Martina Federico, Il Riformista 5/1/2010, 5 gennaio 2010
Abbasso Cesare, il Lombroso Si sono riuniti in 2.300 su Facebook «i meridionali contro il museo lombrosiano» e rivogliono indietro i crani dei briganti del sud che lì sono esposti
Abbasso Cesare, il Lombroso Si sono riuniti in 2.300 su Facebook «i meridionali contro il museo lombrosiano» e rivogliono indietro i crani dei briganti del sud che lì sono esposti. Agguerriti, propongono una manifestazione prevista per l’8 maggio a Torino. La motivazione? Cesare Lombroso avrebbe teorizzato l’inferiorità della razza meridionale con esperimenti sui crani dei morti per mano delle truppe piemontesi. In più «la manifestazione - si legge nella descrizione del gruppo - sarà un’occasione per ricordare (nella città sede di Casa Savoia) la colonizzazione subita dal Meridione». Il riallestimento del Museo di antropologia criminale ”Cesare Lombroso” aveva riaperto al pubblico proprio il 27 novembre scorso a Torino, al primo piano del Palazzo degli Istituti Anatomici in via Giuria. A fare da coordinatore generale è stato Giacomo Giacobini, professore di Anatomia all’Università di Torino, mentre la cura e la direzione sono di Silvano Montaldo, professore associato di Storia contemporanea nella stessa università. Professor Montaldo, cosa ne pensa della rivolta nata su Facebook contro Lombroso e il suo museo? Credo che sia tutto basato su un equivoco, intenzionale o meno che sia. Innanzitutto ci tengo a sottolineare che non accetto l’utilizzo di un’etichetta come ”meridionale”. Si tratta di un gruppo con finalità politiche: emerge una contrapposizione tra sud e nord che è assolutamente assente nel museo. La devianza è solo un aspetto del pensiero lombrosiano e la questione del brigantaggio meridionale è, a sua volta, solo una minima parte di questo. Il gruppo chiede la restituzione dei crani dei meridionali. I crani esposti sono funzionali al percorso museale e non sono affatto oggetto di spettacolarizzazione. C’è da dire inoltre che Lombroso lavorò a Torino per più di trent’anni e lì aveva a disposizione un obitorio e, prima di trasferirsi nel capoluogo piemontese, aveva vissuto per alcuni anni a Pavia. In Calabria trascorse solo tre mesi in qualità di ufficiale medico dell’esercito. Tutto ciò porta a legittimare la tesi secondo cui la maggior parte dei crani non sono ”meridionali”. In più, come si può procedere ad un’identificazione? Per una ”restituzione” a chi? Per farne cosa? Come si spiega il ritorno di un interesse per Lombroso? Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta di Lombroso da parte degli storici di vari paesi, impegnati nella ricostruzione di una storia della criminologia. La sua attualità è inoltre richiamata dalle nuove attitudini e scoperte della neuroscienza. Anch’essa studia il rapporto tra biologia e comportamento criminale. Con la visualizzazione dell’attività cerebrale, i neuroscienziati tentano di stabilire un’ipotetica linea di tradizione con quello che aveva fatto Lombroso più di cento anni prima. Cercano di avvalorare la loro scoperta richiamando una tradizione precedente. Ed è un’idea che lascia molto perplessi. Quali sono le idee fondanti del pensiero lombrosiano? Il pensiero di Lombroso è all’origine della scuola positivista di diritto penale, e fu il maggior prodotto d’esportazione dell’Italia dell’ 800. Il fulcro della teoria di Lombroso è l’esistenza di una sorta di ”biologia difettosa” che farebbe ritornare i tratti atavici dell’uomo primitivo (atavismo), portato per natura a delinquere. Per le sue teorie si basò sulla scoperta della famosa ”fossetta occipitale mediana” sull’autopsia del cranio del ”brigante” Villella, elemento che lo portò a dire che quell’anomalia era la responsabile della criminalità in quell’uomo. La sua era quindi una concezione innatista del delitto. Naturalmente