
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Mettiamo insieme un po’ di notizie. Nel 2009 c’è stata l’inflazione più bassa degli ultimi cinquant’anni, un impercettibile +0,8%. I saldi stanno andando benissimo, c’è l’assalto con file in certi casi anche di chilometri. Il Corriere ha rivelato, con un’inchiesta molto bella, che a Milano si butta ogni giorno una quantità impressionante di pane. Le stime sull’andamento del 2010 prevedono comunque un anno mediocre, per colpa soprattutto dei consumatori americani che hanno smesso di comprare.
• Sono tutte notizie di economia, ma in che senso sono imparentate?
Hanno tutte a che vedere col nostro modo di consumare. Prendiamo l’inflazione. L’Istat, nel comunicarci il dato medio, ci dice che sono un po’ aumentati i prezzi di bevande alcoliche, tabacchi, ricreazione, spettacoli e cultura e un po’ diminuiti i prezzi per la comunicazione, la casa, l’acqua, l’elettricità, i combustibili, i ristoranti. L’insieme ci mostra un mercato con i prezzi sostanzialmente fermi. Come mai? La domanda è legittima perché le banche centrali, come sappiamo, hanno inondato il mercato di liquidità, cioè di soldi, e in genere annegare il mercato nei denari provoca subito un aumento di prezzi. Al punto che si considera l’inflazione come legata alla quantità di denaro circolante, che, quasi sempre, significa anche legata all’aumento dei prezzi. Ora invece il denaro è molto, ma da un lato sta fermo nelle banche che non lo fanno circolare. E dall’altro sta fermo nelle case delle famiglie, che hanno poca sicurezza sul futuro e non spendono. Quindi la bassa inflazione è un effetto della domanda depressa. Consumiamo poco, per la logica del sistema.
• Specialmente negli Stati Uniti?
Specialmente negli Stati Uniti. E il calo della domanda americana è particolarmente grave: il consumatore Usa muoveva, secondo gli economisti, il 25% del Pil mondiale. Se gli americani hanno smesso di comprare (e hanno smesso, e si teme che non ricominceranno prima di quattro-cinque anni, se mai ricominceranno), i nostri sistemi industriali dovrebbero orientarsi a soddisfare più la domanda interna che quella estera. Una riconversione mica da ridere e di cui, comunque, non si vedono i primi passi.
• E gli sprechi del pane? Di che si tratta?
Il Corriere ha scoperto che nella sola Milano fornai e negozi buttano via ogni giorno 180 quintali di pane, che non sono riusciti a vendere. E le famiglie fra i 130 e i 150 quintali di pane che non sono riuscite a mangiare. Quindi, mentre la domanda è in calo, i cittadini si permettono ancora di sprecare un bene essenziale. Contraddizione della società capitalistica: il modo per riutilizzare quel pane – per esempio raccogliendolo e distribuendolo a chi ha bisogno – ha dei costi che nessuno si vuole caricare. Intervengono i volontari, ma rappresentano un recupero minimo. Moltiplichi quel numero per il resto del Paese: il Corriere ha calcolato uno spreco di 5.250 quintali al mese. Questo significa che non solo le aziende devono riorientare la commercializzazione dei loro prodotti, ma che anche noi dobbiamo in qualche modo cambiare il nostro modo di consumare. Avere la crisi e gli sprechi fa pendant con l’avere molto denaro e i prezzi bassi. È tutto il sistema che ha un’aria demenziale.
• Ma perché il pane viene buttato via? Non si potrebbe riciclare in qualche modo, che ne so, mangime per le galline, oppure tenerlo surgelato e venderlo man mano che i clienti lo chiedono…
Il Corriere ha interrogato su questo punto il presidente del panificatori milanesi aderenti a Confcommercio. Si chiama Antonio Marinoni: «Il fatto è che non si possono mescolare diversi tipi di pane perché i mangimi devono mantenere determinati valori nutrizionali. E così, in teoria, prima del conferimento ai consorzi bisognerebbe dividere il pane comune da quello all’olio, e così via separando». Il che significa costi, e costi non da poco, visto che il lavoro andrebbe fatto manualmente. L’idea più giusta, in questa materia, sarebbe forse quella di dimezzare i prezzi dopo le 18.30. Ma non è detto: quanti, a quel punto, aspetterebbero l’intera giornata prima di fare la spesa? Con questi interventi bisogna stare attenti, perché il mercato è sempre molto flessibile e già a breve termine è capace di modificarsi secondo le convenienze.
• Quindi, l’unica notizia sensata è quella dell’assalto ai negozi che stanno praticando i saldi?
Sì, qui la domanda è stata robusta. 3-400 euro di spesa a testa, migliaia di persone in strada, vigili urbani mobilitati. I commercianti, ancora alla vigilia, dicevano che sarebbe stato meglio partire il 20. Invece… [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 5/1/2010]
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