Notizie tratte da: Gianluigi Nuzzi # Vaticano S.p.A. # Chiarelettere 2009 # pp. 280, 15 euro., 5 gennaio 2010
Vaticano
Notizie tratte da: Gianluigi Nuzzi, Vaticano S.p.A., Chiarelettere 2009, pp. 280, 15 euro.
Ior (Istituto per le Opere di Religione). In base al suo statuto (voluto da Wojtyla nel 1990) e agli accordi con lo Stato Italiano, opera come una banca offshore. L’apertura di conto corrente è consentita anche agli stranieri, salvo l’obbligo di destinare parte dei fondi a opere di bene. Conviene comunque: il conto non è sottoposto a tassazione e alle operazioni è garantita totale discrezione (per avere informazioni qualsiasi paese deve avviare rogatoria, ma lo Stato Città del Vaticano non ha mai formato una convenzione di assistenza giudiziaria).
Archivi. Le carte segrete sulla gestione delle finanze vaticane raccolte e conservate in cartelline gialle da Monsignor Renato Dardozzi (1922-2003). Ordinato sacerdote a cinquantun anni, era laureato in matematica, ingegneria, filosofia e teologia. Per la Chiesa abbandonò la carriera nel gruppo Stet (era direttore generale della Sip e dirigeva la Scuola Superiore per le telecomunicazioni Reiss Romoli). Il Segretario di Stato Agostino Casaroli gli affidò la vigilanza interna allo Ior all’epoca dell’affare Ambrosiano, attività proseguita anche quando a Casaroli subentrò il cardinal Angelo Sodano. Gianluigi Nuzzi è venuto in possesso dell’archivio a fine estate 2008. Era custodito in due valigie Samsonite da quaranta chili in luogo sicuro nel Ticinese in Svizzera, custodito all’insaputa di chi lo deteneva nelle vicinanze di un raccordo autostradale.
Avemaria. «Si può vivere in questo mondo senza preoccuparsi del denaro? Non si può dirigere la Chiesa con le Avemaria» (Paul Casimir Marcinkus, nel 1971 nominato presidente dello Ior da Paolo VI).
Triadi. In effetti le Avemaria non bastavano più al Vaticano, che alla morte di Giovanni XXIII (1963) vide crollare le offerte dei fedeli da 19 a 5 miliardi di lire. A peggiorare le cose, nel 1968, l’introduzione da parte del Governo italiano della tassazione sui dividendi del Vaticano, che a quel momento controllava dal 2 al 5 per cento del mercato azionario. Fu così che Paolo VI (succeduto a Giovanni XXIII), affidò il trasferimento all’estero delle partecipazioni a monsignor Marcinkus e a Michele Sindona, il banchiere di Cosa Nostra, che, tra l’altro, usò i conti della Santa Sede presso la Banca Privata Italiana per trasferire i soldi della mafia, e coinvolse a sua volta il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
Crac. Le Operazioni spregiudicate di Sindona-Calvi-Marcinkus portarono al crac della Banca Privata Italiana e del Banco Ambrosiano. Lo Ior risultò debitore del secondo di 1200 milioni di dollari, ma il Vaticano se la cavò versandone 242 milioni (transazione firmata a Ginevra il 25 maggio 1984). Calvi morì impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 17 giugno 1982, Sindona per aver bevuto un caffè corretto al cianuro nel carcere di Voghera il 20 marzo 1986 (dove era recluso in seguito alla condanna all’ergastolo per l’uccisione di Giorgio Ambrosoli, liquidatore dell’Ambrosiano).
Protezioni. Il mattino del 29 settembre 1978 era stato trovato morto anche papa Luciani (arresto cardiaco secondo il referto ufficiale), succeduto a Paolo VI appena un mese prima. Coincidenza, la sera prima aveva confidato al Segretario di Stato Jean Villot di volere trasferire Marcinkus, che invece ottenne protezione da Giovanni Paolo II (grazie al versamento di oltre 100 milioni di dollari da parte del Vaticano al sindacato polacco di Solidarno??), finché la Procura di Milano il 20 febbraio 1987 non spiccò contro di lui un mandato di cattura ritenendolo corresponsabile del crac dell’Ambrosiano (annullato dalla Cassazione che lo ritenne immune così interpretando una norma dei Patti Lateranensi). Sorvegliato per due anni dalla Commissione di vigilanza promossa dal cardinale Augusto Casaroli e da monsignor Renato Dardozzi, fu allontanato dallo Ior nel 1989 (che al tempo soffriva debiti per 77,3 miliardi di lire).
