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 2011  marzo 08 Martedì calendario

FENDI E BOTTEGA VENETA, PASSIONE MADE IN ITALY PER ARNAULT PIGLIATUTTO

A Bernard Arnault non dispiacciono i matrimoni con gli italiani: prima di Bulgari ci sono stati Fendi, Emilio Pucci, StefanoBi, Acqua di Parma, e le nozze della figlia Delphine con Alessandro Vallarino Gancia, erede della famiglia dello spumante. Era il 2005 e alla cerimonia allo Château d’Yquem — proprietà di famiglia — parteciparono tra gli altri Nicolas Sarkozy e l’allora première dame Bernadette Chirac. L’abito da sposa, costato 700 ore di lavoro all’atelier Dior, venne disegnato da un John Galliano lontano dai deliri antisemiti e dal licenziamento. Fu— tra centinaia di invitati e una spesa stimata in cinque milioni di euro — la consacrazione di un uomo che stava diventando il più ricco di Francia e d’Europa (Forbes 2010) e che 15 anni prima si era sposato, lui, davanti a cinque persone. Ma tra il 62enne Arnault e l’Italia non c’è solo complicità: nella storia dell’imprenditore pigliatutto del lusso mondiale resta la macchia per lui insopportabile della sconfitta su Gucci, nel 2000. Dopo lunghi mesi di battaglia finanziaria e legale, il controllo del marchio guidato da Domenico De Sole andò al bretone François Pinault. Fu l’inizio di una delle più resistenti rivalità dell’economia mondiale, fatta di continue acquisizioni di marchi, e di commenti acidi su quanto l’altro avesse pagato, ogni volta, un prezzo spropositato. Pinault ha messo a segno un punto importante nella battaglia dell’italofilia trasferendo la sua collezione di arte contemporanea a Venezia, dopo avere invano cercato di ristrutturare le vecchie officine Renault di Boulogne Billancourt. Arnault sta rispondendo con la Fondation Vuitton affidata alla grande archi-star Frank Gehry: una «nuvola di vetro» in costruzione al Bois de Boulogne ma bloccata dalle proteste dei residenti parigini. Dovessero avere la meglio questi ultimi, anche Arnault potrebbe percorrere la via italiana per custodire la sua grande collezione di Picasso, Rothko, Basquiat, Koons, Murakami. Quando Bernard Arnault lasciò la Francia per gli Stati Uniti, dopo l’ascesa al potere di François Mitterrand nel 1981 e la prima temuta ondata di nazionalizzazioni, gli americani non troppo fantasiosi lo chiamavano «Tin Tin» : cercava fortuna nel settore immobiliare, ma non era quella la strada. Tornato in Europa, nel giro di vent’anni il suo soprannome è cambiato in «L’angelo sterminatore» , secondo la fortunata e leggermente iperbolica definizione del giornalista del Nouvel Observateur Airy Routier, che gli ha dedicato uno dei rari libri-inchiesta. «La sua ossessione è colpire per primo— dice Routier —. Cominciò grazie ai quaranta milioni del padre, ma con la determinazione del provinciale di Roubaix che deve farsi valere a Parigi. Ha il terrore di subire le mosse dell’avversario. Allora attacca, ogni volta che è possibile» . Per tutta la vita Arnault ha cercato di anticipare i colpi del nemico. Da qualche tempo a preoccuparlo sono gli svizzeri di Richemont, che con Cartier e Montblanc rappresentano il secondo gruppo del lusso al mondo dietro la sua Lvmh. Corre voce che Richemont provi ad avvicinarsi alla famiglia Hermès? Arnault rastrella le azioni e sale improvvisamente al 20%dell’azienda fondata nel 1837 dal sellaio Thierry. Il patron di Richemont, Johann Rupert, smentisce ogni interesse? Non importa, Arnault prende il controllo di Bulgari, il maggiore concorrente di Cartier. E all’orizzonte, da anni ormai, c’è Armani, ennesima preda italiana. Stefano Montefiori © RIPRODUZIONE RISERVATA