l’innovazione di una teoria del genere ha avuto un impatto enorme: togliendo il concetto di responsabilità del crimine e del peccato, Lombroso ha cambiato i modelli di riferimento. E, da bravo medico, non si è limitato alla diagnosi ma ha postulato anche una terapia: poiché il criminale è un irresponsabile, punirlo è ingiusto e redimerlo è impossibile e l’unica cosa che può fare la società è difendersi. Politicamente come si collocano le sue idee? In linea con la sua teoria, Lombroso si fa sostenitore di tutta una serie di riforme volte ad attenuare l’incentivo a commettere il crimine. Il criminale è un malato e alcune condizioni sfavorevoli possono spingerlo a delinquere. Era quindi favorevole all’assegnazione di case operaie per tutti, ad un governo liberale trasparente, alla piena libertà di stampa. Caldeggiava una riforma che consentisse l’emigrazione dei poveri verso situazioni più agevoli. Per questo motivo, per quanto si considerasse socialista, entrò in polemica con Turati, secondo il quale, invece, la povertà era la causa della criminalità, non un suo incentivo. Benché le idee di Lombroso appaiano progressiste, non bisogna dimenticare la legittimità che lo studioso attribuiva alla pena di morte quale strumento di selezione artificiale della società: il criminale non doveva avere la possibilità di tramandare il suo gene. Ci sono stati alcuni studiosi, come George Mosse, che hanno considerato le sue intuizioni una giustificazione teorica alla causa dell’Olocausto, sebbene lo stesso studioso poi non considerasse Lombroso personalmente un razzista ma un liberale. E la normalità come veniva definita? Lombroso non la definisce mai, parla sempre di una normalità definita in rapporto alla legge. Lui sostiene che l’uomo normale non incappa nella legge. Ma allora un ladro molto abile, che sfugge alla legge, come verrebbe considerato? In questo senso, una delle critiche più violente al pensiero di Lombroso si rivolgono a questioni di carattere metodologico: Lombroso non lavora mai su gruppi di confronto. Dal punto di vista statistico era un disastro. Tendeva ad eliminare quei dati che non confermavano le due idee. Qual è la peculiarità del caso Lombroso? La peculiarità sta nel fatto che, sebbene molte sue idee esistessero già prima di lui (l’idea del folle morale ad esempio era di gente che scriveva già anni prima di lui), sebbene l’antropologia criminale di Lombroso si fondi su delle tesi sbagliate (e c’era gente che lo aveva dimostrato già nel periodo in cui lo studioso agiva), sebbene già nel cinquecento la fisiognomica avesse avanzato delle idee circa la presenza fisica di carattere anomali, abnormi, particolari, nel criminale (il fatto che il brutto fosse diabolico è un elemento ricorrente nell’iconografia di quegli anni, oltre ad essere un’idea che risale addirittura ad Aristotele), lui sapeva interpretare il senso comune, era molto popolare. Veniva interpellato internazionalmente su ogni tema. Non era un accademico isolato, era molto noto, era una celebrità già in vita. famoso perché ha dato delle risposte tranquillizzanti, che rassicuravano la borghesia di allora: sapere che il crimine era qualcosa di circoscrivibile. I detrattori? Sicuramente gli idealisti. Ma, avendo eliminato il principio della responsabilità morale della pena, fu attaccato e contrastato anche dalla chiesa. Sono famose le parole che pronunciò padre Gemelli il giorno in cui morì: la morte di un uomo e di una dottrina. Quali sono le finalità del ”museo Lombroso”? L’obiettivo è quello di una contestualizzazione del pensiero lombrosiano, una sua storicizzazione. Il museo vuole far riflettere sulla caducità di affermazioni troppo assolutizzanti, sulla necessità che emergano dubbi. Come lo stesso Piero Bianucci, (che ha collaborato alla realizzazione del museo) ha detto, esso è anche un museo degli errori.