Paolo Viana, Avvenire 8/3/2011, 8 marzo 2011
LA TENUTA DI CAVOUR LASCIATA AI VANDALI
Nella sala in cui riceveva Cesare Balbo e i fondatori de Il Risorgimento hanno strappato il pavimento e c’è chi giura di aver visto le nobili piastrelle all’asta su internet. Lo studio in cui il conte s’immergeva nei disegni delle ferrovie inglesi, convinto com’era che una strada ferrata unisse i popoli meglio di un regio esercito, sono occupate da vecchi materassi, squallido giaciglio dei moderni camminanti. Addio ai marmi e agli stucchi, sbrecciati e rovinati nella polvere; delle librerie che serbavano i trattati di idraulica e la corrispondenza con i soci della Reale Accademia di Agricoltura è rimasta solo la sagoma; anche il vecchio camino che assisteva alle interminabili partite di lansquenet giace ripiegato su se stesso. Meglio, allora, non avventurarsi al piano di sopra, a curiosare nelle stanze dove l’ex ufficiale del Genio - ordinato al forte di Bard per placarne i bollori - assaporava i piaceri della provincia: non ci ferma la discrezione, semplicemente qualcuno ha portato via i gradini dalle scale.
Dopo anni di abbandono il borgo di Leri, nel Vercellese, è ridotto a un fantasma. E dire che questo palazzo assediato dalle sterpaglie e brutalizzato dai vandali è uno dei luoghi della memoria più significativi dell’unità nazionale, bellamente dimenticato dalle celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia. A rammentarci che, dove ora inciampi nelle macerie, per un quarto di secolo visse e lavorò Camillo Benso conte di Cavour, «della patria indipendenza fattore sommo», resta la lapide del Regio Ospizio di Carità di Torino. Se fosse stata di bronzo invece che di vile pietra non campeggerebbe più sulla facciata, da dove, infatti, mani ignote in una giornata nebbiosa come questa hanno asportato la targa commemorativa dell’Ovest Sesia, l’associazione di agricoltori nata per volere del conte e divenuta il primo esempio di sussidiarietà del Regno.
Cavour arrivò in questo borgo padano nel 1835, per dedicarsi all’amministrazione dei possedimenti di famiglia, disseminati tra Vercelli e Cuneo. Il paesaggio delle grange non poteva competere con quello delle Langhe, ma il conte, come scriverà il cugino William de la Rive, si innamorò di questa «natura morta e sonnacchiosa» e del «verde insalubre» dei campi di riso. «Da principio usava dire - l’agricoltura ha poca attrattiva. L’uomo abituato ai salotti prova una certa ripugnanza per dei lavori che cominciano con l’analisi dei concimi e finiscono in mezzo alla stalla... però se riesce a superare questo primo disgusto e a far seminare un campo di patate, ad allevare una giovenca, si opererà inconsciamente una trasformazione nei suoi gusti e nelle sue idee».
Quelle di Cavour erano state forgiate da un’educazione cosmopolita e dai principi del liberalismo, dall’ideologia del libero scambio e del progresso, e non tardarono a manifestarsi anche a Leri, trasformando l’antica grangia dei cistercensi in un laboratorio in cui sperimentare le nuove tecniche agrarie e dare basi concrete a un futuro governo liberale, che il futuro padre della Patria allora vagheggiava sul modello di Guizot.
Nella prima metà dell’Ottocento, quindi in piena rivoluzione industriale, la ricchezza delle nazioni e le ambizioni delle case regnanti poggiavano sulla proprietà fondiaria e la produttività agricola era ancora una leva decisiva. Benso, che aveva frequentato i milieu liberali di Parigi e i club radicali di Londra, ma soprattutto le migliori università europee, nel 1836 introdusse nelle terre d’acqua la prima trebbiatrice meccanica, come ricorda l’agronomo vercellese Giuseppe Sarasso: «era amico di Liebig, fondatore della fertilizzazione moderna, e sperimentò l’uso del guano, allora sconosciuto, con ottimi risultati».
Per il conte, gli investimenti nella tenuta risicola non rappresentavano un semplice business: «Ho la consolazione di aver introdotto l’uso del guano nel Vercellese - scrisse - .
Se potessi ancora farvi penetrare il drainaggio in allora crederei di aver ben impiegato la mia vita». Disegno che riuscì a realizzare prima di diventare primo ministro, dotando l’azienda di una rete di tubature di terracotta che risolsero i problemi di impaludamento.
Se a questo punto restassero dei dubbi sul ruolo storico di questo laboratorio a cielo aperto - essendo ormai acclarato quello dei vigneti di Grinzane, dove il conte acquisì le competenze che gli permisero, una volta divenuto ministro dell’agricoltura, di debellare l’oidio della vite e salvare la produzione piemontese - basterebbe ricordare che le esperienze condotte nelle campagne vercellesi si sono tradotte, a pochi chilometri di distanza, nella costruzione del canale intitolato all’uomo politico piemontese, un’opera di altissima ingegneria idraulica che distribuisce tra Piemonte e Lombardia le acque della Dora Baltea. Il canale Cavour fu realizzato solo dopo la sua morte, provocata nel 1861 dalla malaria contratta nell’amata Leri, che ormai dava «ricchezze dieci volte raddoppiate», a loro volta «risultato di quindici anni di lotta incessante contro la terra, contro l’acqua, contro i pregiudizi, contro la febbre». Come diceva il cugino, infatti, Santena era il castello di famiglia, ma Leri era «sua opera e sua conquista». Qualche mese fa, i carabinieri di Trino Vercellese hanno arrestato tre giovani che rubavano i mattoni del suo piccolo cimitero.