Paolo Manzo, Il Secolo XIX 8/3/2011, 8 marzo 2011
GLI ESULI ITALIANI DELL’APOCALISSE
ALTRO CHE GHEDDAFI e Medio Oriente in fiamme. Per 38 famiglie italiane il vero pericolo è un altro. E si chiama senza mezzi termini “la fine del mondo”. Sì, proprio quella che la fa da padrone in tanti film di successo hollywoodiani, tutti rigorosamente apocalittici, e così tanto citata negli ultimi tempi nei siti di dietrologia e misteri in base ad un’antica leggenda Maya che collocherebbe nel 2012 la fine del pianeta.
E così 38 famiglie italiane, tutte adepte di una misteriosa associazione dal nome ancora più misterioso, “Quinta essencia”, hanno fatto armi e bagagli e si sono trasferiti dall’altra parte del mondo. Più precisamente in Messico, in un’area simbolo delle civiltà precolombiane, la Penisola dello Yucatán.
Qui, in un piccolo villaggio di nome Xul, dentro case fortificate che loro stessi si sono costruite all’interno di un’area chiusa chiamata “rifugio delle aquile”, Las Aguilas, che si estende per circa 800 ettari, attendono l’apocalisse. Xul, il piccolo villaggio accanto al quale il progetto è fiorito, pare dopo un sogno di una donna del gruppo che veniva spinta a recarsi in questa parte del mondo, è abbarbicato sui monti dello Yucatán, in piena foresta e il suo nome evoca di per sé misteri antichi. È infatti un antico termine Maya che significa “fine” o “finale”. Se a questo si aggiunge che Xul a sua volta è stato costruito vicino ad un antico insediamento Maya di nome Kiuic, il mistero è davvero servito su un piatto d’argento.
Chi siano questi italiani e come siano riusciti a costruire questa minicittà è top secret. Al momento infatti, anche grazie alla stampa messicana che si è insospettita, sono state allertate le autorità dell’emigrazione e i centri di indagine anti-setta che hanno scoperto come alcuni degli italiani coinvolti abbiano già chiesto e ottenuto la cittadinanza messicana. Las Aguilas, dalle informazioni raccolte, è stata progettata dall’architetta locale Karina Valle che ha realizzato 24 edifici con pareti di 60 centimetri in materiali speciali in grado di sopportare cambiamenti di temperatura estremi, radiazioni, fuoco o inondazioni. L’architetta ha dichiarato che «gli italiani non pensano che stia arrivando la fine del mondo, ma che il 2012, la data indicata nella profezia Maya, sia indicativa di una catastrofe naturale e hanno deciso di rifugiarsi qui per proteggersi». Tunnel sotterranei, rifugi con tanto di porte anti-proiettili, negozi e un laboratorio. Tutte le reti elettriche sarebbero già state installate, guardie private vigilano l’ingresso.
La città apocalittica, insomma, secondo indiscrezioni dei locali sarebbe pronta. I lavori erano cominciati nell’agosto 2010 non senza preoccupazione dell’amministrazione di Xul che temeva quest’invasione in massa e così misteriosa da parte di un gruppo di italiani. Sette mesi dopo, nonostante un cartello largo e chiaro che impedisce l’accesso ai curiosi, i locali sembrano vedere di buon occhio questi italiani che temono la fine del mondo perché la costruzione della loro cittadella ha dato lavoro a tante persone disoccupate. Artigiani, elettricisti, muratori, in tanti hanno contribuito alla costruzione di questa sorta di Arca di Noè.
«Sono filosofi, sono persone preparate - commenta bonario Ubaldo Pérez Borges, consigliere comunale di Xul -, e negano stiano realizzando una città apocalittica: ma allora perché non mi fanno entrare? Credo che davvero temano qualcosa». Édgar Manuel Uc Ávila, di 38 anni, una delle maestranze coinvolte dice che «non c’è da lamentarsi. Pagano bene e non creano problemi». E racconta perfino di un lago artificiale con tanto di statua raffigurante la dea greca Atena e di orti in lontananza per coltivare di tutto.
A capo del progetto ci sarebbe una psicologa italiana. E c’è già chi giura di aver visto il gruppo pregare in ginocchio vicino agli alberi, ogni giorno. Persino il sindaco non sa più cosa pensare. Gli italiani, infatti, pare che escano assai raramente dal loro insediamento-bunker. Ma secondo la versione del primo cittadino di Xul devono essere persone ricche, perché «hanno costruito case bellissime».
Lancia un allarme, invece Gaspar Baquedano López, direttore del programma anti-suicidi dell’ospedale psichiatrico “Yucatán”. «Il rischio- ha dichiarato- è che questo gruppo di italiani possa innescare un processo di psicosi locale che potrebbe causare la morte di molte persone».
Insomma, come già era successo alla vigilia del 2000, l’ansia del catastrofismo torna a riempire in modo enigmatico l’immaginario collettivo. E non bisogna per forza andare in Messico per inventarsi soluzioni originali. Una società di Pontedera, la Matex Security Projects, realizza bunker anti fine del mondo mentre su Facebook c’è chi la butta sull’ironia. Il gruppo Fermiamo la fine del mondo avverte che «bastano 2012 iscritti per salvare 6 miliardi di persone».