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 2010  gennaio 05 Martedì calendario

Coca & Appalti La ”ndrangheta Connection ROMA - Altro che mafia rurale. La definizione poteva valere fino a una ventina d’anni fa, quando la ”ndrangheta era specializzata soprattutto nei sequestri di persona

Coca & Appalti La ”ndrangheta Connection ROMA - Altro che mafia rurale. La definizione poteva valere fino a una ventina d’anni fa, quando la ”ndrangheta era specializzata soprattutto nei sequestri di persona. Oggi no. Oggi il termine giusto è ”ndrangheta connection, con 400 tonnellate di cocaina all’anno, per un fatturato annuo, di 36 miliardi di euro. Oggi la verità che si impone è quella di una ”ndrangheta international, con una lotta senza quartiere per il controllo del potere anche all’estero. Con la strage di ferragosto a Duisburg, nel 2007, ancora impressa nella memoria e non solo dei tedeschi. Con il controllo degli appalti edilizi in intere città, da New York a San Pietroburgo, da Toronto a Bruxelles, da Reggio a Milano. Con la sua capacità di abbandonare il vecchio cliché di mafia di seconda fila, oggi la ”ndrangheta indossa il doppiopetto e siede anche nei consigli d’amministrazione di ricche multinazionali. Ha una struttura interna così capillare e così forte nello stabilire vincoli d’appartenenza che resiste più delle altre mafie al rischio di dissociazione.  diventata la più potente delle mafie e non accetta di essere ostacolata. Il nuovo procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone si dimostra intelligente, astuto e previdente al punto da attivare una bonifica delle microspie all’interno del Palagiustizia di Reggio Calabria che fa saltare in aria il piano di spionaggio interno? La risposta è l’esplosione della bomba davanti al tribunale. Lo Stato insiste nella confisca dei beni sequestrati agli affiliate alle cosche? La risposta è l’esplosione della bomba davanti al tribunale. Solo ipotesi al vaglio della magistratura, per ora. Eppure, alta è la percezione che le varie consorterie si siano alleate per lanciare un segnale chiaro ed inequivocabile. Un monito a quello che gli uomini di legge rischiano mentre compiono il loro dovere. Del resto parlano chiaro i numeri. Il fatturato annuo della ”ndrangheta è di oltre 44 miliardi di euro - per intenderci, quasi il 3% del Pil italiano - con il traffico di cocaina e armi al top della classifica. Un primato che contribuisce a rendere la ”ndrangheta la più agguerrita delle mafie. L’allarme è lanciato anche da don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, il prete antimafia per antonomasia. « la più potente delle mafie per la sua capacità di agire sotto traccia, di diffondersi su tutto il territorio nazionale e per una dimensione internazionale che l’ha portata a un ruolo di primo piano nella gestione dei traffici illeciti in tutta Europa, in particolare di quello di cocaina. Non credo che ci sia stata una sottovalutazione del fenomeno, quanto un’oggettiva difficoltà a contrastare un’organizzazione criminale tanto compatta, diffusa e influente». Al nord, in Piemonte e in Lombardia soprattutto, investe le sue forze nell’edilizia attraverso mezzi e affiliati delle ”ndrine per infiltrarsi e stringere rapporti con la politica e con appalti super appetibili come ad esempio l’Expo 2015. Ma non disdegna i cantieri neppure al Sud. La tavola meglio imbandita intorno alla quale vorrebbe sedersi è il Ponte di Messina. Ancora don Ciotti: « un rischio che denunciamo da anni. Da anni sosteniamo che, oltre a unire due coste, quel ponte potrebbe unire ”due cosche”. Ma è un rischio connesso a tutte le grandi opere, al Sud come al Nord, dove il grande flusso di denaro attira gli interessi criminali, la loro capacità di penetrazione e di mascheramento. Questo non significa certo smettere di costruire, ma occorre farlo nella presenza almeno di una duplice garanzia: che esistano sistemi di controllo capaci di smascherare ogni forma d’illecito e che le opere progettate siano davvero di interesse pubblico». Tra le armi usate dallo stato contro la ”ndrangheta, e in generale contro le mafie, c’è la confisca dei beni dei mafiosi. L’associazione Libera raccolse a suo tempo un milione di firme sull’uso sociale dei beni confiscati. In Calabria, da quando entrò in vigore la legge, nell’82, allo scorso agosto, sono stati recuperati 1.239 beni, tra terreni agricoli, ville, appartamenti, negozi, ristoranti e aziende di calcestruzzo. Un’operazione che sicuramente non è piaciuta ai boss delle cosche più potenti, che da Reggio alla Locride declinano il loro potere con cognomi come De Stefano, Piromalli, Morabito e Pelle. In un’intercettazione del ”96 uno dei Piromalli, i boss della piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio, confidava: «Abbiamo il passato, il presente e il futuro». Sono trascorsi quattordici anni e quelle parole suonano quante mai profetiche.