi piantava lì. La riforma è servita a poco, si direbbe, perché l’università è rimasta troppe volte un parcheggio, non solo per la maligna volontà dei governi, ma anche per comoda scelta degli utenti. Finché vanno a scuola, la famiglia li mantiene.

L’università, visto che la laurea triennale doveva facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, non avrebbe dovuto organizzarsi diversamente?
Direi di sì. È successo invece che la laurea triennale, unita all’assoluta autonomia lasciata agli atenei, ha favorito una moltiplicazione di corsi fantasmagorica, e titoli di studio che non si sa bene che cosa vogliano dire. Ci sono lauree che si chiamano quasi nello stesso modo e che si ottengono con percorsi completamente diversi. Lauree invece simili, per discipline studiate, che si chiamano invece in modo del tutto diverso tra di loro. Alla fine, per chi deve decidere se assumere o no, ogni laureato è un rebus.

Ma basterà un test per capire se sono preparati. O no?
Forse i più svegli sono quelli che rinunciano al titolo e si mettono subito a lavorare. Oppure quelli che vanno all’estero. Secondo il Centro europeo dell’educazione, otto laureati italiani su cento hanno gravi problemi di scrittura, 25 su cento rischiano di regredire nell’uso della lingua, 21 su cento non vanno oltre un livello minimo di comprensione nella lettura di un testo. Tra i laureati, secondo l’Istat, uno su tre non possiede più di cento libri (all’incirca quelli utilizzati durante il percorso di studi). Il problema sta anche qui. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 8/3/2011]
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