Luca Peretti, varie, 8 marzo 2011
MICROPAGAMENTI, PER VOCE ARANCIO - I
micropagamenti, come dice il nome stesso, permettono agli utenti di effettuare pagamenti di pochi euro per portarsi a casa un bene digitale. Che cosa si può comprare: una o poche canzoni in mp3 o formati simili, un video, scaricare software ecc. Possono essere usati anche per prodotti pay per view, ovvero paghi solo per quello leggi, usi, vedi.
La definizione cambia a seconda degli utenti. Quelli di Value Partners, per il rapporto Capturing the micropayments opportunity, hanno stabilito di indicare come micropagamenti le transazioni uguali o inferiori ai cinque euro e che permettono l’acquisto di un bene o un servizio digitale. In questo senso, la ricarica di Skype o del cellulare non rientra nella definizione non tanto perché quasi mai si effettuano ricariche di cinque euro o meno ma perché appunto non si acquista direttamente un bene o un servizio.
L’incremento dei micropagamenti, stimato a un ritmo del 15% l’anno.
Il mercato dei micropagamenti vale sei miliardi di dollari. Entro il 2015 dovrebbero diventare più del doppio: secondo lo studio di Value Partners è destinato a raggiungere quota 15 miliardi. Tre sono gli aspetti fondamentali che permetteranno questo incremento: la diffusione di internet e dell’e-commerce, la crescita di social network, giochi online e beni virtuali e l’emergere di nuovi tipi di online payment.
Come mai questo tipo di pagamenti aumentano e cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Spiega a VoceArancio Francesco Burelli, autore del rapporto di Value Partners: «I micropagamenti sono una tipologia di servizi con alti tassi di crescita dovuti al fatto che i settori che loro abilitano e supportano hanno un grande potenziale e stanno crescendo. I micropagamenti sono trainati da questi servizi digitali, che noi abbiamo catalogato in otto tipi: ebooks, musica digitale, application per cellulari, beni per gaming community, giornali online, video on demand per pc, video on demand per TV e infine Mobile VAS (cioè suonerie, wallpapers etc). Sono tutti servizi che stanno crescendo a tassi diversi, quelli che lo fanno di più sono video on demand per TV».
Per i micropagamenti si usano carte di credito e tessere prepagate. Ma ci sono anche nuovi modelli di business, come gli eWallets, detti anche digital wallet (portafogli digitali). Come funzionano: 1) L’utente carica i fondi sul borsellino elettronico utilizzando la sua carta di credito o attraverso un bonifico bancario; 2) I fondi vengono trasferiti e resi disponibili nel borsellino elettronico; 3) L’utente può procedere all’acquisto sul sito web; 4) A questo punto i fondi sono scalati dal conto dell’utente (dal sito http://www.cartedipagamento.com/micropagamenti.htm).
A differenza delle carte prepagate che abbiamo fisicamente in tasca, gli eWallets sono conti virtuali che è possibile ricaricare attraverso la carta di credito o con un bonifico senza ogni volta fornire i propri dati. In pratica questi sistemi di pagamento uniscono la comodità di una carta di credito che mette immediatamente a disposizione il contante con la sicurezza che i propri dati non girino in rete. Certo, bisogna fidarsi dei gestori degli eWallet che comunque avranno in mano le informazioni che ci riguardano, ma nella maggior parte dei casi sono collegati a importanti istituti di credito che garantiscono la massima riservatezza. Tra tutti gli eWallet quello più conosciuto è PayPal, cui comunque si aggiungono MooneyBookers, Neteller e ClickAndBuy. L’unico limite dei borsellini elettronici sono le commissioni che occorre pagare a ogni versamento che si effettua da carta di credito o bonifico e che ammontano in media al 2% dell’importo.
PayPal a ottobre scorso ha annunciato il supporto per gli acquisti One-Click all’interno di applicazioni, video, e web-page, il tutto in maniera flessibile e veloce. Tra i primi partner di quest’iniziativa nomi importanti come Justin.tv, Ustream, Plimus, Tagged, Ooyala, GigaOM, FT.com, Autotrasport.com e Tyler Projects. Nel 2009 PayPal ha gestito un flusso di più di due miliardi di dollari in transazioni.
Quello che si sta sviluppando online, e a cui contribuiscono i micropagamenti, è un vero e proprio sistema economico a parte, denominato virtual economy, che ha la caratteristica di usare denaro reale per il commercio di beni virtuali. Per ora il modello principale di vendita online resta la sottoscrizione, l’abbonamento fisso, ma non tutti i tipi di consumo si possono far rientrare in questo modello di transazione.