Prelati. Marcinkus passa le consegne al suo segretario particolare, monsignor Donato de Bonis, nominato prelato dello Ior (la figura di presidente viene sostituita dal Consiglio di sovrintendenza, presieduta dal banchiere laico Angelo Caloia). Ufficialmente dichiara: «Abbiamo sofferto ma la lezione è servita. Certi errori non si devono ripetere». In pratica inaugura un sistema per il riciclaggio di denaro con conti criptati. Il primo con n. 001-3-14774-C per un deposito in contanti di 494.400.000 lire, a un tasso d’interesse del 9 per cento annuo. Intestataria la Fondazione Cardinale Francis Spellman, mai esistita. Sul cartellino di deposito delle firme indicate per l’operatività sul conto, oltre a De Bonis, il nome di Giulio Andreotti. Nel fascicolo Ior del conto le disposizioni testamentarie di De Bonis: «Quanto risulterà alla mia morte, a credito del conto […] sia messo a disposizione di S.E. Giulio Andreotti per opere di carità e di assistenza, secondo la sua discrezione» (dall’apertura fino al 1992, anno di Tangentopoli, nel conto furono depositati 26 miliardi di lire in contanti, oltre a titoli di Stato depositati e ritirati per oltre 42 miliardi di lire, spesso e volentieri trasferiti a finanziarie lussemburghesi).
Uscite. Molti soldi del conto Spellman vengono destinati a donazioni a ordini religiosi e fondazioni, ma non solo: l’assegno di 60 milioni in favore del cassiere della DC Severino Citaristi, i 400 milioni in favore dell’avvocato Odoardo Ascari (che a quel tempo difendeva Edgardo Sogno e assisteva come parte civile la famiglia del commissario Luigi Calabresi, e poco dopo fu nominato da Andreotti nei procedimenti per concorso in associazione mafiosa), i 100 mila dollari per le 182 camere degli ospiti al Plaza e allo Sheraton hotel, i 225 milioni per biglietti aerei…
Ior parallelo. appena iniziata Mani pulite quando Caloia (presidente del Consiglio di Sovrintendenza dello Ior), promuove la formazione di una commissione segreta interna, che dopo tre mesi chiude un report top secret in cui denuncia che il conto Spellman e molti altri sono conti cifrati usati per il transito di operazioni illecite mascherate da opere di carità. Scoperti anche «ritiri di contante non sicuramente finalizzati alla celebrazione di SS Messe», dal deposito aperto per la raccolta delle offerte dei fedeli per la celebrazione delle messe in memoria dei defunti (dalla lettera di Caloia indirizzata al segretario particolare di Giovanni Paolo II, Stanislao Dziwisz il 5 agosto 1992).
Apparenze. La commissione segreta lavora fino al marzo 1994, scoprendo diciassette conti principali su cui sono compiute operazioni, tra l’89 e il ”93, per un totale di 310 miliardi di lire, tra i 135 e i 200 miliardi in Cct, fuori dai bilanci ufficiali dello Ior. Apparentemente con finalità caritatevoli (tra i nomi dei depositi ”Fondazione mamma de Bonis, lotta alla leucemia”), i depositi venivano usati soprattutto per il transito di tangenti.
Ancelle. Irregolarità vengono scoperte anche nei conti intestati a congregazioni effettivamente esistenti, come le Ancelle della Divina Provvidenza, titolari della struttura Don Uva, che si dedicano a bisognosi e malati di mente ricevendo anche finanziamenti pubblici (oggi 100 euro per ogni paziente, per un totale di 30 milioni di euro all’anno). Il deposito, su cui de Bonis operava senza conferimenti di delega, aveva un saldo di 55,4 miliardi di lire, 43,5 milioni di euro (tanti se paragonati al bilancio dell’arcidiocesi di una grande città, pari a 10-12 milioni di euro). Il sospetto, che venisse utilizzato, all’insaputa delle stesse titolari del conto, per il deposito fiduciario di soldi di persone che non potevano apparire. Gestore del conto il commendatore Lorenzo Leone, amico di lungo corso di de Bonis. Indagato nel ”99 dalla Procura di Trani, muore e il procedimento viene archiviato. Una suora aveva dichiarato al magistrato di averlo visto caricare l’auto di scatole di scarpe zeppe di banconote in procinto di partire alla volta del Vaticano.
