Massimo Marottoli*, La Stampa 18/5/2010, pagina 45, 18 maggio 2010
IL RUOLO DEI VALDESI NELL’UNITA’ D’ITALIA
Caro Direttore,
ho apprezzato molto l’articolo del priore di Bose Enzo Bianchi sulla Bibbia, apparso nei giorni scorsi su Tuttolibri. Egli riconosce con rara onestà intellettuale il ruolo che la chiesa cattolica romana ha giocato nel rallentamento della diffusione della lettura della Bibbia in lingua corrente o volgare in Italia (a differenza dei Paesi di matrice protestante che, pur secolarizzati quanto e forse più del nostro, sono tuttavia stati permeati da una conoscenza del testo biblico, da cui hanno tratto ispirazione e nutrimento socioculturale: si pensi solo ai grandi filosofi tedeschi - da Kant a Hegel ecc - o, più recentemente a Bergman, nel cinema, o a Lagerkvist, nella letteratura).
Manca a mio avviso un punto importante, proprio mentre si (cerca di) celebrare il 150° dell’Unità d’Italia: non si può dire che è solo grazie al Concilio Vaticano II che «quegli anni possono essere ricordati come l’inizio della fine dell’esilio della parola di Dio dalla vita e dalla spiritualità dei cattolici italiani».
Ricordiamolo, ai nostri concittadini, che i protestanti - impegnati attivamente nei movimenti risorgimentali, dopo aver acquisito i diritti civili come italiani a tutti gli effetti solo nel 1848, insieme agli ebrei - hanno con fortissimo impulso cercato di diffondere il testo biblico e la sua conoscenza ritenendo che fosse importante nella formazione culturale e civile dei cittadini del nuovo Stato unitario.
Per fare solo un esempio, alla breccia di Porta Pia (1870) i colportori evangelici (ovvero, coloro che erano addetti alla distribuzione delle Bibbie, prima di nascosto - camuffandole sotto altra merce posta in vendita -, poi sempre più alla luce del sole..) venivano trucidati dalle truppe dello Stato Pontificio. Spesso si dimentica infatti che prima dell’Unità nazionale la predicazione evangelica e la stessa diffusione della Bibbia erano vietate e represse in tutto il Sud borbonico così come negli ampi territori sotto il dominio temporale del papa, e che la prima Bibbia in lingua italiana è stata tradotta proprio da un protestante, Giovanni Diodati.
Del resto, i pochissimi protestanti italiani rinchiusi prima del 1848 nelle cosiddette «valli valdesi» del Pinerolese avevano, già in tempi pre-risorgimentali e a prescindere dal loro status sociale (erano quasi tutti contadini...), un tasso di alfabetizzazione notevolmente superiore a quello di qualsiasi altra regione italiana, proprio perché cultura biblica e formazione di base erano strettamente legati, la seconda era necessaria alla prima. E non è un caso che, da due versanti diversi, il teologo valdese Paolo Ricca e lo storico Alberto Melloni abbiano riconosciuto il contributo protestante allo sviluppo del cristianesimo e l’utilità della Riforma per il cattolicesimo italiano stesso, anche e proprio attraverso l’educazione alla lettura biblica, altrimenti persa nel cristianesimo cattolico romano.
Chiudo rinnovando il plauso a Enzo Bianchi per la prima parte del suo articolo ma pregandola di pubblicare questa mia lettera, a beneficio di tutti coloro che - cattolici e non, credenti e non - abbiano a cuore la verità: il protestantesimo italiano, pur soffocato dalla repressione, ha dato comunque un importante contributo, di sangue e di impegno, non solo alla formazione dello Stato italiano ma anche a quello che Enzo Bianchi chiama il «rinnovamento radicale della predicazione in senso evangelico e scritturistico».
Rimane solo da chiedersi come mai si parli anche qui, da parte di un cattolico italiano, della «Bibbia come grande assente dalla scuola» quando da sempre esiste un’ora di insegnamento della Religione Cattolica, confessionale e - appunto - chissà perché non biblico. Da recenti ricerche Eurisko è infatti stato evidenziato come la stragrande maggioranza dei nostri concittadini conosca così poco la Bibbia (e la storia delle religioni) da «non saper nemmeno porre in ordine cronologico corretto Abramo, Mosè, Gesù e Mohammad» (Maometto, nell’indagine citata). Un’evidente e grave lacuna culturale, per una popolazione chiamata al dialogo e all’integrazione.
*Pastore valdese ad Alessandria