Alcuni esempi di micropagamenti. Sul sito di Lonely Planet si possono comprare i singoli capitoli delle guide: per Rome&Lazio, di Italy Travel Guide, si spendono 3,50 euro. Sul sito italiano (http://www.lonelyplanetitalia.it/shop/) questa possibilità non c’è ancora, si può acquistare solo l’intero volume. I videogiochi online offrono molte possibilità per pagamenti con bassi investimenti. Si comprano gli oggetti di World of Warcraft, o le speciali valute all’interno dei giochi di Facebook, ma anche gli accessori su Second Life.
Ma come sono nati i micropagamenti? Ancora Burelli: «Inizialmente la musica ha fatto da traino, sia la vendita di quella digitale sia per le suonerie, che andava su telefonini ancora molto semplici rispetto a quelli di ora e ai tablet. Questi servizi sono stati precursori». Quali sono rischi e quali i problemi per la sicurezza anche se si tratta di transazioni di pochi euro? «La sicurezza è uno dei prerequisiti per i micropagamenti, come abbiamo indicato anche nel nostro rapporto. Certo che questa tipologia di pagamenti non è immediatamente vulnerabile, ma c’è comunque la necessità di mantenere gli standard di sicurezza comuni a tutti i pagamenti elettronici. È fondamentale quindi che ognuno rispetti le regole di base. Difficile comunque che qualcuno faccia riciclaggio di denaro sporco con le suonerie».
Questo tipo di business interessa anche operatori come Google, Apple e il già citato PayPal. Sull’iTunes di Apple si possono comprare anche singole canzoni per prezzi irrisori, come nel caso dei Beatles, 1,29 euro a brano (su questo argomento, leggi il nostro pezzo http://vocearancio.ingdirect.it/?p=57984). Google ha CheckOut, a cui si accede direttamente se si ha un account gmail – che è gratuito. Da lì si gestisce l’Android Market (https://market.android.com/), il mondo delle inserzioni pubblicitarie: per i piccoli siti e blog in genere si tratta di poche decine di euro e si usa l’account per fare acquisti online.
C’è poi Facebook. I “Facebook Credits”, moneta virtuale che si compra a pacchetti, non per ogni singolo pagamento. Il modello è quindi quello della “ricarica”: i credits corrispondono a dieci centesimi di dollaro, quindi con dieci dollari si comprano cento crediti che diventano moneta virtuale corrente per acquistare giochi e altri prodotti su Facebook. Per comprare i credits basta andare sul sito http://www.facebook.com/credits. È vera e propria liquidità digitale: mentre su iTunes e Android gli acquisti sono a senso unico, con i crediti si instaura invece un regime di moneta, seppur virtuale, che può essere accettata da più aziende, o dai singoli utenti.
Lo studio di Inside Network stima che nel 2010 solo negli Stati Uniti siano stati comprati beni virtuali per 1,6 miliardi di dollari. La metà sono per i social games. Facebook ha un guadagno di circa 30% su ogni transazione. Alcuni giochi e applicazioni di Facebook: Farmville Cash, Frontierville Horseshoes, Cafe World ecc.
Zynga, che produce Farmville, tra le prime aziende ad adottare i Facebook Credits: si parla di un milione di dollari in crediti venduti ogni giorno.
«Immaginiamo per un momento di aver esaurito i crediti. Sarà possibile “guadagnarli” anziché acquistarli? Nasceranno lavori virtuali che verranno pagati in crediti Facebook? Discorso futuribile. […]. Dal punto di vista “social”, possiamo comunque dire che le premesse di un successo per i Facebook Credits ci sono tutte. Come abbiamo visto, ci sono altre problematiche da dirimere. Le legislazioni dei vari Stati permettano a Facebook una sorta di conio della moneta, seppur virtuale? Facebook ci ha abituato ad un uso “disinvolto” delle varie policy su sicurezza/privacy. Chi ci garantisce che la vita dei crediti, possa essere alterata in corsa proprio da Facebook? Chi stabilità il “cambio ufficiale”? Come sarà possibile convertire i crediti in moneta corrente?» (Gianluca Pezzi su www.downloadblog.it).
Nascono nuovi operatori. Payfarit, creata in Gran Bretagna nel 2006, frutto della joint venture tra i cinque operatori di telefonia mobile, agli inizi per supportare i pagamenti via cellulare, oggi si è lanciata anche sulle transazioni sul web. Un’altro nuovo operatore è Randicoot (http://www.randicoot.com/).
Secondo gli esperti di Value Partners il fattore vincente nell’ambito dei micropagamenti sarà la capacità di creare economie di scala, premiando quindi alleanze e network misti. «I provider di contenuti digitali devono valutare il range di opzioni per i micropagamenti sulla base della loro comprensione della preferenze del consumatore, sostenibilità del modello di business, impatto sugli utenti, conoscenza del cliente e abilità di integrare i servizi di pagamento all’interno del proprio business model di distribuzione di contenuti digitali» (la conclusione del rapporto Capturing the micropayments opportunity).