Elemosina. Gianni Lannes, descrivendo le condizioni della struttura Don Uva delle Ancelle della Divina Provvidenza: «Si scivola sul pavimento cosparso di urina: è l’odore dominante. Gli escrementi vengono spostati a secchiate d’acqua, il liquame s’incrosta sulle pareti. Circondati da corpi spesso nudi, persone chiedono l’elemosina di una sigaretta e recuperano occasionali mozziconi da terra» (’Diario”, 16 marzo 2007).
Maxitangente. Novembre 1990. Non è trascorso neanche un anno dalla nascita di Enimont, società mista paritetica con l’80 per cento delle azioni equamente divise tra la pubblica Eni e la Montedison, del Gruppo Ferruzzi, guidato da Raul Gardini, detto ”il corsaro di Ravenna”. Giulio Andreotti presidente del Consiglio, Franco Piga ministro delle Partecipazioni statali, viene approvato il ”patto del cowboy”: uno dei due fondatori deve uscire dalla società che Gardini ha messo in crisi coi suoi tentativi di scalata, alla parte privata la scelta se comprare tutto o uscire. Gardini decide di uscire: Eni rileva il suo 40 per cento, ma a un prezzo molto superiore al prezzo di mercato, 2805 miliardi di lire. Per ottenerlo Montedison paga ai partiti la madre di tutte le tangenti, attingendo ai fondi extra bilancio una somma di 152,8 miliardi, e in gran parte facendola transitare dallo Ior di de Bonis.
Massoni. Incaricati dalla Montedison dell’operazione, il consulente Sergio Cusani e l’amministratore delegato Carlo Sama si rivolgono a Luigi Bisignani (giornalista Ansa iscritto alla P2 di Licio Gelli), che l’11 ottobre 1990 apre allo Ior il conto ”Louis Augustus Jonas Foundation”, apparentemente destinato ad «aiuto bimbi poveri». Dopo tre mesi de Bonis si presenta in banca con 5 miliardi di titoli di Stato da mettere all’incasso: 2,7 miliardi sul deposito ”Jonas Foundation”, 2,2 sul conto ”Cardinale Francis Spellman”. Dal conto Spellman tempo pochi minuti viene disposto un bonifico di 2,5 miliardi su un conto della Trade Development Bank di Ginevra, via Banca di Lugano (è la prima tranche della maxitangente).
Serafini. L’8 maggio 1991 Cusani, Sama e Bisignani aprono allo Ior il conto ”Fondo san Serafino” (dal nome del fondatore del Gruppo Ferruzzi), dove vengono depositati 36 miliardi di lire in Cct. Senza al alcun potere di firma de Bonis dispone un bonifico di 9,8 miliardi per la Società di Banca Svizzera (Sbs) su un deposito riconducibile a Mauro Giallombardo, uomo di fiducia dei conti segreti del Psi e di Bettino Craxi (seconda tranche della maxitangente). Sul deposito transiteranno ricavi di titoli verso banche svizzere per altri 44,8 miliardi. Altri 23 miliardi saranno depositati nel conto ”Jonas Foundation”, 12,4 ritirati da Bisignani tra l’ottobre 1991 e il giugno 1993. Nell’estate 1991 il matrimonio, in Vaticano, tra Carlo Sama e Alessandra Ferruzzi, figlia di Serafino, celebrato da de Bonis.
Promozioni. Tra gennaio e febbraio 1993 Gardini e Cagliari (presidente Eni), sono iscritti sul registro degli indagati, il 10 marzo il secondo viene arrestato. A fine marzo De Bonis lascia lo Ior, l’11 aprile 1993 viene promosso assistente spirituale del Sovrano Ordine Militare di Malta. Promoveatur ut admoveatur.
Grazie. Il 28 giugno 1993 Bisignani chiude il conto ”Jonas Augustus Foundation” ritirando un miliardo e 687 milioni in contanti. Un mese dopo è latitante, ricercato dal Pool di Mani pulite. A luglio si uccidono Gabriele Cagliari (soffocandosi con un sacchetto di plastica in carcere) e Raul Gardini (sparandosi nella sua stanza da letto a Palazzo Belgioioso a Milano, non prima di avere scritto «grazie» su un biglietto).
Sospetti. Una volta scoperto che la maxitangente Enimont è stata pagata in titoli di Stato, i sospetti si concentrano su quelli depositati allo Ior. Il 5 ottobre 1993 l’allora procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli chiama al telefono Caloia per fissare un incontro. Per prendere tempo, su suggerimento dell’avvocato Franzo Grande Stevens, la richiesta viene rifiutata.
