
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Altri due soldati italiani sono morti in Afghanistan, in un attentato simile a tanti altri. Una colonna di automezzi, formata da italiani, spagnoli, afgani e americani (400 uomini in tutto), è partita da Herat col compito di bonificare la pista e di portare rinforzi alla base di Columbus. L’esplosione è avvenuta a 25 chilometri da Bala Murghab. Il nostro autoblindo era in quarta posizione. Hanno perso la vita il caporalmaggiore Luigi Pascazio, da Grumo Appula, 25 anni, e il sergente maggiore del Genio Guastatori Massimiliano Ramadù, 33 anni, da Velletri (Roma), sposato dallo scorso luglio con Annamaria Pittelli, di 31 anni, con cui viveva a Torino. Pascazio era alla sua quarta missione, e aveva cominciato come volontario, passando poi a effettivo per meriti conseguiti sul campo. Ramadù aveva saputo che sarebbe partito per l’Afghanistan alla fine dell’anno scorso: poco prima della trasferta aveva portato la moglie a trovare i suoi a Velletri. L’esplosione ha ferito altri due nostri soldati: Gianfranco Scirè, 28 anni, che viene dalla provincia di Palermo, e Cristina Buonacucina, caporale di 27 anni, da Foligno. Non sono in pericolo di vita. Le salme di Pascazio e Ramadù saranno rimpatriate domani. I due feriti, che sono statio ricoverati all’ospedale da campo di Herat, rientreranno in Italia appena possibile.
• Avevo capito che i nostri blindati erano stati rinforzati proprio per resistere allo scoppio di questi ordigni non convenzionali (ied).
Quando a settembre ci fu l’ultima strage di italiani, si scatenò un forte dibattito sulla sicurezza dei mezzi Lince, la cui corazzatura blindata pareva ormai inadeguata alla potenza degli attacchi. Commentò un ufficiale: «E’ l’eterna storia degli armamenti: la rincorsa infinita fra la lancia e lo scudo. Quando lo scudo diventa più robusto e protettivo, anche la lancia diventa più pesante, più affilata. Serve una difesa ancora maggiore, che verrà superata poi con un attacco più efficace». Sull’attentato di ieri: «E’ una macchina da sette tonnellate. Hanno usato una quantità di esplosivo abnorme». Secondo un rapporto del Pentagono diffuso agli inizi di marzo, le bombe artigianali preparate dai talebani con fertilizzante “arricchito” (sfugge a gran parte degli apparati anti-ordigni ed è facile da trovare) negli ultimi tempi hanno aumentato la loro potenza del 50%: nel solo mese di marzo hanno causato alla coalizione internazionale 22 morti e 241 feriti, e sarebbe andata molto peggio se 989 ordigni non fossero stati scoperti e disinnescati. La vulnerabilità delle truppe alleate è accresciuta dalla scarsità delle strade, che rende prevedibili le rotte delle truppe alleate.
• Quanti sono, a questo punto, i nostri morti in Afghanistan?
Venticinque. Diciassette sono rimasti vittime di attentati. Cinque di incidenti. Tre di malori. Con la morte dei due italiani, sono 200 i militari della coalizione internazionale che hanno perso la vita dall’inizio dell’anno. Secondo i dati ufficiali che affluiscono sul sito www.icasualties.org, dall’estate del 2009 ogni giorno vengono uccisi in Afghanistan da uno a due soldati. Ignazio La Russa, il nostro ministro della Difesa, dice che l’Italia «in rapporto al numero dei militari è forse il Paese che ha avuto meno perdite in assoluto». Il nostro ministero della Difesa sottolinea che l’attentato è stato compiuto contro una colonna multinazionale, dunque non era specificatamente diretto contro di noi.
• Quali compiti hanno adesso gli italiani?
Gli italiani hanno la responsabilità di un’ampia regione dell’Afghanistan che comprende le province di Herat, Baghdis, Ghowr e Farah. Ci sono adesso 2.800 nostri militari laggiù, che diventeranno 3.800 nel quadro dei rinforzi decisi dalla Nato su impulso di Obama. I nostri vengono da marina, aeronautica, guardia di finanza e carabinieri e dovrebbero rimanere in Afghanistan fino al 2013, però cominciando a ritirarsi fin dall’anno prossimo, nel quadro del disimpegno deciso dalla Casa Bianca a partire dal 2011.
• Ha senso restare laggiù fino a quella data? Non sarebbe il caso di ritirarsi prima?
Berlusconi, saputo dell’attentato di ieri, ha subito ribadito la necessità della nostra missione per il mantenimento della pace. Frattini ha detto che non si parla di ritiro, Bossi è d’accordo, ma Calderoli ha dubbi sulla possibilità di esportare la democrazia, Bersani, in una dichiarazione assai prudente, invita a riflettere sul senso della nostra missione, Di Pietro vuole un dibattito in Parlamento e ritiene non più attuale la nostra presenza laggiù.
• E’ previsto qualcosa, una controffensiva?
Gli americani hanno rinforzato il contingente a dicembre. Un’offensiva contro Kandahar, santuario dei talebani, è prevista per il prossimo giugno. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/5/2010]
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