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 2011  marzo 08 Martedì calendario

«SONO UN RICICLATORE PENTITO»

Se fosse un film si chiamerebbe Confessions of a criminal mind. Trama da successo hollywoodiano: un uomo che ha dedicato la propria vita al malaffare si scopre gravemente malato e decide di raccontare la sua storia.
Questa però non è finzione. Lettera43.it ha incontrato un riciclatore di denaro. Un professionista, che per molti anni ha lavato soldi sporchi. Milioni di euro, di qualsiasi provenienza: dalla mafia all’evasione fiscale. A volte reinvestiti in attività pulite: alberghi, ristoranti, imprese. In altri casi, risciacquati e intascati per godersi un po’ la vita. Oppure ancora lasciati in sonno, a fruttare interessi o cedole, in posti sicuri lontani dai radar della Finanza.
«Molti crimini, molte possibilità», ha spiegato. «Esistono diversi tipi di denaro e conseguenti sistemi di lavaggio. Non si fa sparire allo stesso modo tutto il contante».
Sotto garanzia dell’anonimato, il riciclatore ha accettato di spiegarci come funziona l’attività. Senza omettere nulla, ma anzi con velata soddisfazione per essere stato «sempre un metro avanti: della polizia, dei controlli incrociati, dei colleghi».
Oggi è in pensione e, senza timore di conseguenze penali, ha potuto fornirci esempi dettagliati di operazioni. Ve le racconteremo in una serie di interviste. Nella prima, il nostro uomo ci fornisce un caso «molto semplice e comune»: proventi milionari di estorsioni da trasformare in una rendita pulita per il resto della vita.