Cortesia. Su 130 miliardi di maxitangente Enimont, la Procura di Milano calcola che 88,9 sono transitati dallo Ior, ma le richieste al Vaticano di rivelare i nomi dei destinatati degli accrediti vengono rifiutate. «Lo Stato del Vaticano si comportava come voleva. E, per quel che mi ricordo, non dava seguito alle richieste di assistenza […] Quando mancano trattati di assistenza giudiziaria, i rapporti si basano sulla cortesia internazionale. Io ero quasi certo che sarebbe stato impossibile ottenere collaborazione» (il pm Gherardo Colombo). Il 6 novembre 1993 arriva ufficialmente richiesta di rogatoria al Vaticano.
Glasnost. Allo Ior prosegue l’inchiesta interna che porta ad ulteriori 62,6 miliardi di titoli passati dallo Ior oltre a quelli scoperti dalla Procura di Milano, ma soprattutto all’effettivo intestatario del conto ”Fondazione Spellman” (Monsignor Dardozzi scopre, cioè, che le firme autorizzate del conto sono De Bonis e Andreotti, quest’ultimo, nei report interni indicato come Omissis). Il 13 dicembre Caloia risponde alla rogatoria in 12 righe: tutta la responsabilità viene addebitata a Bisignani (senza coinvolgere de Bonis), si aggiungono altri 14,6 miliardi a quelli contestati (anziché i 62,6 effettivi), sono indicati 12 bonifici disposti per versare all’estero i soldi, ma omettendo i nomi di chi ha trattato le tangenti all’estero. I giornali parlano di «glasnost vaticana» e i portavoce della Santa Sede accusano i Ferruzzi di averla strumentalizzata (a dire che allo Ior nessuno sapeva la finalità dell’operazione Ferruzzi).
Riconteggi. La Procura di Milano rivede i conteggi originari e, sospettando che la risposta dello Ior sia stata parziale, fa partire un’altra rogatoria, a cui la banca risponde accusando semplicemente Bisignani di avere incassato quei 14,6 miliardi in più. Bisignani viene arrestato, ma nega, creduto dal gip Italo Ghitti, che lo scarcera, sostenendo che il Vaticano non è credibile, e sollecitando, invano, altre rogatorie.
Bassorilievi. Dunque il Vaticano per evitare scandali ha nascosto il diretto coinvolgimento di de Bonis, ma finita la bufera, nel ”94, lui si fa avanti pretendendo lo sblocco dei conti correnti dello Ior parallelo, rivendicando la proprietà di 350 milioni di lire del conto Spellman e cambiando le disposizioni testamentarie, nel senso di devolvere allo Ior, anziché a Giulio Andreotti, i restanti 4,5 miliardi (a fare intendere che se la magistratura italiana prendesse di nuovo di mira il deposito, la responsabilità sarebbe tutta dello Ior). Rivendica anche la titolarità del conto ”Fondazione mamma de Bonis, lotta alla leucemia” chiedendo un bonifico di 313 milioni. Le sue richieste vengono rifiutate. Muore nel 2001, ricordato nei necrologi da Paul Marcinkus e le stiliste Laura e Lavinia Biagiotti. Il suo paese natio, Pietragalla, Potenza, gli dedica un bassorilievo in bronzo nella chiesa di Sant’Antonio abate.
Bilanci. La lettera scritta il 16 marzo 1994 da Angelo Caloia a papa Wojtyla per informarlo personalmente che lo Ior gli mette a disposizione, quell’anno, 72,5 miliardi di lire (contro appena i 20 del 1989, l’anno del suo arrivo in Vaticano). Il dato è riservato, il Vaticano rendendo pubblici ogni anno solo i bilanci di sette amministrazioni che fanno capo alla Santa Sede, che ufficialmente, quell’anno, è in attivo di 2,4 miliardi di lire (dopo ventitré anni di disavanzo).
Ricette. A dire di Massimo Ciancimino, il padre Vito (ex sindaco di Palermo affiliato a Cosa Nostra), aveva aperto allo Ior due cassette di sicurezza e conti vari per i passaggi di denaro proveniente dalle ”messe a posto” degli appalti palermitani (gonfiate le spese dell’80 per cento, parte dei soldi andava alla corrente andreottiana che faceva capo a Vito Ciancimino, parte a Bernardo Provenzano). Per avere accesso allo Ior, Ciancimino esibiva alle guardie svizzere la ricetta medica di una medicina, Tonopan, venduta solo nella farmacia del Vaticano e in Svizzera.