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 2010  maggio 18 Martedì calendario

GLI STIPENDI DA TAGLIARE SUBITO

LA CORTE DI NAPOLITANO COSTA 240 MILIONI PER I PARLAMENTARI PAGHIAMO 1,2 MILIARDI-
Quirinale, Senato, Camera, Regioni, Province e Comuni. Nel lungo, lunghissimo elenco dell’Italia politica i costi non sono una variabile ma una certezza. A partire dal colle più importante della Repubblica. Nell’ex palazzo dei Papi la corte è sempre folta e nutrita. Nel 2009 secondo quanto reso noto dal segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra i dipendenti erano 1.879. Un vero e proprio esercito tra dirigenti (74), impiegati di concetto (109), esecutivi (213) e ausiliari (483). E poi c’è la brigata dei distaccati e quelli a contratto (97) e il personale di sicurezza, polizia e carabinieri (903). Se è vero che dal 2006 l’esercito di Napolitano è stato sfoltito di ben 302 unità, è altrettanto certo che nel 2010 il sommo colle tornerà ad assumere con regolari concorsi pubblici. Morale: la spesa dell’anno scorso per mantenere il Quirinale è stata di 236,9 milioni di euro (228 milioni al netto delle ritenute previdenziali). E già va bene visto che sono stimati risparmi di spesa per 3,2 milioni.
La musica non cambia, anzi peggiora, se andiamo ad esaminare quanto costano Camera e Senato. Per tenere in funzione Montecitorio spendiamo circa 1,2 miliardi l’anno. E i piani di contenimento hanno fruttato risparmi per pochi milioni. A Palazzo Madama i senatori, invece, se la devono cavare con 521 milioni, ma qui il numero di politici è quasi dimezzato rispetto alla Camera. Anche chi riesce ad agguantare uno scranno governativo non può certo lamentarsi: un ministro parlamentare porta a casa annualmente tra i 98mila e i 104mila euro. Dipende se deputato o senatore. Poco più di un quadro della pubblica amministrazione guadagna, invece, il ministro non eletto in Parlamento (63mila euro), mentre un sottosegretario farà bene a gestire ocolatamente i 56mila euro che gli spettano. E se pure il Parlamento votasse la riduzione del 5% delle spettanze il risparmio sarebbe di poco meno di 170mila euro. Inezie visti i numeri globali.
E non finisce qui. Infatti bisogna mettere in fila le compagnie regionali, provinciali e comunali. Gli assessori regionali dalle Alpi alla Calabria costano quanto se non più di un parlamentare. Ma con delle differenze notevoli: in Calabria, infatti, il governatore incassa 9.842 euro, mentre in Basilicata ne percepisce ”appena” 5.279. I componenti della giunta regionale non possono certo lamentarsi: in Campania incassano 11.261 euro, mentre in Umbria 3.499 euro.
Vogliamo esaminare le Province? A parte il fatto che dovevano essere abolite (come da programma) e invece sono tutte vive e vegete. E che si litiga più su come inaugurarne di nuove che sul come eliminarle. Al momento sono 109 ma se fossero state approvate tutte le richieste sarebbero ben 134. Stante il centinaio di province attive i consiglieri sono 2.900: 900 gli assessori, 50 tra presidenti e vice. Le indennità ammontano complessivamente a 119 milioni. Ma sicuramente qualche spicciolo ci sarà sfuggito da questo conteggio impossibile...
AN. C.

