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 2010  gennaio 05 Martedì calendario

Buenos Aires storie - IL segreto di Marcela e Felipe figli ma di chi? Hanno 33 anni, sono destinati a guidare il gruppo editoriale Clarín, il più poderoso della Argentina

Buenos Aires storie - IL segreto di Marcela e Felipe figli ma di chi? Hanno 33 anni, sono destinati a guidare il gruppo editoriale Clarín, il più poderoso della Argentina. «Abbandonati» e adottati nel ’76 da Ernestina, la vedova del fondatore. Ma il sospetto (ormai una certezza) è che siano figli rubati ai desaparecidos Marcela e Felipe Noble Herrera sono destinati - anzi sarebbero destinati - a due delle poltrone più prestigiose dell’Argentina. Loro sono i presunti figli adottivi di Ernestina Herrera de Noble, l’anziana proprietaria del Gruppo Clarín, l’impero mediatico dominante nel paese. Però su di loro grava un’incognita, forse una verità che inesorabilmente si avvicina. Dopo anni di rinvii, nell’ultima settimana del 2009 la giustizia ha ordinato a Felipe e Marcela di sottoporsi ai test del Dna poiché esistono fondati sospetti che questi due ragazzi di 33 anni siano in realtà figli di desaparecidos. La storia dura ormai da trent’anni, e racconta di denunce per estorsione che Clarín avrebbe presentato contro le Nonne della Piazza di Maggio, una incessante battaglia giudiziaria che ha portato alla destituzione di un giudice, l’apparizione di falsi testimoni e certificati d’adozione apocrifi. Tutto cominciò sottovoce, senza arrivare a occupare neanche una riga sui giornali per due decenni. Se la giustizia cessasse di boicottare il caso, la biologia potrebbe portare a un risultato clamoroso in poche settimane. Il Gruppo Clarín, che pubblica il secondo quotidiano di maggior tiratura in lingua castigliana nel mondo e possiede un gigantesco conglomerato di stampa scritta, tv in chiaro e via cavo, internet, compagnie produttrici, radio e agenzie di notizie, sta facendo valere da anni tutto il suo potere di fuoco per evitare i test Dna che, durante i più di due decenni dalla fine della dittatura militare del ’76-’83, hanno permesso l’identificazione e restituzione di cento figli strappati neonati alle loro madri prima di caricarle su un «volo della morte». La battaglia giudiziaria, dall’esito ancora non risolto, in questi giorni presenta un dettaglio tecnico ma cruciale. Dopo aver subito un ammonimento ufficiale da una corte di livello superiore per avere fatto «dormire» il caso, Conrado Bergesio, giudice federale di San Isidro - un municipio di lusso della Gran Buenos Aires - è stato obbligato dopo dieci anni di letargo ad accelerare i test Dna. Bergesio ha ordinato quindi il prelievo di campioni di sangue d’accordo con i due ragazzi, ma in una clinica privata e per metterlo a confronto solo con i dati genetici di due famiglie di desaparecidos che avviarono la causa nel 1999: i Lanuscú-Miranda e i Gualdero-García. Il prelievo del sangue di Felipe e Marcela è stato effettuato martedì scorso. Le Abuelas de la Plaza de Mayo definiscono «illegale» questa restrizione ed esigono che tutta l’operazione sia a carico del Banco Nacional de Datos Genéticos (BNDG), creato apposta per la restituzione della identità biologica alle vittime della dittatura, e che i test ematici dei due ragazzi siano confrontati con quelli della 500 famiglie di desaparecidos conservati nella Banca. Forse per evitare una denuncia contro di lui, il giudice Bergesio ha poi preso un provvedimento che ha lasciato sconcertati gli avvocati del Clarín, fino ad allora soddisfattissimi del suo modo di portare avanti il caso. Mercoledì scorso ha ordinato una perquisizione improvvisa in casa di Marcela e Felipe alla ricerca di spazzolini da denti, pettini e capelli, biancheria intima. Tecniche usate ormai da cinque anni che hanno consentito di restituire la loro identità a nove figli di desaparecidos che avevano rifiutato di sottoporsi al prelievo di sangue. In questo modo la giustizia rispetta il diritto di una persona a non sottomettersi ai prelievi ematici e allo stesso tempo il diritto delle Nonne di sapere quale