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 2011  marzo 08 Martedì calendario

8 MARZO L´INGOMBRANTE D´AZEGLIO E I DUBBI SU ROMA CAPITALE

Perché dovrà essere Roma, sia pure in futuro, la nostra Capitale? Perché non farne una città libera, retta da un Senato elettivo e lasciarla sotto l´egida del Papa? Ci siamo fatti convincere da quel pericoloso idealista che è Giuseppe Mazzini? E quando ci decideremo a farci dire semplicemente dai napoletani se ci vogliono o ci rifiutano come loro governanti? Possiamo limitarci a guardarci le spalle da loro, diffidando dei borbonici, dei preti e degli apprendisti briganti che fra loro si annidano e tenendoli nel mirino dei nostri fucili?
Se lo domanda, a sorpresa, un celebre personaggio della politica piemontese, Massimo d´Azeglio, primo ministro fino alla metà di questo nostro secolo, quando Cavour ne prese il posto. Ora che ha raggiunto i sessantratré anni, dodici di più del Conte-presidente, ed è da tempo distaccato dalla politica attiva, non per questo risultano trascurabili i quesiti che egli pone nel suo libro recentissimo, intitolato Questioni aperte. Appaiono invece irritanti, quelle "questioni", per poco che si penetri sotto la scorza di una esibita riverenza nei riguardi di un padre della patria. Non si trova in definitiva, nei recinti del governo, chi osi dare senz´altro torto a un personaggio così ingombrante. Meglio fingere di discuterne le ragioni. Per spiegare l´avversione a Roma del nobile d´Azeglio - il quale, anche romanziere e pittore, ha frequentato il cenacolo del celebre Alessandro Manzoni e ne ha sposato la figlia Giulia - c´è chi ricorda che egli visse lunghi anni a Roma e ne sperimentò da giovane virtù e vizi, specie i secondi. Si può capire che sia rimasto scottato dal dominio confessionale e da una speciale dissipazione che gli si accompagna. A dimostrare che si tratta di un autentico patriota valgono comunque i suoi romanzi, da Ettore Fieramosca a Niccolò dei Lapi. Ma soprattutto - così sottolinea L´Opinione, che sembra un foglio redatto in consiglio dei Ministri - Massimo d´Azeglio è un uomo roso dai dubbi: basti pensare al fatto che ha paragonato la recente conquista garibaldina del Sud d´Italia a un giorno infausto per il Piemonte e per l´Italia, cioè alla tragica sconfitta subìta a Novara dall´esercito di re Carlo Alberto nel 1849 ad opera di Radetzky. Un pessimista esagerato, quel d´Azeglio, un maldicente recidivo. Non esiste, ad esempio, un suo amico o confidente che non l´abbia sentito affermare che Garibaldi è in fondo un brav´uomo di scarso ingegno. Quale antidoto somministrare ai suoi difetti? La ricetta è: concedergli doverosamente la parola ma non star molto ad ascoltarlo. A «questioni urgenti», come le chiama lui, risposte tiepide.
Tutt´altro che tiepido è invece il dispaccio che il cardinale Giacomo Antonelli ha appena indirizzato a monsignor Meglia, incaricato d´affari della Santa Sede a Parigi. Vi si commentano alcuni rilievi emersi nel Parlamento francese intorno al fatto che il Vaticano non ha messo mano ad alcuna riforma per rendere meno inattuale il proprio regime e meno utopistico il proposito di conservarlo inalterato. Scartando ogni bersaglio intermedio, il ministro degli Esteri di Pio IX si rivolge direttamente a Napoleone III, senza timore di indispettirlo. All´Imperatore dei francesi manifesta il proprio astio nonostante le buone intenzioni di quest´ultimo di proteggerne le residue frontiere, e gli rimprovera di non aver mai seriamente contrastato le mire espansionistiche del Piemonte. E qui si abbandona a un parallelo storico che intende essere severo. Il termine del raffronto è Carlomagno. Altro che Napoleone III! Lui sì, il re dei Franchi, mille anni fa, fu davvero grande per «aver liberato e dilatato i domini della Santa Sede. Essi erano allora, proprio come accade oggi, assaliti e invasi da un re longobardo che anelava al possesso dell´intera Italia. Non basta: egli consolidò la sovranità pontificia su basi granitiche, e la fece riconoscere dall´Europa». L´unico commento emerso dagli ambienti governativi francesi, per altro tutt´altro che concordi fra loro a proposito della questione romana, è che la Santa Sede conferma di vivere - e questo è lo scoglio più imbarazzante per la diplomazia - in un eterno presente.
Il presente, non eterno, ma continuamente aggiornato: ecco che cosa la politica insegna anche a chi non la segue e la pratica con continuità. I giornali hanno preso a riportare, per intero o in estratto, i bollettini della Borsa, cercando di estenderne le nozioni ai lettori che - si legge nell´ultimo Almanacco illustrato - «non hanno sufficienti cognizioni commerciali ed economiche per carpirne il significato». Noi, dichiarano i redattori, «quantunque a nostra volta estranei al commercio, cercheremo di darne brevi schiarimenti. Basti sapere che, con il nome di Borsa s´intende un luogo dove si adunano nelle città commerciali i Banchieri e altri speculatori per comprare e vendere Cambiali, effetti pubblici e industriali». Così, per esempio, «il Bollettino della Borsa di un luogo qualunque ci si dà la notizia di quanto occorre versare in quel luogo perché sia pagata una data somma in altri luoghi».
Usano metodi molto più spicci i ladri che infestano Napoli. Si nascondono e si travestono per riuscire meglio a confondere le guardie. «Taluni s´imbacuccano anche tra vesti da donna», scrive L´unità italiana. Ieri, all´una di notte, nella strada dell´Arcivescovado un picchetto ne ha sorpresi tre: due in abiti femminili e uno con in testa il kepi della guardia nazionale. Nel Veneto invece continuano i tentativi di fuga all´estero. A Occhiobello sul Po quattro giovani sono stati fermati e condotti in carcere a Rovigo: stavano tentando di passare il confine.