PER I GIUDICI 100.000 EURO NETTI UN TRATTAMENTO DA RE IN EUROPA-
«Tra i magistrati ci sono stipendi che sono assolutamente corretti e altri che invece sono troppo alti. Non ce la possiamo prendere con gli stipendi bassi». Roberto Calderoli insiste: oltre ai politici, devono stringere la cinghia anche le toghe. I cui emolumenti, non a caso, «sono collegati a quelli dei parlamentari». Un concetto ribadito ieri anche da Umberto Bossi, il primo a tirare in ballo giudici e sostituti procuratori: «Se c’è da pagare, devono farlo tutti. Ed è giusto che anche i magistrati diano una mano».
L’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe, è subito salita sulle barricate. «Un giudice guadagna meno di un commesso della Camera e meno di un portaborse di un parlamentare», ha messo le mani avanti Giuseppe Cascini, il segretario generale. Ma i numeri presenti nell’ultimo rapporto elaborato dal Cepej, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia, organismo del consiglio d’Europa, raccontano un’altra storia. Ovvero che i nostri magistrati, messi a paragone con i loro colleghi europei, sono tra quelli che guadagnano di più.
Prendiamo ad esempio il salario medio lordo dei giudici e dei pubblici ministeri. Gli italiani, con 122.278 euro, se la passano meglio di spagnoli (115.498 euro); francesi (105.317) e tedeschi (86.478). Quanto agli importi netti, giudici e pm italiani si mettono in tasca ogni anno 100.405 euro contro i 90.087 del collega francese, i 72.764 dello spagnolo e i 60.184 del belga.
La musica non cambia se si prende a riferimento il grado più elevato della magistratura giudicante e della pubblica accusa: le toghe italiane arrivano sempre prima, quanto a compensi, di quelle spagnole, francesi e tedesche. In Europa, solo in Lussemburgo, Svizzera e Regno Unito le toghe incassano di più.
Va appena peggio ai giovani magistrati. Perché è vero che all’inizio della carriera giudici e responsabili della pubblica accusa italiani, con i loro 37.454 euro annui, guadagnano meno di spagnoli (45.230) e tedeschi (38.829), ma i nostri se la passano pur sempre meglio dei francesi, che si portano a casa 35.777 euro.
Numeri grazie ai quali la spesa sostenuta dall’Italia per il mantenimento del ”sistema giustizia” in Europa è seconda, sempre per il Cepej, solo a quella della Germania. I tedeschi, infatti, in termini assoluti spendono 8.731.000.000 euro, gli italiani 4.088.109.198 euro.
Poi c’è il capitolo degli incarichi extra-giudiziari. Nonostante le lamentate carenze d’organico (1.131 posti scoperti su un totale di 9.579 magistrati in servizio), sono 277 i magistrati collocati fuori ruolo. Ovvero distaccati in Parlamento, Corte costituzionale, ministeri e organismi internazionali e diplomatici.
TOM.MON.


METTERE A DIETA I GRANDI BUROCRATI FAREBBE RISPARMIARE 3 MILIARDI-
Tagliare gli stipendi ai boiardi di Stato. Tentazione ricorrente. L’ultima volta ci ha provato Elio Lannuti (Idv). E’ riuscito, per qualche ora, a far passare un emendamento che metteva un tetto di 289 mila euro ai manager di aziende pubbliche o comunque partecipate dallo Stato. Poco più di una mancia per Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs che, annualmente, si porta a casa 2,5 milioni. Per non parlare di Fulvio Conti, capo dell’Enel (2,6 milioni). Quasi un’offesa per il boss dell’Eni, Paolo Scaroni (4,27 milioni). Nel caso dei due gruppi energetici applicare l’emendamento sarebbe stato comunque molto complicato trattandosi di aziende quotate in Borsa dove la presenza pubblica non supera il 30%. In ogni caso la proposta di Lannuti è stata bocciata in seconda lettura e fine della storia.
La tentazione, però, resta. Si era manifestata per la prima volta in maniera molto nervosa quando si era scoperto che Giancarlo Cimoli, dopo la disastrosa gestione dell’Alitalia, aveva ottenuto una liquidazione di cinque milioni da aggiungere allo stipendio annuale di 2,8 milioni. Per non parlare di Elio Catania (attuale capo dell’Atm di Milano) che, per i due anni trascorsi alla testa delle Fs aveva incassato, complessivamente, tredici milioni. Stipendi che l’opinione pubblica aveva giudicato scandalosi. Non solo per il loro ammontare ma soprattutto per la scarsa qualità dei risultati ottenuti.
Tuttavia si tratta di casi clamorosi ma isolati. La falce di Tremonti non potrebbe abbattersi su di essi ma sui papaveri della burocrazia. Al top c’è il Presidente della Corte di Cassazione che gode di un appannggio di 289 mila euro l’anno (poco più di ventimila euro al mese cui aggiungere tredicesima e indennità varie). La sua busta paga è il ”pivot” su cui gira il sistema. Compresi gli stipendi dei parlamentari. Nessun dipendente dello Stato può guadagnare di più. I 165 mila dirigenti della burocrazia pubblica stanno sotto. Alcuni di un gradino. Altri di un intero grattacielo. Abbastanza vicini sono i capi dipartimento dei ministeri (236.300 mila euro l’anno). Tanto per avere un’idea Antonio Manganelli, capo della Polizia. Gli altri vanno a calare. Mediamente i dirigenti statali guadagnano 72 mila 400 euro l’anno. Se venisse tagliato il loro stipendio del 5% si risparmierebbero, complessivamente 687 milioni. Non moltissimo su una manovra da 27 miliardi. Uno specchietto per le allodole politicamente corretto. Il risultato sarebbe molto più corposo se il taglio fosse esteso a tutti i dipendenti pubblici. Il tesoretto di Tremonti salirebbe a 3,1 miliardi. Un successo. Peccato solo che, come risultato, Roma finirebbe a ferro e a fuoco come Atene. Che bizzarrìa. Le capitali dell’antichità unite dalla medesima protesta sociale. Quanti scherzi combina la Storia.
NINO SUNSERI