Domanda. Partiamo dall’inizio. Come fanno i clienti a trovarla? Non sarà sulle Pagine Gialle.
R. Chi mi cerca lo fa tramite canali di fiducia. Non lavoro con perfetti sconosciuti: ci deve sempre essere qualcuno che fa da ‘cambiale’. I miei sono solo clienti selezionati: praticamente, la quasi totalità arrivano dalla Sicilia e dalla Calabria.
D. Mafia?
R. Dentro alla mafia c’è tutto: io per regola non ho mai accettato denaro del narcotraffico. C’è un’etica anche in questo mestiere, a suo modo. Io con la droga non ho mai voluto averci a che fare.
D. E come fa ad accertarsi della provenienza dei soldi?
R. Prima di accettare l’incarico si fa qualche ricerca. Diciamo una due diligence personale sul potenziale cliente. Basta solo chiedere in giro chi sia e di cosa si occupi. Insomma, prendere un po’ di informazioni riservate e confidenziali.
D. Decidiamo che il cliente le vada bene. Come procede?
R. La prima cosa che faccio è creare una casella email e un’utenza skype, assolutamente anonime. Poi comunico al cliente di fare lo stesso. Nel momento in cui lui lo fa, parte quello che viene definito “ingaggio”: 1.000 euro al giorno, più le spese.
D. Tariffa fissa?
R. Sì, ma ovviamente non c’è un contratto, si fa tutto sulla parola. Questo è un ambiente dove un errore, una parola non mantenuta, costano la pelle. Pretendo e do, a mio modo, la massima correttezza e trasparenza nei rapporti. Il cliente paga in anticipo, prima di avere in mano la soluzione del suo problema.
D. Facciamo un passo alla volta. Dopo il contatto cosa succede?
R. Intanto metto al sicuro le comunicazioni telefoniche. Spedisco al cliente, presso una mail box, un cellulare munito di una scheda del Liechtenstein, le cosiddette schede internazionali. Sono già attivate e si acquistano in un negozio di Chiasso, perfettamente anonime. Nel plico non gli allego il mio numero: lo chiamo io la prima volta. Il cellulare, invece, lo compro in Italia, in qualche centro commerciale.
D. Ok, e poi?
R. Il cliente mi invia a mezzo mail la descrizione delle sue necessità. Se accetto l’incarico gli richiedo il versamento di un fondo per avviare la pratica. Facciamo un esempio: per il lavaggio di 5 milioni di euro in contanti, proventi di estorsioni effettuate in Meridione, ci vuole una base iniziale di 50 mila euro. Che mi deve dare subito.
D. Dove le consegna i soldi? Vi incontrate faccia a faccia?
R. Non amo gli incontri nei bar o nei luoghi chiusi: troppe telecamere di sorveglianza, troppi potenziali testimoni. Fisso l’incontro in posti inusuali, normalmente al cimitero degli inglesi di Roma.
D. Cupi presagi.
R. No, è un angolo di Paradiso e soprattutto poco frequentato. La panchina a lato della lapide di Shelley è il mio posto. Mi siedo lì vicino e poco distante a me si mettono due complici fidatissimi. Controlliamo che il cliente infili la busta con i soldi in un cestino che abbiamo stabilito, poi i miei aiutanti la recuperano ed escono dal retro. Il cancello è chiuso al pubblico, ma abbiamo un duplicato della chiave.
D. A questo punto può mettersi a lavorare.
R. Proseguiamo con l’esempio – reale – dei 5 milioni di euro. Il cliente è una persona seria, non vuole sperperarli in champagne e festini. Vuole investirli in immobili, poniamo un albergo e un ristorante, in modo tale da avere un continuo flusso di contante da gestire. Una sorta di pensione.
D. Come gliela assicura?
R. Primo passo, deposito il denaro in un conto fiduciario in Lussemburgo, dove verrà costituita e capitalizzata, con quei fondi, una Soparfi.
D. Cos’è una Soparfi?
R. Società di partecipazione finanziaria. Sono società commerciali il cui principale obiettivo è la gestione di partecipazioni in altre società di capitali. L’alternativa lussemburghese alle holding.
D. Per questo porta i soldi in Lussemburgo?
R. La ragione è molto più banale: in Lussemburgo si arriva in auto senza attraversare frontiere. Ci sono meno rischi nel trasporto del denaro e dal nord Italia ci vogliono poche ore. Il passaggio in Lussemburgo è fondamentale perché da qui in avanti il contante scomparirà. Avverranno soltanto transazioni bancarie, con regolari contratti.
D. Ce le spieghi.
R. Lo schema è costruire una serie di società una dentro all’altra, sempre più pulite. La prima è la Soparfi in Lussemburgo. A sua volta, la Soparfi acquisisce una società di diritto inglese, una limited, che chiameremo DOG, con azioni al portatore.
D. E siamo a due.
R. Aspetti. Per operare, la DOG deve disporre di una linea di credito passiva presso una banca, diciamo la HSBC di Londra. Ma la HSBC non concede il credito senza una garanzia bancaria.
D. Quindi come si fa?
R. Si reperisce la garanzia sul mercato finanziario svizzero. Se ne occupano normalmente alcuni trader di Zurigo: i più affidabili sono gli ebrei. Trovano un istituto che, remunerato con una percentuale del valore della garanzia, ‘assicura’ le operazioni del richiedente, in questo caso la Soparfi.
D. Una volta trovata la garanzia?
R. Con quei soldi si capitalizza la società inglese, la DOG. La banca inglese, garantita dagli svizzeri, monetizza alla società un controvalore pari al 75% del valore facciale della garanzia. Se questa valeva 5 milioni di euro, tanti quanti sono i soldi che vogliamo riciclare, si tratta di 3,75 milioni.
D. Tutto limpido?
R. Certo, sono passaggi bancari. Ma non siamo ancora arrivati al punto. Il fulcro dell’operazione è la CAT, una terza società che viene costituita dalla DOG.
D. A cosa serve la CAT?
R. La CAT è cruciale perché ha un codice fiscale italiano, quindi può operare in Italia. Per farlo crea una quarta società, un srl. Ma ha bisogno di un rappresentante fiscale.
D. Dove lo trova?
R. È banale, normalmente basta uno studio di commercialisti. Ci vuole poi un procuratore speciale, che sarà, in questo caso, un avvocato di fiducia del cliente.
D. Ritorniamo alla CAT.
R. Giusto. La società CAT, finanziata dalla società DOG, costituisce la Pinco Pallino srl. Questa, finalmente, riceve dalla CAT i soldi per acquistare il complesso hotel più su cui il cliente aveva messo gli occhi.
D. Finisce qui?
R. Non ancora. Intanto il cliente viene assunto come direttore generale o con un ruolo simile, con uno stipendio consono, auto aziendale e tutti i benefit. Poi, bisogna considerare che la Pinco Pallino srl deve restituire il prestito alla CAT.
D. Cosa significa?
R. Che pagherà meno tasse, perché l’utile sarà defalcato della quota di restituzione. Quota, oltretutto, attestata da un contratto validato da un notaio inglese, e tradotto e controfirmato da un notaio italiano.
D. Alla fine del giro il cliente-estorsore cosa ha in mano?
R. Facciamo due conti. La garanzia bancaria ci è costata 750 mila euro, l’acquisizione della struttura 3,5 milioni. Con notai, interessi e capitale d’esercizio della società italiana Pinco Pallino srl, le spese totali sono di circa 4,7 milioni di euro. I 5 milioni di denaro sporco iniziale, di cui alla Soparfi resta ancora qualcosa per future operazioni, sono serviti ad acquistare un controvalore immobiliare di 3,5 milioni. Che nel futuro potrà generare altro denaro.
D. Tutto pulito.
R. Certo: la provenienza del denaro in tutti i suoi percorsi è certificata da una banca. I 5 milioni di provenienza illecita sono stati dimenticati, cancellati. Il cliente ha la sua struttura che gli permetterà di lavare gratis altro denaro. Avrà il suo stipendio e degli immobili da portare come asset. Avrà, infine, anche il suo carosello societario e il suo conto lussemburghese sul quale continuare a versare i frutti di altre estorsioni.
D. E il riciclatore quanto si mette in tasca per l’intera operazione?
R. Ideare il tutto mi è costato 65 giorni di lavoro. Quindi la parcella è 65 mila euro più 102 mila di spese. Totale, 167.000, da cui defalcare l’acconto di 50 mila. Il cliente salda al momento della consegna dello schema, secondo le modalità che gli vengono comunicate.
D. Lei lo segue passo passo nelle operazioni?
R. Io mi invento lo schema e trovo i contatti. Al cliente fornisco solo le indicazioni scritte su cosa fare. Praticamente, il diagramma di quello che le ho appena descritto. Le azioni al portatore delle varie società, così come i dati di contatto con i fiduciari, restano in mani sicure. Gli saranno spedite quando avrà saldato l’intera parcella.
D. Su un conto in Lussemburgo?
R. O magari versandoli a una società anonima del Liechtenstein che fornisce consulenze internazionali. Che a sua volta può essere il ramo operativo di una fondazione anonima…