sia la vera identità dei loro nipoti e quello della società di conoscere la verità storica. A questo punto della storia sembra molto probabile che il giudice Bergesio disponga anche, nei prossimi giorni o settimane, la comparazione dei campioni di sangue dei due ragazzi con quelli depositati nella BNDG. In questo caso la verità sarà ormai a un passo, anche se gli avvocati di Clarín non lasceranno nulla di intentato per evitarlo. La versione ufficiale di doña Ernestina racconta questo: il 13 maggio 1976, due mesi dopo il golpe, quando le desapariciones impazzavano, la vedova di Roberto Noble, il fondatore del quotidiano Clarín, si presentò davanti a una giudice di San Isidro con una neonata che - disse - era stata abbandonata in una scatola alla porta della sua casa. Come testimoni portò una vicina e un dipendente della casa della vicina. Questo riguarda Marcela, che fra i due ragazzi appare quella con la vera vocazione a prendere le redini del gruppo. Due mesi dopo, il 7 luglio, la stessa giudice ricevette da una donna chiamata Carmen Luisa Delta il suo figlioletto perché fosse dato in adozione e lo stesso giorno, con una rapidità insolita per la giustizia argentina, la giudice lo aggiudicò a Ernestina Herrera de Noble. Questa è la storia ufficiale di Felipe. Ma poi tutta l’impalcatura andò in pezzi. Nel 2001, il dipendente «testimone» che asseriva di aver visto la scatola con dentro la neonata «Marcela», dichiarò di non essere mai stato alle dipendenze di nessuna casa e in realtà di essere stato per cinquant’anni l’autista della famiglia Noble. Anche la nipote della presunta vicina di casa smentì che sua nonna fosse mai vissuta lì. Sul caso di Filippo non si è mai potuto provare l’esistenza di una Carmen Luisa Delta, la presunta madre biologica. Per sovrapprezzo, la giudice che li aveva aggiudicati in adozione, Ofelia Hejt, ormai morta, era più che sospetta in quanto in precedenza aveva già assegnato a famiglie adottive figli di desaparecidos. Forte di queste prove, il giudice Roberto Marquevich, un magistrato peraltro molto discusso, ordinò nel 2002 l’arresto della padrona del Clarín. Fu solo per pochi giorni ma bastò perché a Marquevich fosse tolto il caso. Che passò a Bergesio. E da allora tutto si fermò. Racconta Estela Carlotto, la leader delle Abuelas, che nel 1993 andarono a parlare con Héctor Magnetto, amministratore delegato del Clarín, per capire se nella ricerca della verità potevano contare sulla collaborazione della signora Ernestina. «Ebbe una reazione isterica e ci disse che lui ci poteva il nome delle madri biologiche dei due ragazzi se noi gli avessimo dato i nomi di chi aveva denunciato la signora Ernestina. Ci alzammo e ce ne andammo». Il caso ha ovviamente anche un suo coté politico e rientra nella guerra in corso fra il governo di Cristina Kirchner, peronista di centro-sinistra, e il Gruppo Clarín, divenuto nemico mortale della presidenta dallo sciopero degli agrari del 2008 e dalla legge sui media del 2009 che, secondo il governo, varie università e organizzazioni sociali cerca di rompere il monopolio (del Clarín) sulle comunicazioni e, secondo gli organismi padronali, intende imporre la censura. Due mesi fa il Congresso ha votato una legge che ha legalizzato e reso obbligatori i test Dna attraverso la biancheria intima. Questo portò una dei leader dell’opposizione, la liberal-cristiana Elisa Carrió, sconfitta da Cristina nelle elezioni presidenziali del 2007, a denunciare «il fascismo» del governo e a paragonare la presidenta e il suo predecessore alla Casa rosada, il marito Néstor Kirchner, con il conducator romeno Ceausescu e la sua malfamata moglie Elena. Carrió da allora è portata in palmo di mano dal Clarín ma è stata cacciata dall’Assemblea permanente dei diritti umani. La legge votata dal Congresso sanciva in realtà una aspirazione storica dei gruppi umanitari. Una storia non ancora chiusa ma vicina alla parola fine. E una domanda che circola qui in Argentina: quale sarà il titolo di Clarín il giorno in cui si conosceranno, senza più ombra di dubbi, i risultati del test Dna di Marcela e Felipe?