TUTTI GLI SPRECHI DI VIALE MAZZINI SOLO PER IL CDA VANNO VIA 4 MILIONI-
A voler tagliare, in Rai, si farebbe presto.
Usando le forbici da giardiniere, si potrebbe dare una bella sfoltita alla direzioni, distribuite fra viale Mazzini, Saxa Rubra e le aziende consociate. Ad oggi sono 54 le strutture rette da un presidente o da un direttore che fanno capo al direttore generale Mauro Masi. ”Potare” il 20% di queste poltrone produrrebbe un bel risparmio. Perché ad ogni direttore corrisponde una segreteria, con due o tre dipendenti, una macchina di servizio, un ufficio arredato. Insomma, costi su costi.
Se poi la forbice venisse usata per limare i contratti delle star della tv di Stato e delle società di produzione, le quali vendono alla Rai i cosiddetti ”format” (parola tonda e criptica dietro la quale si celano i programmi mandati in onda), il risparmio sarebbe addirittura più che consistente. Un primo passo potrebbe essere rappresentato dall’operazione trasparenza, fortemente voluta dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, e dal direttore generale della tv di Stato, che potrebbe essere operativa a breve. Grazie a questa intesa nei titoli di coda dei programmi verranno inseriti i compensi dei conduttori, che non sono mai inferiori ai 500mila euro, e il costo di produzione. Il telespettatore, in questo modo, potrà rendersi conto come vengono spesi il soldi del canone.
Ma i tagli sono possibili anche all’interno dell’azienda. Prendiamo il settimo piano di viale Mazzini, laddove hanno gli uffici il direttore generale, il presidente del consiglio di amministrazione, Paolo Garimberti, e gli otto consiglieri. Solo i loro compensi costano alla Rai più di quattro milioni di euro all’anno, a cui vanno sommate le spese. Che non sono poche. La parte del leone spetta al direttore generale, con un compenso lordo pari 730mila euro, mentre Garimberti ne percepisce 550mila. Ai consiglieri va un emolumento medio di circa 350 mila euro.
Ma se tagliare al vertice è difficile, visto che la legge che imponeva un tetto per gli stipendi dei manager è stata ampiamente bypassata, margini di manovra ci sarebbero per le altre direzioni. Fra direttori di testata e direttori di rete, sei in tutto, il monte salari si aggira attorno al milione e mezzo di euro all’anno. Stipendi limabili, soprattutto alla voce «benefit» ed «extra». E margini di manovra ci sono anche fra i capiredattori, seimila euro al mese è la media, gli inviati, che possono arrivare ad ottomila, e i conduttori, che lavorano, materialmente, una settimana al mese. Certo in Rai non è tutto oro quel che luccica, tanto che Stefano Campagna, redattore del Tg1 e conduttore dell’edizione della notte, l’operazione trasparenza l’ha già fatta, attaccando nella bacheca della redazione la sua busta paga. 3.200 euro al mese. Un taglio al vertice, tutto sommato, non sarebbe male.
ENRICO PAOLI