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 2011  marzo 08 Martedì calendario

Compra, copia, chiudi: così la Cina ci ruba le aziende - L’attacco alle nostre imprese viene dall’Oriente

Compra, copia, chiudi: così la Cina ci ruba le aziende - L’attacco alle nostre imprese viene dall’Oriente.Dalla Cina,in parti­colare. Più che di spionaggio indu­striale, si tratta di una strategia radica­le che approfitta delle conseguenze della crisi economica: acquisire socie­tà italiane non per rilanciarle ma per carpirne il know how tecnologico e tra­sferirlo nel Paese del Sol Levante, pri­ma di chiuderle. L’allarme è arrivato all’inizio del­l’anno dal vicepresidente della Com­missione europea Antonio Tajani, ma ora questo «scenario di rischio» viene confermato dai rapporti dei nostri ser­vizi segreti. Nella relazione sull’anno 2010, presentata la scorsa settimana dal governo al parlamento,l’ intelligen­ce lo segnala al primo tra le «sfide cre­scenti ». Si denunciano, per l’esattezza, ten­tativi di «depauperare il patrimonio tecnologico e di alterare le condizioni di mercato», specialmente nei settori delle telecomunicazioni e dell’elettro­nica. Queste «minacce alla sicurezza economica nazionale e al sistema Pae­se », per i nostri 007, si fanno molto insi­diose per i pesanti strascichi della crisi economico-finanziaria, «che ha accre­sciuto la vulnerabilità del tessuto pro­duttivo ». Gruppi stranieri, sempre più asiati­ci e cinesi in particolare, avrebbero in sostanza sferrato un attacco alle no­stre imprese più appetibili, in un mo­mento in cui sono appunto indebolite dalla crisi. E queste manovre di acqui­sizione nasconderebbero, dietro il fi­ne dichiarato di un miglioramento produttivo, ben altro. I colossi cinesi si muoverebbero non per fare sani investimenti, non per risanare, rilanciare o migliorare le nostre imprese, ma per «appropriarsi del know how tecnologico naziona­le », per rubare le conoscenze accumu­­late, le abilità tecniche e trasferirle al­trove. I servizi segreti sottolineano che, di fronte ad operazioni del gene­re, esiste una particolare «vulnerabili­tà » del nostro patrimonio. Insomma, siamo pressocchè indifesi. E dalle ban­che alle biotecnologie, dell’ energia ai giochi on line , tutto è molto interessan­te per questi investitori stranieri. La relazione segnala tra gli aspetti emergenti, in particolare «il radica­mento delle aziende gestite da im­prenditori di origine asiatica, in co­stante progressione in molteplici set­tori prevalentemente capital intensi­ve ( cioè con disponibilità di grandi ca­pitali, ndr.), anche con l’obiettivo di utilizzare il territorio nazionale come polo logistico per accedere al vasto mercato europeo». Grandi capitali. Come nel caso della prima operazione che ha destato allar­me in Europa. A gennaio, infatti, nella battaglia per l’acquisizione della so­cietà olandese Draka, tra il concorren­te italiano Prysmian e quello francese Nexans è entrata a sorpresa e pesante­mente la cinese Xinmao. Gli investito­ri asiatici hanno poi dato forfait , ma il mercato è entrato in fibrillazione e al­la Commissione Ue ci si è incomincia­to a chiedere che cosa si stava muoven­do. E si è cercato di vedere chiaro nei flussi di capitali in arrivo dai Paesi ex­traeuropei, Cina in testa. A febbraio il primo a muoversi è sta­to Tajani. Il commissario Ue all’Indu­stria, con il collega al Mercato interno Michel Barnier, ha scritto una lettera al presidente Josè Barroso. «Vorrem­mo attirare la sua attenzione - vi si leg­ge- su un argomento spesso evocato dall’industria europea e cioè che alcu­ni investimenti stranieri in Europa non si propongono di risanare le no­stre imprese o di migliorarne i risultati ma piuttosto di privarle del loro know how per trasferirlo all’estero». Tajani e Barnier chiedono un dibattito in Commissione, per armonizzare il si­stema delle regole, magari creare un nuovo organismo centrale. E indica­no l’esempio di Paesi come Usa, Cana­da, Australia, Giappone, Russia, la stessa Cina, che prevedono meccani­smi di controllo ed autorizzazione de­gli investimenti stranieri per salva­guardare interessi nazionali strategi­ci. Negli stessi giorni sei ministri euro­pei, dal nostro Paolo Romani ai colle­ghi di Francia, Germania, Spagna, Po­lonia, Portogallo firmavano una lette­ra aperta dal titolo significativo: «Euro­pa aperta al mondo ma senza ingenui­tà ».