Vittorio Gennarini, La Stampa 5/1/2010, 5 gennaio 2010
MEZZO SECOLO SENZA CAMUS
Ricorrevano ieri i cinquant’anni della morte dello scrittore franco-algerino Albert Camus, scomparso il 4 gennaio 1960 in un incidente automobilistico. A torto indicata dalla critica come il paradigma della mancanza di valori morali e di ragioni esistenziali della società appena uscita dal tunnel cieco della seconda guerra mondiale, l’opera di questo narratore insignito del Nobel si precisa oggi, a mezzo secolo di distanza, come un inno consapevole alla felicità e alla dignità della vita dell’uomo contemporaneo, sia pure dibattuto in una tragica crisi d’identità. Appassionato dei classici della letteratura mondiale e italiana in particolare, si è voluto vedere in Camus il «testimone dell’assurdo» dell’esistenza umana (J.Starobinski). In realtà, con i romanzi che lo resero famoso da Lo straniero a La peste e con i numerosi contes philosophiques, egli si rivelerà instancabile ricercatore del segreto della felicità dell’uomo (di qui il suo «umanesimo»), mentre con l’attività politica si batterà anche in prima persona in favore delle masse.
Così, ne La Caduta, pur non dichiarandosi cristiano «nemmeno un briciolo», afferma d’amare Cristo per la sua condivisione del dolore del mondo, opposta alla folle stupidità dei borghesi sopravvissuti all’ultima guerra. Mentre ne La morte felice Camus dipinge l’istinto umanissimo dell’amore per la vita. La filosofia di questo scrittore è appunto quella d’una ribellione, d’una «rivolta dell’uomo» (titolo d’un suo saggio famoso) contro la brutale indifferenza del mondo contemporaneo, ahinoi attualissima. Mezzo secolo fa s’è spenta precocemente la luce che da questo scrittore illuminava la coscienza della vecchia Europa: dovunque l’uomo, in rivolta innanzitutto contro se stesso e poi contro gli orrori della Storia, lottasse per riconquistare la propria dignità e la propria felicità.
54 anni, professore di italiano e latino, Napoli